diramare
v. tr. e intr. [der. di ramo, col pref. di-1]. – 1. tr. Sfoltire una pianta potandone i rami: d. gli ulivi per migliorare il raccolto; o anche privarla di alcuni rami strappandoli. 2. intr. pron. a. Dividersi, prolungarsi, distendersi in rami, detto degli alberi e dei rami stessi o delle fronde che da essi si dipartono, e per estens. di fiumi, strade, vene, nervi, ecc.: il fiume alla foce si dirama a delta; i canali si diramano nella (o per la) campagna; dalla piazza si diramano molte strade; anche fig., di altre cose: una numerosa famiglia, una grande società industriale, una associazione segreta diramatasi in gran parte d’Europa. b. non com. Di persone, separarsi prendendo direzioni diverse: la folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e sinistra, per questa e per quella strada (Manzoni). c. Con l’una e con l’altra delle due prec. accezioni, nel linguaggio letter. e poet., e soprattutto in usi fig., anche senza la particella pron.: Albero che dirama o gemma chiusa ... (Onofri); quei fieri conti e valvassori che diramarono dai Fraolini (Carducci); da questa grossolanità sarebbe stato facile diramare a notarne altre (Sciascia). 3. tr. Inviare, spedire, trasmettere a più persone, uffici e sim.: d. un ordine, una circolare; d. un comunicato alla stampa; d. gli inviti. ◆ Part. pass. diramato, anche come agg.; in araldica, attributo dell’albero con i rami troncati.