concepire
(ant. concèpere e concìpere) v. tr. [lat. concĭpĕre, comp. di con- e capĕre «prendere»] (io concepisco, tu concepisci, ecc.; part. pass. concepito, ant. concètto). – 1. Riferito a donna o ad animale femmina, accogliere in sé il germe di una nuova vita, restare incinta: In un medesimo utero d’un seme Foste concetti, e usciste al mondo insieme (Ariosto); per estens., riferito alle piante e al terreno: E l’altra terra, secondo ch’è degna Per sé e per suo ciel, concepe e figlia Di diverse virtù diverse legna [= piante] (Dante). 2. fig. a. Accogliere nel proprio animo, cominciare a sentire, a provare, a nutrire un certo sentimento: quando l’uomo concepisce amore, tutto il mondo si dilegua dagli occhi suoi (Leopardi); c. un desiderio, una speranza; c. stima, affezione per qualcuno; come hai potuto c. un simile sospetto? b. Accogliere nell’intelletto, nella coscienza, quindi intendere, capire: io aveva concepito tutto il terribile significato di queste parole (Foscolo); non com., capacitarsi: non riesco a c. come tu abbia potuto agire così. c. Accogliere nella fantasia, quindi ideare, immaginare: c. un romanzo, un poema; aveva concepito un piano diabolico; per estens., interpretare in un determinato modo: c. il lavoro come dovere e come diritto; redigere in forma particolare: c’era un cartello così concepito. d. ant. Più genericam., accogliere in sé: non per crudeltà della donna amata, ma per soverchio fuoco nella mente concetto (Boccaccio). ◆ Il part. pres. non si adopera nella forma regolare ed è sostituito dal latinismo concipiènte. ◆ Part. pass. concepito, anche come agg. e sost. (v. la voce). La forma ant. concètto (v. concetto1) è tuttora viva in alcune locuz. del linguaggio religioso, come per es. Maria concetta senza peccato, e rimane inoltre nel nome proprio femm. Concetta (raro il masch. Concetto), che vuol commemorare l’Immacolata Concezione.