arrivare. Finestra di approfondimento
Spostamenti di luogo - Anche a., così come andare (v. la scheda relativa), è spesso sostituito, nella lingua burocr. o inutilmente ricercata, da termini ritenuti più formali o più specifici, quali giungere, pervenire, sopraggiungere. Talora, peraltro, questi verbi hanno sfumature particolari e non possono essere intercambiabili. Per es. si può dire: è sopraggiunto un problema, un imprevisto e sim., ma non: è arrivato o giunto un problema, perché sopraggiungere (col sinon. sopravvenire) è il termine corretto con sogg. inanimati (nel qual caso significa «verificarsi» o «accadere all’improvviso»), a differenza di arrivare. Pervenire è usato per lo più nella lingua burocr. (le domande devono pervenire all’ufficio competente entro e non oltre trenta giorni dalla data di pubblicazione del bando). Giungere è quasi perfettamente sinon. (ma più formale) di a., tolta qualche espressione cristallizzata (questa mi giunge nuova!), anche se a. esprime meglio il concetto della meta, dello scopo o della fine del viaggio: sono stanco e spero di a. presto.
Non a caso, il principale der. di a., il sost. arrivo, si è specializzato proprio nel sign. di «traguardo»: il campione in carica è stato il primo a raggiungere l’arrivo. Sempre incentrato sul concetto del traguardo, della fine del viaggio o della traiettoria è raggiungere: ho raggiunto Parigi dopo aver guidato per quattordici ore. L’idea del termine e dello scopo è presente anche nell’espressione fig. a. (fino) in fondo, che indica la tenacia di chi non vuole lasciare nulla di incompiuto o di intentato (l’indagine deve a. fino in fondo, anche a costo di coinvolgere persone importanti). Così pure nell’accezione di a. (o raggiungere) come «riuscire a contattare una persona importante» (è arrivato al presidente, pur di ottenere giustizia). Analogam., in tutte quelle espressioni in cui a. ha il valore di «raggiungere un livello o un termine»: non arriva al soffitto (ovvero: non riesce a toccarlo); non arriverà a domani (ovvero: morirà entro oggi). In certi casi a. può essere sostituito da venire, quando il luogo nel quale si arriva è il medesimo in cui si trova (o si è trovato o si sta per trovare) chi usa il verbo stesso: sono venuto fin qui per niente?; zitti, sta venendo qualcuno!; quando ci si annoia, il momento d’andarsene non viene mai; è venuto il momento di darvi una bella notizia. Fondamentalmente legato all’idea (per lo più negativa) dell’arrivo improvviso è invece piombare: sei piombato qui senza avvertire; questa brutta notizia m’è piombata addosso del tutto inaspettata.
Metafore dell’arrivare - Tra gli altri sign. di a. si segnala quello di «giungere fino a una certa quantità». In questo caso come sinon. più precisi e meno fam. si danno ammontare e assommare (più adatti se si parla di soldi: i danni ammontano a 8000 euro), misurare (per entità misurabili: la distanza tra il tavolo e il divano misura due metri), raggiungere (soprattutto per estensioni di cui si sottolinei l’eccezionalità, in senso positivo o negativo: a mala pena raggiunge il metro d’altezza; raggiunse la velocità di trecento chilometri orari; in quest’ultimo es. è disponibile anche il sinon. toccare). Un’altra serie di sinon. di a. nel significato di «avere il coraggio» è quella di permettersi (come ti permetti di dirmi certe cose?), spingersi (si è spinto fino a minacciarlo), di fronte ai più formali arrischiarsi (non arrischiarti a scusarla! [L. Pirandello]), avere l’ardire (avreste voi avuto l’ardire di portar via un abito alla signora Clarice? [C. Goldoni]), azzardarsi (non vi azzardate a rispondergli con calore [C. Goldoni]), osare (non osammo varcare la soglia [E. De Marchi]). Meno com. è l’uso di a. nel sign. di «toccare in sorte» (mi è arrivata quest’opportunità quando meno me l’aspettavo), rispetto ai più frequenti capitare (gli è capitata proprio una bella fortuna), presentarsi, succedere (meno com.: accadere, avvenire, occorrere, offrirsi, sopraggiungere), rispetto ai quali tuttavia a. sottolinea la componente della sorpresa. Molto com. è invece il sign. di «raggiungere il successo», in cui a., farcela, farsi strada, riuscire e sfondare si affiancano ai più ricercati affermarsi, emergere, fare carriera.
Persone arrivate - Da quest’ultima accezione ha preso vita il comunissimo agg. (anche sostantivato) arrivato, spesso usato in senso spreg. (rispetto ai meno marcati affermato e realizzato): ora che è un uomo arrivato si dà un sacco di arie; gli arrivati non riconoscono mai i loro maestri. Per restare sull’agg. arrivato, sono com. anche altre due accezioni fam.: quella di «non più efficiente» (sinon. marcato di fuori uso, guasto, inefficiente, inservibile, inutilizzabile, rotto, rovinato, ma meno fam. di sfasciato e scassato), talora usato anche in riferimento a persone, come sinon. fam. di rimbambito, smemorato (ho dimenticato il mio numero di telefono, sono proprio arrivato!); e quella di «stanchissimo» (sinon. di distrutto e, fam., cotto: ho trasportato venti casse e ora sono proprio arrivato).
Arrivarci - D’uso fam. è arrivarci nel senso di «arrivare a capire, a comprendere, a intuire e sim.». Rispetto ai sinon. afferrare, capire, cogliere, comprendere, intendere, realizzare (quest’ultimo influenzato dall’ingl. to realize) e rendersi conto, arrivarci sottolinea spesso, in senso negativo, il non essere sveglio, pronto, furbo: poveretto, non ci arriva proprio!