Fábri, Zoltán
Regista e scenografo cinematografico ungherese, nato a Budapest il 15 ottobre 1917 e morto ivi il 24 agosto 1994.
Considerato il più autorevole rappresentante della cinematografia magiara del secondo dopoguerra, fu il primo regista ungherese a raggiungere la notorietà internazionale: autore di film emblematici, continuò a essere un protagonista anche dopo la repressione sovietica del 1956, esercitando una certa influenza sulle nuove correnti cinematografiche degli anni Sessanta, critiche nei confronti dello stalinismo e impegnate nel dibattito storico. Ottenne nel 1957 il Gran premio al Festival di Karlovy Vary per Hannibál tanár úr (1956, Il professore Annibale), un film che, alludendo al culto della personalità, era una metafora del presente. Venne inoltre premiato al Festival di Mosca nel 1965 per Húsz óra (Venti ore), nel 1977 per Az ötödik pecsét (1976, Il quinto sigillo), mentre nel 1979 gli venne conferito, nel corso di tale manifestazione, un premio onorario per il suo contributo al cinema.
Dopo aver compiuto studi artistici, si diplomò all'Accademia di arte drammatica di Budapest nel 1941, e iniziò a lavorare per il Nemzeti Szinház (Teatro nazionale) come attore, regista e scenografo (in seguito avrebbe firmato anche le scenografie dei suoi film). Nel dopoguerra, dopo la nazionalizzazione del teatro e del cinema (1948), divenne direttore del Teatro dei pionieri, dedicato ai testi per ragazzi, e assunse la direzione artistica dello Hunnia Film Stúdió. Esordì nella regia con Vihar (1952, La tempesta), pur continuando a mantenere un costante impegno sulle scene. Nel 1956 riportò un grande successo al Festival di Cannes con Körhinta (1955, La piccola giostra), elogiato anche da G. Sadoul e da A. Bazin per la freschezza con cui racconta una storia d'amore, versione magiara moderna di Romeo e Giulietta, ambientata nei primi anni della collettivizzazione forzata delle campagne. Il film, che affronta il tema dell'atteggiamento dei giovani nei confronti della tradizione, costituisce un tipico esempio della creatività di F., legata al folclore e ai problemi sociali, con attenzione alle sfumature psicologiche e alle ambientazioni rurali, ed ebbe inoltre il merito di rivelare Mari Törőcsik, una delle più grandi interpreti ungheresi del dopoguerra, apparsa anche nei film di Miklós Jancsó. Un forte impatto sul pubblico ebbe Hannibál tanár úr, una satira contro le dittature che arrivò nelle sale una settimana prima che i carri armati sovietici entrassero a Budapest (4 nov. 1956), e che, sebbene ambientata negli anni Trenta durante il regime di M. Horthy, diventò il simbolo della protesta popolare. Narra la grottesca vicenda di un timido professore di liceo (di nome Nyúl, "coniglio") che con sua grande sorpresa, a causa di un suo saggio su Annibale pubblicato nel bollettino della scuola, viene perseguitato con l'accusa di avere falsificato la storia, e costretto a ritrattare in pubblico.Il primo film realizzato dopo la repressione, Két félidö a pokolban (1961, Due tempi all'inferno), è ambientato in un lager dove si gioca una drammatica partita di calcio tra internati e nazisti, seguito poi da Nappali Sötétség (1963, Oscurità durante il giorno), premio speciale al Festival di Locarno nel 1964. Nello stesso anno F. divenne presidente della Film és TV Művészek Szövetsége (Federazione degli artisti ungheresi del cinema e della televisione) e professore all'Accademia d'arte drammatica di Budapest. La sua opera più complessa per risvolti estetici e filosofici, realizzata nel clima di distensione all'epoca del governo di J. Kádár, è Húsz óra; concepito come un reportage sugli effetti dello stalinismo nelle campagne (ma allo stesso tempo presentato come se si trattasse del rapporto di un commissario politico), il film ripercorre la storia del Paese dal dopoguerra agli anni Sessanta attraverso le testimonianze, raccolte da un giornalista, degli abitanti di un piccolo villaggio: la loro unanime partecipazione alla riforma agraria e alla distribuzione delle terre e il dividersi dei loro destini dopo la forzata creazione delle cooperative agricole nel periodo stalinista. Tra i suoi lavori va segnalata la coproduzione ungherese-statunitense A Pál utcai fiúk (1968; I ragazzi della via Paal), adattamento del famoso romanzo di F. Molnár, che ottenne una nomination all'Oscar. Anche in questo film non mancano i riferimenti politici, poiché in esso i bambini di una grande città fondano una repubblica democratica e la difendono con la vita, cosa che gli adulti, sembra suggerire il regista, non sono riusciti a fare. Ancora una riflessione sul potere e, in particolare, sul persistere di una mentalità servile, retaggio mai superato della società feudale ‒ un tema ricorrente nel cinema ungherese del periodo ‒ è anche Isten hozta örnagy úr (1969, La famiglia Tot), dal romanzo di I. Orkény, nel quale una famiglia subisce le umiliazioni di un ufficiale con la speranza di facilitare la carriera del figlio, nel frattempo morto in prima linea.
L'esperienza della guerra e del fascismo vissuti durante la giovinezza segnarono tutta la creazione artistica del regista, tanto che è possibile individuare nella sua produzione un ciclo antifascista, di cui fa parte un'opera come 141 perc a befejezetlen mondatból (1974, 141 minuti prima della sentenza incompiuta), dal romanzo di T. Déry, sulla posizione degli intellettuali ungheresi prima e durante la guerra, con un montaggio creativo che non segue l'ordine cronologico. Il protagonista è un simpatizzante comunista che durante la guerra viene ucciso per ordine del suo migliore amico; ma la sua morte non ha nulla di eroico, e del personaggio F. sottolinea soprattutto la prudenza, un atteggiamento che conduce inevitabilmente alla sconfitta (già nel 1954 il regista si era espresso pubblicamente sulla stampa invitando i cineasti all'audacia). F. fu anche attore in alcuni film tra cui A tanú (1969, Il testimone) diretto da Peter Bacsó e a lungo censurato. Continuò a lavorare negli anni Ottanta e il suo Requiem venne premiato al Festival di Berlino nel 1981 per il soggetto e la sceneggiatura.
N. Hibbin, Eastern Europe, London 1969, pp. 63-65; A. White, New cinema in Eastern Europe, London 1971, pp. 62-66; B. Burns, World cinema: Hungary, Trowbridge (Wiltshire)-Cranbury (NJ) 1996, pp. 40-46 e passim.