decente. Finestra di approfondimento
Nell’accezione morale - Gli ambiti semantici degli agg. d. e indecente sono fondamentalmente due: il primo riguarda la morale, il secondo l’appropriatezza in senso lato (estetico, pratico, ecc.). Nella loro accezione più generale, dunque, d. e indecente possono spesso essere considerati sinon., ora più attenuati ora più marcati, rispettivam. di buono e cattivo e di bello e brutto.
In senso morale, d. ha come principali sinon. decoroso e dignitoso, adatti per lo più a comportamenti, azioni e sim. lontani dagli eccessi: come sarebbe stato più decoroso per me se durante tutto quel colloquio io fossi rimasto così mite! (I. Svevo); io mi difendeva con dignitoso silenzio (I. Nievo). Discreto e moderato sono adatti anche alle persone (ma il secondo per lo più a cose e azioni), alludendo alla capacità di non superare i limiti imposti dalla morale corrente: la migliore educazione per i figliuoli è quella d’un savio e discreto padre in una ben regolata famiglia (C. Goldoni); moderato di voglie di speranze di passioni, quando i miei mezzi privati cominciavano a mancarmi, il soccorso pubblico mi era venuto incontro (I. Nievo). Più ricercati sono castigato, morigerato e pudico, che rimandano a una decenza nel modo d’esprimersi (eliminando il turpiloquio) e soprattutto nei costumi sessuali: ti pregherei di assumere un linguaggio più morigerato; non era quello il modo di trattare una donna onesta e pudica (F. Tozzi).
È ormai diventato frequente, per influenza dell’ingl. decent, il sign. di d. come «per bene»: i dirimpettai mi sembrano persone d. (nel senso di «brave persone» e sim.).
Nell’accezione estetica - A metà strada tra il piano morale e quello estetico è il sign. di d. come «conforme alle regole del buon gusto». In questo caso, se ci si riferisce a un abito, d. è sinonimo di pulito (o talora di accurato, elegante, adatto e sim.): se vuoi venire a cena con me, devi metterti un paio di pantaloni decenti. Analogam., se ci si riferisce all’aspetto di una persona, d. si può sostituire con presentabile (nel senso di ben vestito, ordinato, pulito, ecc.): venne con un’amica dall’aspetto non molto presentabile. Anche ciò che è ritenuto adatto, conveniente, appropriato a determinati usi e sim. può essere detto d. (oltreché, per l’appunto, adatto, adeguato, appropriato, conveniente), e anche accettabile, ammissibile, discreto o passabile, se è considerato poco al di sopra della soglia minima di accettabilità: sacrifizi e privazioni gli sorridevano accettabili da lontano, come ci sembra bella la sgualdrina che vediamo pomposamente dimenarsi in fondo al vicolo (V. Imbriani); l’unico grido ammissibile è quello del trionfatore (I. Svevo); in quel ristorante si mangia in modo discreto; un architetto, un teatrista passabile, è più raro a trovarsi nelle provincie che un finanziere amabile a Parigi (S. Bettinelli). In senso un po’ più accentuato, con opportuno si intende invece una cosa, un’azione o un comportamento che è bene assumere (o fare, ecc.) in determinate situazioni; in questi casi, un altro sinon. può essere anche giusto: io ho continuato a vivere adattandomi sempre, e costringendo me stesso a una certa regolarità, che mi sembrava giusta ed opportuna (F. Tozzi).
Contrari - Per passare ora ai contr., indecente, in senso iperb., è un agg. spesso abusato nella lingua com. (parlata, ma anche nello scritto meno sorvegliato), anche in senso estetico, ed è sinon. dell’altrettanto abusato (e inappropriato) osceno, col sign. iperb. di «bruttissimo»: si è comprato delle scarpe indecenti; ha una pettinatura veramente oscena. Propri della lingua anche di registro formale sono invece gli usi di indecente come «non conforme alla morale corrente» (in riferimento sia a persone, sia, più spesso, ad atti, comportamenti, pubblicazioni, filmati, parole e sim.), con i sinon. più generali immorale, indecoroso, scandaloso (letteralm. «che desta scandalo», forse il termine più marcato della serie), sconveniente, scostumato: nessuno meglio di lui sapeva raccontare una novelletta grassa, un aneddoto scandaloso, una gesta da Casanova (G. D’Annunzio); giù le mani, vecchiaccio scostumato! (L. Pirandello). Più formali sono disdicevole, laido e lubrico (gli ultimi due per lo più limitati alla sfera sessuale: è un vecchio laido che non fa che pensare alle ragazzine). Limitati alle abitudini sessuali (o meglio a ciò che mostra esplicitamente atti sessuali) sono anche impudico, inverecondo e pornografico (i primi due agg., decisamente formali, possono essere riferiti anche alle persone: osa farmi passar per impudica? [G.B. Casti]); del registro fam. sono sozzo e sporco: a notte alta guardava sempre film sporchi (ovvero film pornografici). Per lo più limitati all’abuso del turpiloquio sono scurrile e sconcio: egli doveva insieme desiderarla e insultarla in cuor suo, cercar di disonorarla nel proprio concetto, dandole i più sconci nomi del suo orribile linguaggio (E. De Amicis). Più formale è turpe, un tempo col generico sign. di «vergognoso» o «bruttissimo», oggi spesso associato al sesso o al turpiloquio: buoni soltanto a segnare su i muri una turpe figura o una parola sconcia (G. D’Annunzio).
Quanto non rientra nella «convenienza», oltre che indecente può essere detto inaccettabile, inammissibile, intollerabile o, meno fortemente, inadeguato, inopportuno, sconveniente: Sembrami sconveniente cotesto stare rintanata in casa (G. Verga).