gggente
s. f. inv. (iron. scherz.) Massa, gente comune, popolo. ◆ basta guardare [Tony] Blair in televisione ai Comuni per capire subito il perché. Come sguscia e sgattaiola e scodinzola espansivo in Parlamento: furetto, fighetto, furbetto, con una pacca e una drittata per tutti. Sempre ricciolino, sorridente, ammiccante: un fringuello. Non come certi nostri [politici] che procedono ingessati e tetri fra gorilla e fotografi e fingendo che siano la «gggente». (Alberto Arbasino, Repubblica, 16 febbraio 1999, p. 39, Cultura) • E dire che il [Sergio] Chiamparino pubblico non lesina gli incontri. Tre volte la settimana in diretta radio o tv (Radio Energy, Grp e Videogruppo), poi il sabato nel suo ufficio. Signor sindaco, qualcuno maligna che a lei resti ben poco tempo per governare sul serio, dopo tutta questa full-immersion con la «gggente». Che differenza c’è fra il fare «marketing» e la buona amministrazione? Pausa di riflessione: «Credo che siano la stessa cosa». (Emanuela Minucci, Stampa, 20 gennaio 2002, p. 43, In Città) • Lasciamo perdere i discorsi in politichese, che poi la gggente non capisce. (Miska Ruggeri, Libero, 29 gennaio 2005, p. 8, Italia).
Con ripetizione enfatica della consonante g.
Già attestato nella Stampa del 6 aprile 1993, p. 25, Spettacoli (Alessandra Comazzi).