locus
s. m., lat. (pl. loci). – Termine corrispondente all’ital. luogo, adoperato talvolta invece di questo in usi specifici di alcuni linguaggi settoriali. In partic.: 1. Nel linguaggio scient., entra in alcune locuz. che designano zone circoscritte di organi anatomici; per es., locus niger («luogo nero»), banderella di sostanza nervosa, di colore nerastro, situata nella parte media del peduncolo cerebrale, costituita da fibre orientate in tutti i sensi e da cellule nervose, di varia forma, contenenti granulazioni pigmentarie di colore bruno o nero. Con valore generico, è chiamato locus minoris resistentiae («luogo di minore resistenza») qualsiasi punto o regione organica che, presentando una diminuita capacità di difesa, possa favorire un processo morboso o un’infezione generale; l’espressione è spesso usata, nel suo valore letterale, anche in senso estens. e fig. 2. In genetica, la localizzazione relativa a una mappa genetica o citologica di un particolare gene e di tutti i suoi alleli. Locus genico, la porzione della sequenza nucleotidica in una molecola di DNA che costituisce un particolare gene. 3. In teologia, loci theologici, le fonti, cioè le opere in cui si ritrovano i principî dell’argomentazione teologica; anche in forma ital., luoghi teologici (v. luogo, n. 6 c). 4. In filologia, locus desperatus («luogo disperato»), espressione con cui vengono comunem. indicati, soprattutto dai filologi classici, i passi corrotti di un testo che siano ritenuti insanabili e per i quali si rinuncia quindi a un’integrazione o emendazione congetturale, contrassegnandoli, in sede di edizione critica, con una croce (detta crux desperationis).