fallire
v. intr. e tr. [dal lat. fallĕre «ingannare» (nel medio passivo «ingannarsi, sbagliare»), con mutamento di coniug.] (io fallisco, tu fallisci, ecc.). – 1. intr. (aus. avere), ant. Commettere un fallo o una colpa, sbagliare: Fallir forse non fu di scusa indegno (Petrarca). 2. intr. (aus. essere) Venir meno: f. alle promesse; f. all’aspettazione, all’attesa, deluderla. Con soggetto di cosa: poi che forse li fallìa la lena (Dante); tutte le sue speranze sono fallite. Con altro senso, non riuscire, mancare d’effetto: sforzi destinati a f.; le trattative sono fallite; ha fallito nel suo tentativo di scalare tutti gli ottomila della Terra. 3. intr. (aus. essere) Fare fallimento: commerciante costretto a f.; la ditta è fallita; è andato fallito per la sua imprevidenza. 4. tr. Mancare: f. il colpo, non cogliere il segno; anche assol.: ha tirato molte volte senza mai f.; nel tennis, f. la palla, non riuscire a colpirla con la racchetta. 5. tr., ant. Ingannare; fallirsi, ingannarsi. ◆ Part. pres. fallènte, come agg. (ant.), che sbaglia, e più spesso, con senso attivo, che induce in errore, ingannevole. ◆ Part. pass. fallito, frequente come agg., spec. nel sign. 3: un industriale fallito; e come s. m.: l’albo dei falliti; è un fallito, spesso fig., di persona che nella vita non ha concluso nulla, non è riuscita in nessuna delle sue aspirazioni (con senso analogo, dichiararsi fallito, e sim.).