giungere
giùngere (ant. giùgnere) v. tr. e intr. [lat. iŭngĕre «unire, congiungere»] (io giungo, tu giungi, ecc.; pass. rem. giunsi, giungésti, ecc.; part. pass. giunto). – 1. tr. a. Congiungere, unire, accostare: Per mensola talvolta una figura Si vede giugner le ginocchia al petto (Dante); giugnesti Alle redini del cavallo Il morso (D’Annunzio). Con questa accezione oggi è ant. o poet., ma vive nella locuz. giungere le mani, unirle palma a palma in atto di preghiera o di supplica, e in poche altre, comuni soltanto nella forma del part. pass. (v. giunto1). b. Alla lingua ant. appartengono anche i sign. di aggiungere: pur vai Giugnendo legne al foco (Petrarca); la politezza non solo è piacevole a risguardare, ma giunge anco nobiltà e dignità alle cose vili e sordide per natura (T. Tasso); raggiungere: spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano (Boccaccio); E sempre corsi, e mai non giunsi il fine (Carducci); quindi anche colpire: in sulla testa appunto Fu quel re con un colpo da lui giunto (Berni); e per estens. sorprendere, ingannare: giunto dalle fallaci sue promesse (Firenzuola). 2. Più com. con uso intr. (aus. essere), arrivare: finalmente giunsi a casa; g. in città; sei giunto tardi; non è ancora giunto il momento; la notizia mi giunge nuova; g. in porto, anche fig., riuscire nel proprio intento o, riferito a un lavoro, a un’iniziativa, a un’impresa, aver termine, concludersi con buon esito e sim.; con uso fig.: giunse a sostenere il falso. ◆ Part. pass. giunto, anche come agg. e s. m. (v. giunto1 e giunto2).