conoscere /ko'noʃere/ (o cognoscere) [lat. cognoscĕre, der. di (g)noscĕre "conoscere", col pref. con-] (io conósco, tu conósci, ecc.; pass. rem. conóbbi, conoscésti, ecc.; part. pass. conosciuto). - ■ v. tr. 1. a. [avere notizia di una cosa: c. la verità, le cause di un fatto] ≈ essere al corrente (di), (venire a) sapere. ↔ ignorare. b. [avere cognizione di una cosa: c. il mestiere, una lingua, una tecnica] ≈ essere pratico (di), intendersi (di), (fam.) saperci fare (con), sapere. ↔ ignorare. c. [avere esperienza di qualcosa: c. la fame, la solitudine] ≈ provare, sperimentare. ↔ ignorare. 2. [saper distinguere: nelle disgrazie si conoscono i veri amici] ≈ discernere, distinguere, individuare, ravvisare, riconoscere, vedere. 3. a. [di persone, entrare in rapporto di conoscenza: vorrei c. tuo fratello] ≈ fare conoscenza (con), incontrare. b. (lett.) [avere un rapporto sessuale: c. una donna] ≈ giacere (con), possedere. 4. [preceduto dalla negazione, rifiutare qualcosa: non c. padroni; non vuol c. ragioni] ≈ accettare, ammettere, riconoscere. 5. (non com.) [assol., essere in possesso delle proprie capacità mentali] ≈ avere conoscenza, essere in sé, intendere. ■ conoscersi v. recipr. [intrattenere un rapporto di familiarità: si conoscono da quando erano bambini] ≈ frequentarsi, vedersi. ↔ ignorarsi.
conoscere. Finestra di approfondimento
Conoscenza attiva e passiva - Quando c. si riferisce a una nozione, o a un insieme di nozioni, è talora intercambiabile con sapere, anche se il secondo verbo è assai più frequente e può reggere, a differenza del primo, diversi tipi di subordinata (che, come, perché, quando, se ecc.: so che sei appena tornato da Londra; non so come fai; sai perché mi sono arrabbiato?; non so quando verrà; non so se sia prudente). C., rispetto a sapere, indica di solito una cognizione più attiva e per questo si presta meno di sapere a usi dal sign. per così dire indebolito, come quelli di reggenza appena citati. Per motivi analoghi, sapere ha anche un sign. più grammaticale che lessicale, come verbo servile, ed equivale a «essere in grado di»: non sa andare in bicicletta. Sapere funge talora da segnale discorsivo, per lo più nella posizione di inciso, nel discorso diretto, per mantenere il contatto con l’interlocutore (uso cosiddetto fàtico): fa freddo, sai, per uscire in maniche di camicia. Similmente, sapere può introdurre un enunciato: sai che ore sono?
In riferimento a una cognizione specifica e articolata (per es. una lingua, una notizia, un segreto e sim.) c. e sapere possono essere quasi sinon., anche se c. è meno com. e allude talora a una conoscenza più approfondita e più diretta: conosci l’inglese?; tu conosci tutte le cose più segrete della tua famiglia (F. Tozzi); tu non conosci il mio pensiero più profondo (G. D’Annunzio); non conosco la ragione del suo risentimento. Per conoscenze pratiche, oltre a sapere, altri sinon. possono essere intendersi (di) e i più colloquiali essere pratico (di) e il fam. saperci fare (con): non m’intendo di legge (L. Pirandello); non sono pratico di queste faccende; ci sai fare con i motori?
Conoscere una persona - Proprio perché indica una conoscenza più diretta, c. si è specializzato nel sign. di «essere entrato in rapporti con qualcuno», dove non può essere sostituito da sapere: ma tu conosci bene Beatrice? (E. De Marchi). In questo sign., c. è spesso usato nelle presentazioni: conosce il professor Martini? Venga, glielo presento; non ho il piacere di c. la signorina; ho avuto modo di conoscere Moravia. Il sinon. più appropriato per indicare il momento iniziale del rapporto è fare la conoscenza (di), anche se, in determinati contesti (come nell’ultimo es. citato), si può usare anche incontrare: non ho mai incontrato suo figlio. Sempre in riferimento a persona, ma in senso più accentuato, c. allude alla conoscenza delle pieghe più riposte del carattere o dell’animo di qualcuno: se parli così vuol dire che non mi conosci affatto; tu lo conosci, non avrebbe mai reagito così se non fosse stato provocato.
Il conoscere e il sapere - La distanza semantica tra c. e sapere è ancora più evidente nei due principali der., conoscenza e sapienza, in cui tuttavia il rapporto tra i due sign. sembra quasi invertito. Sapienza è infatti di uso formale limitato a una conoscenza profonda e padroneggiata (spesso è il sommo grado del sapere), laddove conoscenza si riferisce per lo più a un semplice «avere le cognizioni necessarie per sapere». I sinon. più comuni di sapienza sono infatti cultura, dottrina, erudizione, scienza (per conoscenze intellettuali: la cultura del professore spaziava in ogni campo; il poeta dà libero corso alla sua vasta erudizione [F. De Sanctis]); oppure saggezza, senno (per possesso di valori morali e intellettuali più generali e considerati più elevati: suo nonno era fonte di grande saggezza). Talvolta cultura ed erudizione vengono contrapposti, il primo con un valore più alto (analogo a sapienza: assimilazione profonda e personale di conoscenze), il secondo con una sfumatura negativa (sfoggio di conoscenza di nozioni minute e slegate): la sua più che cultura è un’erudizione da telequiz.
I sinon. di conoscenza hanno varie sfumature. Cognizione è più appropriato per conoscenze teoriche o di tipo psicologico (non ho alcuna cognizione di fisica; avere cognizione dei propri limiti), laddove competenza è spesso usato per una conoscenza più pratica (gli manca ogni competenza di informatica), e può avere come sinon., infatti, lo stesso pratica: voi avete pratica degli affari (C. Goldoni). Talora tanto competenza quanto cognizione possono essere sostituiti da esperienza, dal sign. per lo più pratico e generico: che esperienza hai tu di insegnamento a bambini disabili? Se la conoscenza è a un buon livello può essere padronanza: mi stupì la sua padronanza dell’inglese. Più pertinente al piano psicologico è consapevolezza: ha una scarsa consapevolezza dei propri mezzi. Per una conoscenza ora più superficiale ora talmente spiccata da essere quasi scontata si possono usare anche dimestichezza (con) o familiarità (con): i petrarchismi nella letteratura italiana sono inevitabili, data la grande dimestichezza con Petrarca della gran parte dei nostri autori.