estraneo
estràneo (ant. estrànio e estrano) agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. extraneus, der. di extra «fuori»]. – 1. a. Nell’uso ant. o poet. (per lo più nelle forme estranio, estrano), straniero, forestiero: La cortesia del paladin gagliardo Commendò molto il cavalliero estrano (Ariosto); di naviganti audace stuolo Che mova a ricercar estranio lido (T. Tasso); trabocca D’estranio sangue il piano (Filicaia); In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli (Leopardi); Viandante alla ventura, L’ardue nevi del Cenisio Un estranio superò (Berchet). b. In senso più soggettivo, riferito a luogo o ambiente, non conosciuto, non familiare, con cui non si hanno perciò legami o rapporti affettivi: trovarsi a vivere in un mondo e., in un paese e., in una società e.; fig., farsi e., divenire e., di affetti, desiderî e sim. che non sono più sentiti: è fatto estrano Ogni moto soave al petto mio (Leopardi). 2. a. Che non ha relazione di sangue né altro rapporto con la persona che parla o con le persone di cui si parla: è gente e.; le persone e. alla famiglia; come sost.: per me è un e.; mi ha trattato come un’estranea; dobbiamo più amare il buon estraneo che ’l parente rio (Cavalca). b. Con sign. più generico, che, o chi, non fa parte di una società, di un ambiente, o non è autorizzato a entrare in un luogo: è vietato l’ingresso agli e. o alle persone estranee; quindi, essere, rimanere (e sentirsi, dichiararsi) e. a qualche cosa, non prendervi parte attiva, esserne fuori: io sono e. al fatto; preferisco rimanere e. alla discussione, alla politica, alla questione; per estens., di cose: citazioni, digressioni e. all’argomento. c. In senso materiale, corpo e., qualsiasi formazione solida che dall’esterno penetri nell’organismo animale e rimanga nella compagine dei tessuti provocando disturbi varî: introduzione, presenza, estrazione di un corpo estraneo.