digerire
v. tr. [dal lat. digerĕre, propr. «distribuire», comp. di dis-1 e gerĕre «portare»] (io digerisco, tu digerisci, ecc.). – 1. Convertire gli alimenti in sostanze atte a nutrire l’organismo (sia di animali sia di piante): d. il pranzo, la cena (e con uso assol.: vado a fare due passi per digerire); d. bene, male, lentamente, con difficoltà; certi cibi non riesco a digerirli; digerirebbe anche il ferro, di persona che ha la digestione facile. 2. Usi fig.: a. D. la sbornia, smaltirla; d. la bile, la rabbia, la stizza, l’ira, farsela passare, liberarsene riacquistando la calma. b. Di cosa grave, spiacevole, tollerare, sopportare: è un affronto che non ho ancora digerito; questa ingiustizia non la digerisco proprio; sono prepotenze che non si possono digerire. Nell’uso fam., anche di cosa per cui si prova avversione: non riesco a d. questo tipo di musica; o di persona noiosa o antipatica: non lo posso davvero digerire. c. Di notizie poco attendibili, di storielle raccontate e sim., crederci, prestar fede (per lo più in frasi negative): questa non la digerisco. d. Di materia di studio, di cognizioni scientifiche, ecc., intendere e assimilare: la sintassi latina non l’ha mai digerita. 3. In chimica, sottoporre una sostanza a digestione (spec. nel sign. 2 a): d. una soluzione proteica (o anche, con uso intr., far digerire ecc.). 4. ant. a. Disporre, ordinare. b. Esaminare, ponderare, discutere. ◆ Part. pres. digerènte (v.), anche come agg. ◆ Part. pass. digerito, e anticam. anche digèsto (v. digesto1).