gollazzo
s. m. Gol molto bello, spettacolare. ◆ Al Palatino mi cerco un sasso comodo e m’appresto a scorrere i giornali superstiti. Finalmente saprò se il gollazzo che ha punito la mia squadra senz’anima è almeno frutto di [Marco] Di Vaio (che mi sta sinceramente simpatico); ma i resoconti non fanno più chiarezza di quanta ne abbia fatta la tv iersera. Anzi, il dubbio che a mandare la palla in rete sia stato uno dei nostri si fa più serio. Maledetta domenica… (Sandro Curzi, Corriere della sera, 3 novembre 1998, p. 47, Sport) • Il Toro è capace di scivoloni amari e imprese esaltanti, in fondo anche questa altalena di certezze contribuisce a rinvigorirne il mito che viene da lontano. La vittoria sulla Lazio, firmata da un inebriante gollazzo di Cristiano Lucarelli in versione similVieri, consolida il nono posto, allontana la zona-retrocessione e sembra proprio dare ragione a patron [Franco] Cimminelli, maestro d’ottimismo, che un simile piazzamento l’aveva preventivato in estate. (Bruno Bernardi, Stampa, 28 gennaio 2002, p. 29, Sport) • I poveri giocano bene, si dannano l’anima, mandano in crisi i ricchi, sono a un passo dal traguardo, ma poi, alla fine, i ricchi vincono, magari con un gollazzo beffardo a una manciata di secondi dal triplice fischio, e i poveri se ne tornano a casa con tanti applausi e tanta delusione. (Giancarlo de Cataldo, Messaggero, 19 giugno 2006, p. 1, Prima pagina).
Adattato dallo spagn. golazo.
Già attestato nella Repubblica dell’11 novembre 1990, p.29, Televisione (Beniamino Placido).