capire
v. intr. e tr. [lat. capĕre, con mutamento di coniugazione] (io capisco, tu capisci, ecc.). – 1. a. intr. (aus. avere, ma i tempi composti sono rari), non com. Poter stare o entrare in un luogo, esservi contenuto (cfr. capere); usato spec. in senso fig.: né mi potrà più capir nel pensiero ch’in animo celeste possa accendersi desiderio carnale (T. Tasso); in espressioni ormai disus. come non c. in sé stesso, non c. nei panni dalla gioia, e sim.: non capiva in sé dall’allegrezza nel sentir questi preliminari d’una sfida (D’Azeglio); il nonno non ci capiva più nella camicia dalla contentezza (Verga). b. tr., ant. Contenere, accogliere in sé: Vengon tanti, che le piazze Non ne posson più capir (Berchet). 2. tr. a. Comprendere con l’intelletto, intendere: capisco bene quello che dici; questa lezione non l’ho capita; capii subito di che si trattava; anche, arrivare a sentire (o a leggere) ciò che altri dice (o scrive): ero così distante che non sono riuscito a c. una parola del suo discorso; non capisco quello che c’è scritto qui. Locuzioni: c. a volo (o al volo), essere svelto nell’intendere; c. una cosa per l’altra, e pop. c. fischi per fiaschi, intendere a rovescio, fraintendere; c. il latino, c. l’antifona, intendere ciò che è detto velatamente. Assol., e determinato da un avv. di quantità, avere capacità d’intendere: è un ragazzo che capisce poco, molto, ecc. b. Afferrare e penetrare profondamente con l’intelletto, sentire intimamente (usato anche assol.): c. tutta la bellezza di un’opera, di un gesto; c. l’importanza di un fatto, la portata di un avvenimento storico; c. la poesia di Dante, l’arte di Picasso; c. solo in parte è forse l’unico modo di c. (Giuseppe Pontiggia). c. C. una persona, penetrarne l’animo, le intenzioni, il carattere: non ti capisco proprio; è un ragazzo che nessuno riesce a c.; chi capisce le donne è bravo; anche, intendere a fondo i veri motivi di un comportamento, la natura della psiche di una o più persone, e quindi considerare con indulgenza, giustificare, scusare: i giovani bisogna capirli!; come ti capisco! Rifl. recipr.: si capirono al primo sguardo; sono due persone, due anime che si capiscono perfettamente, che hanno carattere e gusti affini e perciò vanno d’accordo; in altri casi ha il senso più generico di intendersi, cioè capire ciascuno ciò che l’altro intende dire: credo che ci siamo capiti; ma può essere anche modo brusco per esprimere intransigenza su quanto si è raccomandato o ordinato: allora, ci siamo capiti? d. Rendersi convinto, esser persuaso: capisco che non potevi fare diversamente; capisco, ho capito (in risposta a un discorso che ci venga fatto), va bene, non occorre altro. e. Altri modi fam.: capisci?, hai capito?, per fermare l’attenzione altrui su quanto si dice o per rafforzare un rimprovero, una minaccia: a noi invece, a noi importava... capisci?, costruire qualcosa che riproducesse quello che avviene dentro qui (Buzzati); non voler c., non c. ragione, ostinarsi nella propria opinione, non lasciarsi convincere; far c. la ragione a qualcuno, convincerlo di ciò che è giusto (o persuaderlo a fare ciò che è giusto), anche con la forza. Spesso il verbo è usato per sottolineare l’evidenza di un fatto: tu capisci che è contro il mio interesse; capirete che anch’io ci debbo guadagnare qualche cosa; voi capite bene che non posso accettare. Abbastanza diffuso, nella lingua parlata, l’inciso capirai!, per esprimere difficoltà o sorpresa di fronte a un fatto, a una proposta: vorrei aiutarlo, ma, capirai, diffidente com’è lui! Col si impersonale, si capisce, è naturale, è superfluo il dirlo: si capisce che ne rispondo io; ti rimborserò tutte le spese, si capisce.