dimissione protetta
loc. s.le f. Il dimettere un paziente ricoverato in una struttura sanitaria, assicurandogli un’adeguata assistenza domiciliare. ◆ C’è molto da fare per esigere che i reparti ospedalieri utilizzino le «dimissioni protette». E c’è moltissimo da fare per creare e far funzionare una rete di ospedali-abitazione a dimensione umana, in cui assistere quel 20 per cento di pazienti che non possono essere seguiti a casa. (Maria Grazia Mamoli, Repubblica, 25 gennaio 1998, p. 14, Commenti) • Novità recente invece i centri Alzheimer: ce ne sono 6, raccolgono dai 20 ai 25 utenti al giorno, comportano una struttura con medici, logopedisti, fisioterapisti, geriatri. Da pochi mesi è infine in funzione anche un progetto di «dimissioni protette» attuato in sintonia con gli ospedali: ne hanno usufruito già in 220. (Paolo Brogi, Corriere della sera, 23 novembre 2004, p. 54, Cronaca di Roma) • i sindacati rivendicano «il potenziamento dei servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; l’individuazione di percorsi certi di continuità assistenziale e dimissioni protette; l’esame delle liste di attesa e un piano per il loro abbattimento; l’attivazione di esperienze pilota di Gruppi di cure primarie, e la rete dei servizi integrati socio-sanitari». (Giorgio Longo, Stampa, 17 gennaio 2008, Alessandria, p. 64).
Composto dal s. f. dimissione e dal p. pass. e agg. protetto.
Già attestato nel Corriere della sera del 22 agosto 1994, p. 22, Cronache (Gian Luigi Lenzi).