languire
v. intr. [dal lat. languēre] (io languisco o lànguo, tu languisci o làngui, ecc.; aus. avere). – 1. a. Essere privo di forze, essere in uno stato prolungato di abbattimento fisico: l. infermo nel proprio letto; era tanto tempo che languiva; sentirsi l., provare una sensazione di vuoto allo stomaco; prov., poco com., quando il capo duole, tutte le membra languono (fig., con allusione alle tristi condizioni del popolo sotto cattivi governanti); per analogia, parlando della vegetazione, dei fiori: con questo asciutto le piante languiscono; Come purpureo fior languendo muore (Ariosto); Torna a fiorir la rosa, Che pur dianzi languia (Parini). b. Venir meno, struggersi: l. dalla fame, dalla sete; l. di desiderio, d’amore, di passione insoddisfatta. c. Patire, vivere stentatamente, nell’abbandono, o in mezzo a sofferenze: l. nella miseria; languì lunghi anni in carcere; una gente impera e l’altra langue (Dante). 2. fig. Venir meno, scemare, indebolirsi perdendo intensità: la fiamma, la luce languisce; la conversazione languiva; memoria de l’opra anco non langue (Petrarca); Già ne le sceme forze il furor langue (Ariosto). Del colore, attenuarsi, farsi meno vivo: le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbuiano (Foscolo). Di sentimenti, essere debole, fiacco: Qua giù dove l’affetto nostro langue (Dante). Di attività, essere in decadenza, non prosperare: il commercio, l’industria languisce; gli studî, gli affari languivano. ◆ Part. pres. languènte, anche come agg., che languisce: fuoco, luce languente; con voce languente; arti languenti; talora sostantivato: in alcune [case], aperte e vote d’abitanti, o abitate soltanto da qualche languente, entravan ladri, a man salva, a saccheggiare (Manzoni).