giusto. Finestra di approfondimento
giuste - L’agg. g. può essere riferito a persone, situazioni o cose ed esprime valori che vanno dalla moralità all’adeguatezza a un modello. G. può essere una persona che si comporta secondo giustizia e moralità, con i sinon. buono (che però è più generale), morale, onesto, retto: l’uomo più retto e schietto che fosse al mondo (A. Fogazzaro). Corretto ed equilibrato sono meno legati alla moralità e più all’idea di tenersi lontano dagli eccessi e dalla parzialità di giudizio: si è sempre comportato da persona corretta; egli era felice, equilibrato come un vecchio (I. Svevo). L’aspetto dell’imparzialità del giudizio è specificamente espresso da equanime, equidistante, equo, imparziale, super partes, tutti termini o locuz. formali: figli si ritrovavano tutti di una medesima terra e di un equanime padre (C. Dossi). Obiettivo è termine più com. e dal sign. più esteso, indicando un atteggiamento di ragionevole aderenza alla realtà e alle circostanze: se pensi di meritare un trattamento di favore rispetto ai tuoi fratelli non sei affatto obiettivo.
La persona giusta al momento giusto - Una persona può essere detta g. anche se rispecchia esattamente le esigenze richieste da una determinata situazione. Si può dunque parlare di persona g. al momento g. o nel luogo g.: ho bisogno della persona g. per questo lavoro. Per uomo g. (o, rispettivam., donna giusta), senz’altra specificazione, si intende «persona che merita di essere sposata o con la quale varrebbe la pena di vivere»: non si è mai sposata perché non ha mai trovato l’uomo giusto. Un sinon. fam. del primo sign. è azzeccato: è proprio azzeccato per questa attività.
Cose esatte - Spesso g. è impiegato per indicare la conformità di qualcosa (discorso, risposta, osservazione e sim.) al vero: mi restavano ancora tre minuti di vantaggio sul francese, il conto è giusto (G. Verga). In quest’uso sono molto com. i sinon. corretto ed esatto, il primo dei quali indica per lo più un testo (o un calcolo, un discorso e sim.) genericam. senza errori, mentre il secondo si riferisce preferibilmente all’aderenza del singolo dato al vero o alla necessità: strano segretario, incapace di scrivere due righe d'italiano corretto (A. Fogazzaro); il cronometro distribuisce il tempo esatto per la religione, lo studio, il lavoro, e la ricreazione (G. Faldella). Quest’ultimo agg. è spesso abusato, nello stile colloquiale, anche come semplice avv. a‡ermativo, come sinon. di sì,hai ragione,proprio così,sono d’accordo e sim.: «Dovremmo fermarci a fare benzina» «Esatto». Anche g. può essere usato in questi casi, ma è meno com. di esatto. Di grado più debole, nella scala della verità o dell’esattezza, sono possibili anche fondato e sensato, che esprimono l’idea di una corretta deduzione o di una plausibile ipotesi: i tuoi sospetti non mi sembrano molto fondati; le tue obiezioni sono sensate. Con preciso si sottolinea invece la minuziosità dell’aderenza ai fatti, la meticolosità di una ricerca e sim.: fammi un preciso resoconto di quello che hai visto. In questo caso è possibile anche dettagliato. Per influenza dell’ingl., in luogo di preciso o di esatto è oggi assai com. anche accurato, calco di accurate. Attendibili e affidabili sono invece dati (o discorsi, studi, ecc., e anche persone) dei quali è possibile fidarsi, poiché fondati, seri, ecc., e dunque plausibilmente giusti: queste fonti sono poco attendibili.
Cose che si addicono - Se una cosa (lavoro, discorso, situazione, momento e sim.) va bene per qualcuno si usa dire che è adatta (a,per), appropriata (a,per) o g. ƒper), o, in modo più formale, acconcia, adeguata, confacente, congrua, idonea, opportuna, ecc. Tra questi agg., g. è il più intens., perché sottolinea l’opzione migliore: non mi sembra un abbigliamento appropriato per un matrimonio; sai sempre dire le cose g. per convincermi.
Contrari - Il contr. più com. di g. riferito a persone è ingiusto, mentre per le cose si usa soprattutto sbagliato. Sbagliato, tuttavia, è usato anche come contr. di azzeccato, riferito a persona: ho scelto la persona sbagliata per confidarmi. Una persona che non giudica con imparzialità è detta, oltreché ingiusta, parziale o, intens. e più formale, iniqua: l’iniquo mio zio non volle riconoscermi (S. Pellico). Chi ostenta la volontà di voler favorire una parte rispetto a un’altra sarà fazioso o partigiano: ma in quanto all’arte però non era partigiano, e ammirava ugualmente tutti i generi (G. Verga). Tendenzioso è colui che (o un pensiero, un discorso, e sim., il quale), talora anche subdolamente, mira a sbilanciare l’equità del giudizio altrui: le tue allusioni sono false e tendenziose. Ciò che non corrisponde a verità è, oltreché sbagliato, errato, erroneo, falso o, se non vi corrisponde solo in parte, impreciso. Infondato o insensato è ciò che appare non soltanto sbagliato, ma addirittura privo di ogni ragion d’essere: che idea insensata! Ciò che non si addice a una circostanza o a qualcuno è detto improprio, inadatto, inadeguato, inappropriato, inopportuno o, con uso intens., sbagliato o sconveniente: hai scelto il momento sbagliato per chiedermi di aiutarti.