deiezione
deiezióne s. f. [dal lat. deiectio -onis, der. di deicĕre «gettare giù o fuori», comp. di de- e iacĕre «gettare»]. – 1. Nel linguaggio medico (e, più generalm., dotto), scarica del ventre, defecazione; in senso concr., e per lo più al plur., gli escrementi (d. alvine). 2. In geologia, deposito dei materiali asportati e trasportati dagli agenti esterni del modellamento terrestre: d. fluviali, d. glaciali, d. eoliche; per il conoide di d. (o alluvionale), v. conoide, n. 2. 3. In vulcanologia, fase di d., fuoriuscita più o meno violenta di prodotti piroclastici dal cratere dei vulcani. 4. ant. a. Condizione e sentimento di decadenza, di abiezione, o di abbattimento morale. b. In astrologia, la condizione di minore influenza di un astro, per essere in opposizione ad altro che ne contrasta l’effetto, o per trovarsi in segno opposto a quello nel quale è maggiore il suo influsso (si contrappone a esaltazione): [Don Ferrante] sapeva parlare a proposito, e come dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de’ circoli massimi, ... d’esaltazione e di deiezione, di transiti e rivoluzioni (Manzoni). 5. Nella filosofia esistenzialista, traduz. del termine ted. Verfallenheit che indica, in partic. nel pensiero di M. Heidegger (1889-1976), il modo di essere inautentico dell’uomo in quanto «è gettato» nel mondo, preso nella quotidianità e nella dimensione impersonale dei rapporti. Più in generale, nel linguaggio filosofico, il termine è stato usato per indicare il limite e, per certi aspetti, i caratteri negativi della finitezza umana.