ernia
èrnia s. f. [dal lat. hernia]. – 1. In patologia, fuoriuscita o dislocamento, congenito o acquisito, di un organo o sua parte, dalla propria cavità naturale o dal suo contesto anatomico: e. addominale, che interessa un viscere normalmente contenuto nel cavo dell’addome; e. cerebrale, in cui parte del cervello fuoriesce dalla scatola cranica, rivestita però dalle meningi; e. del disco, spostamento o enucleazione del nucleo polposo di un disco intervertebrale. In assenza di altre specificazioni, il termine indica, in genere, le ernie addominali esterne, che interessano solitamente un’ansa dell’intestino (e. intestinale) la quale viene così a sporgere esternamente in sedi spesso caratteristiche (e. inguinale, e. scrotale, e. crurale), rimanendo però rivestita dal peritoneo e dalla cute (a differenza del prolasso); invece nelle ernie addominali interne l’organo (stomaco, talora intestino, raramente altri visceri) si estroflette o disloca, temporaneamente o permanentemente, in altre sedi, come la cavità toracica nel caso delle e. diaframmatiche, tra cui è particolarm. frequente l’e. iatale. Si distinguono inoltre: e. da sforzo, favorita da un brusco e violento impegno muscolare; e. da debolezza, connessa ad abnorme cedevolezza dei tessuti della parete addominale; e. strozzata, intasata, incarcerata, infiammata, che presentano particolari complicazioni. 2. In botanica: a. Malattia prodotta da un fungo parassita, Plasmodiophora brassicae, che si manifesta sulle radici di crocifere coltivate (cavolo, rapa) e spontanee con tumori isolati o aggregati, determinati dall’ipertrofia delle cellule del cilindro corticale. b. Altro nome (ernia o e. strozzata) della ginocchiatura del culmo osservabile nelle graminacee.