imposizione
impoṡizióne s. f. [dal lat. impositio -onis, der. di imposĭtus, part. pass. di imponĕre «imporre»]. – 1. L’atto di imporre, nel senso proprio di porre sopra, e più spesso nei sign. fig.: i. del giogo ai buoi; i. del nome; i. di tributi, di tasse, di un obbligo. Nella liturgia cristiana, i. delle mani, gesto consistente per lo più nel tenere la mano destra o ambedue le mani stese o levate sopra o verso una persona o cosa, o anche a contatto di essa, con significato simbolico diverso a seconda dei riti (per es., designazione di una persona a un ufficio, consacrazione a Dio di una persona o cosa, trasmissione di un potere): come rito sacramentale è elemento essenziale dei sacramenti della Confermazione e dell’Ordine sacro e come gesto liturgico era ed è tuttora usato in molti riti extrasacramentali (per es., consacrazioni delle vergini, dove questo rito è conservato, esorcismi, benedizioni). 2. Ciò che è imposto, e in partic.: a. Ordine, ingiunzione, soprattutto in quanto vengano da persone che non abbiano diritto e autorità di ordinare e costituiscano perciò un atto d’arbitrio, di prepotenza: non tollero imposizioni da nessuno. b. Con accezione generica, ogni tributo, tassa, imposta: fare ricorso a nuove i., a i. straordinarie. 3. In tipografia (anche impostazione), l’operazione, preliminare alla stampa, con cui il tipografo compositore dispone in apposito telaio le pagine di composizione corrispondenti a un foglio, in modo tale che, stampato e piegato il foglio, le pagine risultino nell’ordine voluto dalla lettura. ◆ Dim. impoṡizioncèlla, poco com. e limitato ai sign. 2 a e b.