formalismo
s. m. [der. di formale1]. – 1. Attaccamento alla forma esteriore, per cui si trascura o si dà minore importanza a ciò che è sostanziale ed essenziale; rigorosa osservanza delle norme, dei regolamenti, o in genere delle formalità e delle convenzioni: il tradizionale f. dei burocrati; un capoufficio antipatico per il suo arido f.; liberarsi da ogni f. nei rapporti sociali, nei contatti con i proprî dipendenti. 2. Nell’estetica, e nella critica letteraria e artistica, ricerca eccessiva della perfezione stilistica, prevalenza data ai valori formali, per cui più che le cose e i sentimenti da esprimere conta il modo di esprimerli, la parola o il colore o il suono in sé, e l’armonia o piuttosto l’euritmia esteriore, lo stile accademicamente e retoricamente inteso. 3. In filosofia, la considerazione puramente «formale» della realtà, oppure di un determinato ordine di conoscenze, per cui si può distinguere un f. scientifico (concezione delle verità di una scienza, e in partic. della matematica, come fondate su convenzioni o definizioni di simboli), un f. logico, un f. morale, un f. estetico, ecc. 4. In diritto, f. giuridico, concezione (detta anche teoria formale del diritto, con particolare riferimento all’opera Reine Rechtslehre di H. Kelsen, 1934) secondo la quale l’essenza del fenomeno giuridico consiste nella qualificazione da parte del diritto dei varî atti, fatti e comportamenti, i quali perciò non sono giuridici di per sé stessi ma in quanto inseriti e previsti in un ordinamento che conferisce loro significato ed efficacia propriamente giuridici. 5. In matematica: a. In senso tecnico, e per lo più con riferimento a una determinata teoria, il meccanismo formale attraverso il quale viene descritta matematicamente e successivamente applicata la teoria. b. In filosofia della matematica, indirizzo di pensiero che vorrebbe escludere dalle matematiche ogni ricorso all’intuizione e all’esperienza sensibile, dando a esse un fondamento puramente logico.