discriminare
v. tr. [dal lat. discriminare, der. di discrimen «separazione», da discernĕre «separare»] (io discrìmino, ecc.). – 1. Distinguere, separare, fare una differenza: la storia ... non può d. i fatti in buoni e cattivi (B. Croce). In elettronica, separare un segnale da un altro (v. discriminatore, n. 2). Ant. o raro, separare i capelli con la scriminatura. 2. Adottare in singoli casi o verso singole persone o gruppi di persone un comportamento diverso da quello stabilito per la generalità, o che comunque rivela una disparità di giudizio e di trattamento; anche con uso assol.: per me siete tutti uguali, non discrimino (ma più com. non faccio discriminazione). In partic., nel linguaggio giur.: a. Dichiarare esente da una responsabilità penale o amministrativa mediante provvedimento di discriminazione. b. Togliere il carattere di illiceità a un fatto che costituirebbe reato, o diminuire la responsabilità del colpevole. c. In senso più generale, non applicare, per particolari motivi, a singoli individui i provvedimenti o le sanzioni previsti contro la categoria cui essi appartengono. ◆ Part. pres. discriminante, anche come agg.; usi partic.: circostanza discriminante, nel diritto penale, e più spesso discriminante s. f. (v. la voce); in psicologia, metodo delle funzioni discriminanti, metodo che intende differenziare due o più gruppi di soggetti sulla base di rilevazioni ottenute in rapporto alle risposte date a due o più test. Per un altro uso, come s. m., v. discriminante2. ◆ Part. pass. discriminato, frequente come agg. e sost. (v. la voce).