che2
che2 〈ké〉 pron. e agg. [lat. quid e altre forme pronominali] (radd. sint.). – È parola frequentissima, con usi varî: può essere pronome relativo, interrogativo, esclamativo, indefinito; con valore interrogativo-esclamativo può avere anche funzioni di aggettivo. 1. Pronome relativo. a. Significa il quale e la quale, i quali e le quali; ha cioè un’unica forma invariabile per ambedue i generi e numeri, può essere riferito a persona o a cosa, e funge normalmente da soggetto (per es.: cercavo qualcuno che mi aiutasse; c’erano delle mosche che mi davano noia), o da compl. oggetto (è lo stesso abito che avevo l’anno scorso; non dire cose che non sai). Per lo più, il pronome segue subito il suo antecedente, ma può anche esserne staccato (e allora ha valore quasi di congiunzione): la mamma è di là che legge; lo trovai in casa che piangeva. Nei compl. indiretti, si ha di regola la forma obliqua cui: l’amico di cui ti ho parlato, il fine a cui tendi, ecc.; ma in testi antichi e nel parlare familiare, che per lo più evita il cui, si ha spesso che, anche con preposizione: questo è il diavolo di che io t’ho parlato (Boccaccio); quel gran seggio a che tu li occhi tieni (Dante); la carta con che si fanno i giornali; conosco le condizioni in che si trova, ecc. Non di rado la preposizione manca, e che significa «a cui» (son un di quei che ’l pianger giova, Petrarca ), o «di cui» (de le foglie Che la materia e tu mi farai degno, Dante; anche con valore partitivo: Vedrai li antichi spiriti dolenti, Ch’a la seconda morte ciascun grida, Dante), e spec. «in cui», con valore sia locativo sia temporale (paese che vai, nella frase prov. «paese che vai, usanza che trovi»; la notte che morì), assumendo talora, nel secondo caso, il valore di «quando»: benedette L’antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre (Leopardi). Talvolta è sentito come congiunzione, e si hanno allora costruzioni più vicine al parlato spontaneo e grammaticalmente meno regolari: il bricco che ci si bolle il latte; è una persona che le debbo riconoscenza; l’amico che gli ho scritto non mi ha risposto; ci sono alcuni fiori che non posso sentirne il profumo; tutti coloro che gli pizzicavan le mani di fare qualche bella impresa, correvan là ... (Manzoni). Nell’uso tosc. il pronome può essere anche sottinteso: védessono lo strazio e la derisione facea di lui (Compagni); gli fece una testa così dai pugni gli diede. b. Con valore neutro, di «la qual cosa», riferito a tutto un concetto precedentemente espresso, e perciò usato dagli scrittori antichi anche in principio di periodo e per lo più determinato dall’articolo: ho tentato tutti i mezzi per dissuaderlo: che era come parlare al muro; I0 veggio ben come le vostre penne Di retro al dittator sen vanno strette, Che de le nostre certo non avvenne (Dante); noi abbiamo bellissime e varie coniugazioni distinte, al paro de’ Latini, nella pronunzia, il che certo non si distingue ne’ Francesi (Foscolo). Preceduto da preposizione è dell’uso letter.: ho perso un buon affare, di che ora mi pento; dovrò restare lontano molto tempo dalla famiglia, al che non so abituarmi; debbo ancora scrivere poche righe, dopo di che avrò finito; bisogna agire con decisione: senza di che tutto sarebbe inutile. Suona pedantesco ed è ormai disus. lo che, per lo che (anche unito: perloché), in luogo di la qual cosa, per la qual cosa. 2. Pronome interrogativo - esclamativo. a. In proposizioni interrogative, dirette o indirette, significa «quale cosa» e può avere funzione di oggetto, di predicato o di complemento: che sarà di noi?; che è questo rumore?; di che ti lamenti?; non so con che viva; non voglio aver che fare con lui. È spesso seguito da cosa: che cosa vuoi?; non capisco di che cosa ti lamenti; e nel linguaggio corrente si adopera spesso anche il semplice cosa: cosa vuoi?; non so cosa pretendi. Avendo valore neutro, l’accordo del predicato si fa sempre al maschile: che è successo?; che cosa hai fatto? Usi particolari: avere di che, avere motivo: se protesto, vuol dire che ho di che; non avere di che …, non avere soldi o roba o cibo con cui, ecc.: non ha di che pagare la pigione; non ha di che vestirsi; non hanno di che nutrirsi; non aveva di che vivere; comune è anche non c’è che dire, non c’è nulla da obiettare: tutto è riuscito benissimo, non c’è che dire; e con ironia: ti sei comportato proprio bene, non c’è che dire; comunissima poi la formula di cortesia non c’è di che, come risposta a un grazie. Come vivace inizio di frasi interrogative: Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? (Manzoni); che vai in giro con questo freddo?; e con più efficacia, ponendo un’interrogazione già dopo il pronome: Che? hai voglia di scherzare?; o facendolo anche precedere da congiunzione: E che? vorresti svignartela?; O che? avresti forse paura?; Ma che? pensi di non pagare? Inoltre: che per ciò?, annunciando o ascoltando cosa alle cui conseguenze si vuol fare mostra di non credere (sostieni che il torto è mio: che per ciò?); a che?, a qual fine, a qual pro (a che far tante questioni?); che più?, che dovrei fare, o dire, di più, e sim. (che più? vi ho detto quanto sapevo); efficace la locuz. fam. che è che non è, tutt’a un tratto, da un momento all’altro: me ne stavo beato in poltrona quando, che è che non è, mi capita davanti lui. Può essere anche sostantivato nella formula il che e il come, cioè la sostanza di una cosa, di un fatto, e i suoi modi: ha voluto sapere il che e il come di tutta la faccenda, ne ha preteso un’esposizione, minuta, particolareggiata; penserò io al che e al come, a ogni cosa. b. Con lo stesso sign., che viene usato anche in frasi esclamative: che sento!; che ci doveva capitare!; e anche in queste può essere seguito (o addirittura sostituito) da cosa: ma (che) cosa mi tocca sentire! Come esclam. negativa, ma che! (o macché!), per nulla, niente affatto, neanche per sogno: Credi ch’egli ti voglia aiutare? Ma che! lèvatelo dalla testa. 3. Aggettivo interrogativo - esclamativo. In frasi interrogative, che, seguito da un nome, è equivalente a «quale», usato per ambedue i generi e numeri: che uomo è?; E che gent’è, che par nel duol sì vinta? (Dante); vedi in che stato s’è ridotto; disse non so che parole. Similmente in frasi esclamative: ma guarda che tipo!; che gente!; che diavolo di ragazza!; che idee!; che birbone! Viene anche usato davanti a un aggettivo, che la norma vorrebbe seguito da un nome: che splendido panorama!; che bella giornata!; che gran disgrazia!; guarda in che bel pasticcio mi trovo!; ma che può essere anche isolato, in funzione predicativa, nel qual caso che acquista quasi valore di «quanto»: O che lieve è inganar chi s’assecura! (Petrarca); senza la copula, il nesso che esclamativo più aggettivo è frequente nell’uso region. (soprattutto settentr.): che bello!; che simpatico!; ecc. In espressioni analoghe di ammirazione o di biasimo, che è anche posposto all’aggettivo: pazzo che sei!; belle che sono quelle margherite! 4. Pronome indefinito. Che ha valore di pron. indefinito in locuz. quali un che, un certo che, (un) non so che, un certo non so che, le quali indicano tutte qualcosa d’indeterminato: c’è un che in lui che non mi piace; vi è nel suo aspetto un certo che di nordico; vi è non so che di strano in questa faccenda; mi sento un certo che nello stomaco!; avere un che di qualcuno, assomigliargli vagamente: non ti pare che, con quei capelli e la barba, abbia un che di Garibaldi?; gran che, cosa (o persona) di qualche importanza (spec. in frasi negative o di valore negativo: si crede di essere un gran che; non sono riuscito a concludere gran che; gli sembra di aver fatto gran che!); bel che, cosa bella, qualcosa di bello, per lo più in frasi esclamative e di tono ironico, ma oggi poco com. (hai fatto un bel che!; è un bel che vincere con le carte che avevi tu!); un minimo che, ogni minimo che, la più piccola cosa, un nonnulla (si spaventa per un minimo che). Per i pronomi composti alcun che, che che, che che sia, v. alcunché, checché, checchessia. ◆ Davanti a vocale, spec. davanti a e, può subire l’elisione.