casto
agg. [lat. castus, prob. connesso con carere «esser privo» (e quindi propr. «esente da colpa»)]. – 1. a. Che si astiene, con gli atti e con la mente, dai piaceri sessuali, sia in modo assoluto (una fanciulla c.; le c. vergini) sia con l’osservanza di precise norme morali (come per es. la fedeltà coniugale: sposa, moglie c.; la c. Penelope): mantenersi c.; serbarsi c.; fare il c. Giuseppe o la c. Susanna, modi prov. iron., affettare severità di costumi: con riferimento, il primo, a Giuseppe figlio di Giacobbe che, venduto dai fratelli e portato in Egitto, seppe qui conquistarsi la fiducia di Putifarre, capitano delle guardie del faraone, ma, avendo resistito alle seduzioni della moglie di lui, fu da questa falsamente accusato e perciò gettato in carcere (Genesi, 37-39); il secondo all’episodio biblico del libro di Daniele, in cui si narra di una giovane virtuosa, Susanna, insidiata da due anziani ebrei che, respinti, la accusano ingiustamente di adulterio, ma vengono smascherati da Daniele. b. Per traslato (oggi quasi esclusivam. in senso iron. o scherz.), il c. letto, il c. talamo coniugale o nuziale, il letto matrimoniale (in quanto l’amore tra coniugi è lecito). Con altro senso fig., letter., semplice, di una semplicità sobria e severa: La sala da pranzo degli avi più casta d’un refettorio (Gozzano). 2. estens. Puro, innocente, virtuoso: i vegliardi che ai c. pensieri Della tomba già schiudon la mente (Manzoni); parole c., un c. linguaggio; immagini c.; vita c.; costumi c.; amore c., affetti c.; occhi c., verecondi, innocenti, che rivelano la purezza dello spirito: li occhi casti Di Marzia tua (Dante); c. orecchie, che non sono avvezze a udire né possono soffrire espressioni che offendono il pudore. ◆ Avv. castaménte, in modo casto, secondo una consuetudine di castità: vivere, amarsi castamente.