guaio
guàio s. m. [dal germ. *wai]. – 1. ant. o letter. Acuto lamento: trarre, mettere, emettere guai; Quivi sospiri, pianti e alti guai Risonavan per l’aere sanza stelle (Dante); gli parve udire un grandissimo pianto e g. altissimi messi da una donna (Boccaccio); in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura (Leopardi). In questo sign., si usa per lo più al plur.; più raro il sing., che può avere valore collettivo: detto questo, sparì con angoscioso guaio (Passavanti). 2. Il male stesso che è causa di lamenti; quindi disgrazia, malanno, situazione dolorosa o difficile (moralmente o anche economicamente): la morte del padre è stata un vero g. per quella povera famiglia; anche in queste accezioni è più com. il plur.: ho anch’io i miei g.; sono g. serî, credimi; i miei guai Nel comune dolor s’incominciaro (Petrarca); Ove fortuna il mena aspra di guai (Foscolo); soprattutto frequenti le locuz. essere nei g., in un mare di g., e mettere nei g. (in partic., mettere nei g. una ragazza, renderla incinta; e analogam., della ragazza, essere nei g., esser rimasta incinta). Per l’uso di guai come esclam. di minaccia, v. guai. 3. Con senso attenuato: a. Danno: quel benedetto ragazzo non combina che guai; è nato, è successo un g.; hai fatto un bel g. a lasciare il rubinetto aperto! b. Impiccio, imbroglio e in genere quanto costituisce un ostacolo o una preoccupazione: m’è capitato un g.; è un brutto g., un grosso g., un maledetto g.; il progetto era bello: il g. era che non avevamo i soldi. c. Contrattempo, fatto o circostanza che procura disagio: è un bel g., ora, questo ritardo del treno.