disturbare
v. tr. [dal lat. disturbare, propr. «disperdere, scompigliare», comp. di dis-1 e turbare «turbare»]. – 1. a. Turbare un’attività o una funzione impedendone con interventi molesti il normale svolgimento: d. le lezioni, lo spettacolo, una cerimonia religiosa, una riunione; d. la pubblica quiete con schiamazzi notturni. b. Interrompere o distrarre noiosamente chi attende a un lavoro: il dottore ha una visita e non può essere disturbato per nessun motivo; quando scrivo non voglio essere disturbato; scusi se la vengo a d.; disturbo?, entrando in luogo dove una persona è occupata nel suo lavoro, o avvicinandosi a persone che stanno conversando, ecc. c. Più genericam., recare incomodo o molestia, o anche disagio fisico: se non ti disturbo, vorrei accompagnarti; ti disturba il rumore della macchina da scrivere?; provocare malessere: il dondolio della barca mi disturba; il viaggio in aereo mi ha disturbato. E come sinon. di turbare: ci vuol così poco a d. uno stato felice! (Manzoni). d. Nelle telecomunicazioni, provocare disturbo alla ricezione, soprattutto di radiocomunicazioni, disturbo che può avere cause naturali o tecniche (perturbazioni atmosferiche, scariche prodotte da dispositivi elettrici vicini, interferenze di vario genere), oppure essere procurato intenzionalmente, con emissione di segnali sulla stessa lunghezza d’onda della stazione emittente, che ostacolano o rendono impossibile l’ascolto: stanotte la trasmissione radio è stata molto disturbata dal temporale; d. con un sibilo continuo i notiziarî di una radio clandestina; una rete televisiva disturbata da emittenti private. 2. Come intr. pron. disturbarsi, incomodarsi, prendersi fastidio: s’è voluto disturbare a venir di persona; spec. in frasi di cortesia: grazie, non si disturbi; state comodi, non vi disturbate; perché ti sei voluto disturbare? (anche come frase d’uso per ringraziare d’un regalo, o d’un incomodo che altri si sia preso per noi). ◆ Part. pass. disturbato, anche come agg. e sost. (v. la voce).