k, K
(cappa o kappa, ant. o region. ca) s. m. o f., invar. – Decima lettera dell’alfabeto latino, che rappresenta l’occlusiva velare sorda (cioè il suono proprio di c in casa, fuoco, acuto) come il greco κ (che ha lo stesso nome); quando il segno C, che originariamente indicava in latino la correlativa sonora ‹ġ›, passò a rappresentare la sorda e per la sonora fu adottato il nuovo segno G, la lettera K divenne inutile e scomparve a poco a poco dall’uso, conservandosi come semplice arcaismo in alcune iscrizioni e nella scrittura di determinate parole (per es. Karthago = Carthago, e K. abbreviazione di Kalendae = Calendae). Nella scrittura medievale delle lingue neolatine (soprattutto nei manoscritti volgari italiani del 13° sec.) il k fu talvolta sostituito alla c, per esprimerne il suono velare davanti a e o i (per es. ke = che); ma successivamente non è stato più usato se non in parole d’origine manifestamente straniera (per es. kantiano, kapok) e in alcune abbreviazioni (per es. kg «chilogrammo», km «chilometro»). Nelle lingue germaniche, e così nelle altre non romanze che si servono dell’alfabeto latino, e a maggior ragione negli alfabeti derivati da quello greco, la lettera k si è conservata. A partire dagli anni ’70 del Novecento, si è diffuso, con sign. per lo più polemico, l’uso del k in sostituzione della c velare, spec. nelle scritte murali e nella pubblicistica politica, per esprimere ostilità e disprezzo (amerikano, kultura). Nell’uso giovanile, spec. nel linguaggio degli sms e delle chat, la lettera k è spesso utilizzata in sostituzione di ch (ke fai stasera?). Usi più comuni della lettera k, K come abbreviazione o simbolo: in scritti e iscrizioni latine, la maiuscola puntata è abbrev. di Kalendae (che si abbrevia anche Kal.); nelle targhe automobilistiche, K è sigla internazionale della Cambogia (dall’iniziale del nome khmer Kampuchea); nelle carte da gioco francesi, è abbrev. dell’ingl. king «re», la più alta di valore delle tre carte figurate (poker di K); nell’indicazione delle opere di W. A. Mozart, è abbrev. del cognome di Ludwig von Köchel che in un catalogo del 1862 classificò le composizioni del musicista (per es. «Quartetto in si bem. magg. K. 458»); in astronomia si indica con K una classe spettrale di stelle di colore giallo-rossastro e relativamente bassa temperatura, dette anche «del tipo delle macchie solari» per l’analogia del loro spettro con quello delle macchie solari; in botanica, K (iniziale del greco κάλυξ «calice») indica nelle formule fiorali i costituenti del calice, cioè i petali; in chimica, K è simbolo dell’elemento potassio (lat. scient. Kalium); in fisica, K è simbolo del kelvin, unità di misura della temperatura assoluta (nel passato °K); in matematica e altre scienze, k (o K) indica tradizionalmente una costante. In biochimica, vitamina K (dal ted. Koagulationsvitamin), nome dato ad alcune sostanze di natura chinonica, naturali o sintetiche, dotate di una particolare azione antiemorragica. In metrologia, k è simbolo del prefisso kilo- (talora, spec. in passato, scritto chilo-) e, premessa ad altro simbolo di una qualsiasi unità di misura, ne moltiplica il valore per 1000 (così kg chilogrammo, cioè mille grammi, km chilometro, kHz kilohertz, kW kilowatt, ecc.); in informatica, di solito nella forma maiuscola, indica la capacità di 1024 byte o «posizioni di memoria» di un elaboratore (per es., una memoria di 16 K contiene 1024 × 16 cioè 16.384 posizioni). Nell’antica numerazione greca, la lettera κ con apice a destra in alto (κ′) indicava il numero 20, con apice a sinistra in basso (′κ) il numero 20.000; secondo un uso che risale ai filologi alessandrini, il K maiuscolo indica il libro 10° dell’Iliade, il k minuscolo il 10° dell’Odissea. Nel codice alfabetico internazionale, la lettera k viene convenzionalmente identificata dalla parola kilo.