callo
s. m. [lat. callum e callus (al plur. sempre calli)]. – 1. a. Ispessimento circoscritto (con termine medico detto anche clavo o tiloma) o diffuso (callosità, durone) dello strato corneo dell’epidermide, che si produce nelle regioni sottoposte a pressioni o attriti ripetuti e prolungati (pianta e dita dei piedi, palma della mano, ecc.) ed è spesso causa di acuti dolori: avere i c. alle mani, ai piedi; venire, farsi venire i c. alle mani, con lavori faticosi (fig., fare il c. a qualcosa, abituarcisi); levare, estirpare, curare i c.; pestare i c. a qualcuno, pestargli i piedi (nella ressa o altrimenti), e fig. infastidirlo, ostacolarlo nella sua attività e nelle sue aspirazioni; fig., non lasciarsi pestare i c., non tollerare soprusi. b. Per estens., in locuzioni del linguaggio medico: c. cardiaco, cicatrice o zona sclerotica che si presenta nel miocardio, in conseguenza di processi morbosi (infarti, miocarditi), che hanno portato alla distruzione di una o più aree di tessuto muscolare del cuore e alla sua sostituzione col tessuto connettivo cicatriziale; c. di frattura, tessuto di riparazione che si forma in corrispondenza della rima di frattura dell’osso e ne determina la saldatura; c. tendineo, la cicatrice che riunisce i due monconi di un tendine reciso. 2. Protuberanza callosa delle gambe dei cavalli o di altri animali in vicinanza delle articolazioni; nelle carni macellate, la parte bianca e callosa che si trova insieme col muscolo. 3. In botanica, massa di tessuto indifferenziato di tipo parenchimatico, che si forma in seguito ad accrescimento e proliferazione di cellule sulla superficie di ferita di un organo con lo scopo di cicatrizzarla. Anche, il deposito di sostanze varie (note col nome di callosi), che ostruisce, durante l’inverno, le placche cribrose delle piante.