galantuomo
galantuòmo (pop. galantòmo) s. m. [comp. di galante, nel sign. ant. di «onesto, leale», e uomo] (pl. galantuòmini). – 1. Uomo leale, onesto, di principî e di comportamento retti, soprattutto nei rapporti con gli altri: è un vero g., è un fior di g.; povero, ma g.!; parola di g.; comportarsi, agire da g.; Non era in medicina troppo dotto, Ma piacevol nel resto, e g. (Berni); a un g., il qual badi a sé, e stia nei suoi panni, non accadon mai brutti incontri (Manzoni). Nel passato era anche modo fam. di rivolgersi a una persona, spec. di umile condizione, di cui non si sapeva il nome: ehi, voi, galantuomo!; «Scappa, scappa, g.: lì c’è un convento, ecco là una chiesa ...» (Manzoni). In funzione di agg., nell’espressione il re g., soprannome attribuito, dopo la sconfitta del 1849, a Vittorio Emanuele II, che aveva mantenuto fede allo statuto e proposto onorevoli condizioni di pace; e in senso fig., nella frase prov. il tempo è g., col passar del tempo si riparano o si eliminano le ingiustizie. 2. Nell’Italia merid., con riferimento a condizione sociale, possidente, benestante, borghese (e più in partic. usato a designare i residui della classe dirigente borbonica, e i nuovi ricchi formatisi profittando dello sfaldamento del latifondo nobiliare), per lo più in contrapp. alla classe dei contadini o «cafoni». ◆ Accr. galantomóne (non com. il superl., pop., galantomìssimo).