demonio
demònio (ant. e poet. dimònio) s. m. [dal lat. tardo daemonium, e questo dal gr. δαιμόνιον, propr. neutro sostantivato dell’agg. δαιμόνιος «appartenente alla divinità», der. di δαίμων «demone»] (pl. -î o -ii; ant. anche le dimònia femm.). – 1. Nella tradizione cristiana, spirito e simbolo del male; è per lo più sinon. di diavolo, e gli si attribuisce, fra l’altro, la funzione di guardiano dell’inferno e ministro della giustizia divina nel punire le anime dei dannati: Caron dimonio, con occhi di bragia ... (Dante); essere preso, posseduto, invasato dal demonio. 2. fig. Persona di animo malvagio, e scaltra nell’ideare o provocare il male: è un d., un vero d.; se [don Rodrigo] ha avuto cuore fìn d’allora di mandare que’ due demòni a farmi una figura di quella sorte sulla strada, ora poi, chi sa cosa farà! (Manzoni). Ricorre in molte locuz.: fare il d., buttare tutto sottosopra, fare gran confusione, gridare rabbiosamente; diventare un d., andare in collera dando in escandescenze; avere il d. addosso, essere irrequieto, non avere pace. Di uomo brutto: è orribile come il d.; di persona astuta: è furbo come il d.; di ragazzo irrequieto: è un vero d. (e più affettuosamente: è un demonietto, un caro demonietto); di persona insopportabile, brontolona, esigente, pedante e sim.: avere un d. di suocera, un d. di capoufficio, ecc. Con tono d’ammirazione si dice spesso che è un d. anche una persona assai abile negli affari o che in genere possiede doti e capacità eccezionali. 3. Non com. per demone, nel sign. fig.: avere il d. del gioco, dell’invidia e sim. ◆ Dim. demoniétto; vezz. demoniùccio; pegg. demoniàccio (per lo più riferiti a persona).