ipermetro
ipèrmetro agg. [dal lat. hypermĕtrus, gr. ὑπέρμετρος, comp. di ὑπερ- «iper-» e μέτρον «misura»]. – In senso ampio, di qualsiasi verso che superi per qualche motivo la misura ordinaria; se ne hanno frequenti esempî nella poesia italiana dei primi secoli, sia con ipermetria reale, eccedente cioè la misura, sia con ipermetria apparente, dovuta al fatto che i copisti o gli stessi autori hanno scritta intera la parola che va invece letta tronca. In senso stretto, furono così detti, dai grammatici antichi, i complessi metrici con una sillaba finale in più, che però si elideva per l’incontro con la vocale iniziale del verso successivo (come avviene, per es., in alcuni esametri dattilici); esempî analoghi si hanno anche nella poesia moderna, come per es. nei seguenti versi del Pascoli (Il sogno della vergine, 61-64): «Sorridile, guardala; appressati, A mamma, ch’ormai non ha più, Per vivere un poco ancor essa, Che il poco di fiato ch’hai tu», dove la sillaba finale di apprèssati (che in realtà non eccede la misura, essendo parola sdrucciola) si fonde con la vocale iniziale del verso seguente, a cui perciò metricamente appartiene, e si rende quindi possibile la rima con essa.