cosa /'kɔsa/ [lat. causa "causa", che ha sostituito il lat. class. res]. - ■ s. f. 1. a. (filos.) [tutto quanto esiste, nell'immaginazione, di astratto o d'ideale] ≈ entità, essenza, idea. b. [tutto quanto esiste, nella realtà, di concreto o di materiale: ho ammirato c. bellissime; c. materiali] ≈ (fam.) arnese, oggetto, realtà, (fam.) roba. ● Espressioni: cosa da nulla ≈ bazzecola, inezia, quisquilia; cosa pubblica ≈ repubblica, stato; gran cosa → □. ▲ Locuz. prep.: per la qual cosa ≈ perciò, quindi; per prima cosa ≈ innanzitutto, in primis, in primo luogo, per primo, prima di tutto; sopra ogni (altra) cosa ≈ più di tutto; tra le altre cose ≈ inoltre, tra l'altro. 2. (filos.) [essere singolo, concreto, spec. come oggetto naturale percepito attraverso i sensi: la c. in sé] ≈ ente, entità, essere. 3. [al plur., proprietà: mettere a posto le proprie c.; avere cura delle proprie c.] ≈ affari, averi, beni, interessi, ricchezze. 4. [ciò che succede, che accade: la c. è andata così; sono c. che capitano] ≈ avvenimento, circostanza, episodio, evento, faccenda, fatto, situazione, storia. 5. [ciò che si fa, che si compie: fare una c. per volta; non è stata una bella c. da parte sua] ≈ atto, azione, gesto, lavoro, opera. ▲ Locuz. prep.: a cose fatte ≈ a posteriori. ↔ a priori. 6. [spesso al plur., eventi che riguardano una determinata situazione o un determinato gruppo di persone: badare alle c. di casa; sono c. che non ti riguardano] ≈ affare, faccenda, problema, questione. ● Espressioni: Cosa Nostra ≈ mafia. 7. [ciò che si dice, si pensa o si ascolta: ho sentito c. molto interessanti; non è c. facile a intendersi] ≈ discorso, idea, parola. ● Espressioni: fam., capire una cosa per un'altra ≈ equivocare, fraintendere; fam., dire una cosa per l'altra ≈ confondersi, sbagliare. 8. [ciò per cui accade qualcosa: non litighiamo per una c. del genere!; arrabbiarsi per c. da nulla] ≈ causa, motivo. 9. [al plur., ciò per cui si utilizza qualcosa, utilità: questo strumento serve a molte c.] ≈ funzione, scopo, uso. ■ pron. interr., solo al sing. [come congiunzione introduttiva in frasi interr. dirette e indirette e in frasi esclam.: c. desideri?; non capisco c. pretendi; non so c. pensare] ≈ che, che cosa. □ gran cosa [di oggetto, atto e sim., opera pregevole: quel quadro è veramente una gran c.] ≈ capolavoro, gioiello, meraviglia, opera d'arte, splendore. ↔ (pop.) boiata, obbrobio, orrore, (fam.) porcheria, (fam.) schifezza, (fam.) schifo.
cosa. Finestra di approfondimento
Usi pronominali e anaforici - C. è tra le parole più generiche del lessico ital., destinata per lo più a sostituire termini più specifici non disponibili al momento della conversazione o poco accessibili al livello culturale del parlante; proprio per questo, la frequenza di c. si innalza soprattutto nella lingua orale fam., scarsamente sorvegliata. L’esiguo peso semantico di c. è provato anche dal suo uso come pron. interr., da solo (uso fino ad epoche recenti osteggiato dai puristi ma ormai considerato del tutto normale in ogni registro) o preceduto da che: (che) c. fai stasera?; dimmi (che) c. stai leggendo; e anche dall’esistenza di un pronome come qualcosa, in cui il sost. c. si è agglutinato, grammaticalizzandosi, al pron. qualche. Pressoché infiniti possono dunque essere i sinon. di c., data anche la funzione di ripresa che spesso è propria del termine, soprattutto riferito a frasi o sintagmi verbali: mi sono proprio divertito alla festa di ieri sera, c. che non mi succede molto spesso; parli a voce troppo alta: questa c. rischia di farti passare per una persona maleducata.
Usi lessicali pieni - Di là dagli usi pronominali o anaforici, nel linguaggio fam., c. sta di solito per oggetto, arnese, e si incontra molto spesso accompagnato da un gesto per indicare un oggetto presente: per favore, mi passi quella c. là?; voglio questa c. qui. Talvolta è contrapposto a persona o a sentimento: è troppo attaccato alle c. e troppo poco alle persone. Altre volte, al plur., indica gli «effetti personali»: prenda le sue c. e ci segua in questura. è ora sinon. di abito, indumento (mi metto addosso una c. e scendo), ora di alimento, cibo, pasto (al banchetto di nozze c’erano tante c. buone; c. da mangiare; preferisco le c. salate a quelle dolci; posso offrirti una c. al bar?). Addirittura con c. (anche al masch., coso) si può anche alludere a una persona della quale non si ricordi il nome: c’era anche coso, alla festa, come si chiama il cugino di Luisa? Da c. deriva anche un verbo, cosare (ancora più fam. di c.), che può fare le veci di qualsiasi verbo, in qualsiasi tempo: io ti coserò ... come si dice ... ti citerò in giudizio! Talvolta c. fa le veci di un oggetto di cui non si conosce o non si ricorda il nome: vorrei quella c. che serve per mettere il tappo metallico alle bottiglie.
D’uso com. è anche c. in luogo di idea, concetto, sentimento, stato d’animo e sim.: la gelosia è una c. che non accetto; come si fa ad accettare una c. tanto assurda come il razzismo? Oppure come argomento: la c. di cui stai parlando mi interessa moltissimo. In quest’uso c. si è quasi tecnicizzato: alla fine dei libri di tipo scientifico c’è stato per lungo tempo un indice delle c. notevoli (oggi preferibilmente detto indice analitico o degli argomenti). Analogo l’uso come sinon. di parola, espressione o frase: diceva delle c. lubriche (C. Goldoni).
Dapprima prevalentemente col sign. di «indumento» o «merce», e poi con sign. più generale, è roba, usato come sinon. (nell’uso fam.) di c. (e, più spesso, di cose): ho bisogno di molta roba per preparare quel dolce (ovvero: «di molti ingredienti»); a che serve questa roba qui sul tavolo?; su a rubare, che v’ha roba assai! (G. Villani).
Usi più specifici - Tra i pochi sign. specifici, e quindi senza sinon., di c. si ricorda quello giuridico «tutto ciò che è oggetto di rapporto giuridico». La c. pubblica (latinismo derivato da res publica) è l’insieme delle cose amministrate pubblicamente: la c. pubblica cadrà tutta alle mani dei procaccianti (G. Carducci).
Talora si preferisce l’uso al plur. di c., nel senso di «possedimenti materiali», ovvero, più propriam., averi, beni, guadagni, interessi, ricchezze e sim.: a Dio, a sé, al prossimo si pone / far forza, dico in loro, ed in lor cose, / come udirai con aperta ragione (Dante); oppure nel senso di «eventi di natura più o meno privata»: non è bene interessarsi a queste cose. I sinon. più frequenti saranno in quest’ultimo caso affari e faccende. Analogo è l’uso, sing. o plur., nel senso di attività, impegno, incombenza, problema, questione: prima di partire per le vacanze ho ancora molte c. da fare; c’è una c. di cui dobbiamo parlare.
Anche ciò che si compie o produce può essere detto c. (ha compiuto cose di cui potrebbe pentirsi; ho fatto tante c. per aiutarti), anche nel senso di opera d’arte: ha letto tutte le c. di Moravia; Raffaello ebbe carico di tutte le cose di pittura ed architettura che si facevano in palazzo (G. Vasari). I sinon. possibili sono atto, azione (per lo più materiale), gesto, lavoro, opera. Ancora più generico è l’uso di c. nel senso di «accadimento»: sono successe tante c. da quando ci siamo lasciati; raccontami come sono andate realmente le cose. I sinon. sono faccenda e fatto; più specifici e ricercati sono invece: avvenimento ed evento (per lo più per un accadimento di un certo rilievo: è un evento che ha fatto scalpore), circostanza (per accadimenti per lo più accidentali), episodio e situazione (per accadimenti molto circoscritti), notizia (sono notizie da non credersi!), storia (per una serie di accadimenti: la storia è durata per anni, con alti e bassi).
Espressioni - C. figura infine anche in numerose espressioni e locuz. cristallizzate: in un elenco di argomenti, azioni, ecc. o come introduzione ad un discorso si può esordire con per prima c. ƒper prima c. dimmi con chi eri l’altra sera), come sinon. di innanzitutto, in primis, per cominciare, prima di tutto, ecc. Una formula di congedo e di augurio (prevalentemente centro-merid.) è tante c., o tante belle cose. Per escludere categoricamente la propria partecipazione o interesse, si può dire in alcune regioni non è c. (non coinvolgermi nei tuoi loschi affari: non è proprio c., guarda!). Con c. grosse si intendono «guai seri, cose losche o argomenti importanti»: c. grosse, – disse tra sé il servitore a cui fu dato l’ordine (A. Manzoni). Belle c. è usato spesso iron. per «azioni malvagie, brutte parole» e sim.: belle c. da dirmele proprio sul viso! (A. Manzoni).