gozzo1
gózzo1 s. m. [prob. accorciamento di gargozzo]. – 1. Negli uccelli, la porzione dilatata dell’esofago (detta anche ingluvie), in cui il cibo può essere immagazzinato e trattenuto per un certo periodo. 2. estens., pop. a. Stomaco, soprattutto in alcune frasi: empirsi il g., mangiare avidamente, a sazietà; avere il g. pieno, vuoto, e sim. Cfr. i der. ingozzare e ingozzarsi. b. Gola: Cerbero vostro, se ben vi ricorda, Ne porta ancor pelato il mento e ’l g. (Dante); Senza far la scioccheria di morire a g. stretto (Giusti), cioè impiccato; anche in espressioni fig.: le sue parole mi sono rimaste nel g.; ricacciare nel g. un’offesa; ho qualcosa nel g. e bisogna ch’io lo dica; il suo affronto mi sta sul g., mi pesa e non riesco a dimenticarlo. Cfr. anche il der. sgozzare. 3. In medicina, nome dato a condizioni patologiche diverse per natura e origine, che hanno come carattere comune un ingrossamento della ghiandola tiroide a evoluzione generalm. benigna; la forma più tipica e classica è il g. diffuso o endemico, frequentissimo, spec. nel passato, fra gli abitanti di determinate regioni montagnose (per es., alcune vallate delle Alpi, dei Pirenei, del Caucaso). Nel linguaggio com., si dà solitamente il nome di gozzo alla tumefazione del collo che di tale condizione patologica è la manifestazione esteriore. 4. In patologia vegetale, mal del g., malattia dell’erba medica, caratterizzata da tubercoli di 1 e più cm di diametro, che si formano specialmente sugli steli nella parte interrata, per l’infezione di un fungo chitridiale, Urophlyctis alfalfae; le piante attaccate deperiscono e alla fine muoiono. 5. tosc., ant. Tipo di recipiente di vetro privo di piede, con corpo sferico e collo stretto e lungo: Quei bicchieri arrovesciati, E quei gozzi strangolati Sono arnesi da ammalati (Redi).