ZOLFO (fr. soufre; sp. azufre; ted. Schwefel; ingl. sulphur)
Elemento metalloidico, simbolo S, peso atomico 32,06 (O = 16), numero atomico 16. A.-L. Lavoisier è stato il primo a riconoscere la natura elementare di questo corpo.
Stato naturale. - Lo zolfo si trova in natura allo stato nativo in forma cristallina (Caltanissetta, Agrigento, Romagna) o in grosse croste nei coni vulcanici; si trova in enormi quantità misto a gesso, celestina, aragonite, sostanze terrose, bitumi. Questo minerale solfifero, che può contenere da 15 a 80% di zolfo, è particolarmente abbondante in Sicilia e nella Luisiana (S. U.); giacimenti si hanno anche nel Giappone, nel Caucaso, nella Nuova Zelanda e in Romagna.
Allo stato di combinazione lo zolfo si trova come acido solfidrico (H2S) nelle acque sulfuree e come anidride solforosa (SO2) nelle emanazioni vulcaniche.
Abbondanti sono pure i solfuri metallici come la pirite (FeS2), la blenda (ZnS), la galena (PbS), la calcopirite (CuS•FeS), il cinabro (HgS), la stibina (Sb3S9), ecc.
Tra i solfati naturali più importanti sono da ricordarsi quelli di calcio (gesso, anidrite), di stronzio (celestina), di bario (baritina), di piombo (anglesite), ecc.
Lo zolfo entra anche in molti composti organici naturali come l'albumina, la caseina, prodotti del derma, olî di crucifere, ecc. Alcuni batterî (Beggiatoa) e alghe contengono zolfo libero.
Proprietà fisiche e stati allotropici. - Lo zolfo è di colore giallo tanto più intenso quanto più la temperatura è elevata: a −50° è pressoché bianco.
Allo stato naturale e nella sua forma più comune e stabile lo zolfo è cristallizzato nel sistema rombico (v. appresso). Ha il peso specifico 2,03-2,06; è cattivo conduttore del calore e dell'elettricità; per strofinio si carica negativamente. E diamagnetico; le costanti dielettriche nelle direzioni dei tre assi sono 4,773; 3,970; 3,811. La rifrazione atomica dello zolfo è 7,70 (riga α dell'idrogeno, formula n − 1/d). La forma comune rombica si designa anche con Sα.
A 95° lo zolfo si trasforma in zolfo monoclino (Sβ). Lo zolfo ordinario, riscaldato rapidamente, fonde a 112-114°, corrispondente alla temperatura di fusione di Sβ.
Lo zolfo fuso è giallo e mobile a temperatura di poco superiore a quella di fusione; a 160° diviene denso e di color aranciato; a 220° diviene sempre più scuro e vischioso e la vischiosità diviene massima a circa 260°, poi decresce; a 440°,6 bolle dando vapori rosso bruni che divengono gialli a 600°, pressoché incolori a 1000°, azzurri a 1400°.
Oltre a Sα e Sβ si conosce anche una varietà amorfa che si ottiene raffreddando bruscamente i vapori di zolfo (fiori di zolfo). Altre varietà amorfe si ottengono decomponendo con acidi soluzioni di polisolfuri o iposolfiti.
Queste forme sono miscugli di due forme Sλ e Sμ, la prima solubile in solfuro di carbonio, la seconda insolubile.
Versando un sottile getto di zolfo, fuso a una temperatura superiore a 300°, in acqua fredda, s'ottiene una varietà molle, elastica (zolfo plastico) che lentamente si trasforma in Sα.
Lo zolfo liquido probabilmente è una miscela di Sλ e Sμ, la prima scorrevole, la seconda vischiosa. Col crescere della temperatura l'equilibrio tende a spostarsi verso Sμ, ciò che porta la vischiosità a valori crescenti fino a un massimo, poiché poi interviene l'influenza generale della temperatura che tende a diminuire la vischiosità di qualunque liquido.
Nello zolfo ordinario sono stati identificati i tre isotopi 32, 33, 34. Lo zolfo bombardato con neutroni dà un isotopo radioattivo del fosforo P³1%05$$$(Fermi).
Peso molecolare dello zolfo. - A una temperatura di poco superiore a quella di ebollizione, la densità di vapore dello zolfo corrisponde a S8: a più alta temperatura questa molecola complessa si scinde e a 1500° corrisponde a S2; a 2400° si ha una miscela di molecole S2 e S.
Anche le ricerche crioscopiche ed ebullioscopiche con soluzioni di zolfo confermano la complessità della molecola.
Proprietà chimiche dello zolfo. - Lo zolfo, unitamente al selenio e tellurio, fa parte della serie dispari del 6° gruppo del sistema periodico. È perciò un elemento elettronegativo; nella forma limite (SO3) è esavalente; in SO2 e derivati è tetravalente. Con l'idrogeno e i metalli si comporta come bivalente.
Si combina direttamente con quasi tutti gli elementi, eccetto N, A, Pt, Be, gas nobili e pochi altri. Già alla temperatura ordinaria si combina lentamente con l'ossigeno specie se è suddiviso. Secondo H. Moissan s'infiamma a 282° nell'ossigeno e a 363° nell'aria e brucia dando SO2 e piccole quantità di SO3 aumentabili in presenza di catalizzatori come Fe2O3. Per la trasformazione di SO2 in SO3 e in H2SO4, v. solforico, acido. Lo zolfo può essere ossidato anche con ossidanti dando secondo i casi, acido solforoso o solforico. Quest'ultimo, p. es., si forma per azione dell'acido nitrico sullo zolfo.
Lo zolfo riscaldato a 440° in tubi chiusi contenenti idrogeno dà origine ad H2S: tale reazione è però incompleta.
Lo zolfo in atmosfera di fluoro s'infiamma dando varî prodotti fra i quali è stato identificato SF6; a caldo reagisce anche col cloro formando svariati prodotti d'odore nauseante. Al color rosso reagisce col carbonio formando CS2.
Lo zolfo reagisce direttamente con molti metalli formando i relativi solfuri; la reazione avviene per solito a caldo, ma se è catalizzata da piccole quantità d'acqua può avvenire in certi casi (es.: limatura di ferro e fiori di zolfo) a temperatura ordinaria.
Facendo bollire lo zolfo con soluzioni alcaline (per es.: di NaOH o Ca (OH)2) si ottengono miscele complesse di iposolfiti e polisolfuri, usate in agricoltura contro varî parassiti delle piante.
Usi. - Lo zolfo molto suddiviso s'adopera solo o talora mescolato a un po' di solfato di rame per combattere l'oidio.
Lo zolfo raffinato è uno dei costituenti della vecchia polvere nera da sparo.
Le soluzioni di zolfo nel solfuro di carbonio vengono impiegate per la vulcanizzazione del caucciù. Grandi quantità di zolfo vengono consumate per la preparazione del solfuro di carbonio, usato per la fabbricazione del rayon alla viscosa.
Serve anche per la preparazione di svariati mastici e di pomate per uso medico e veterinario.
Infine lo zolfo può servire anche per la preparazione dell'acido solforico per quanto per tale uso s'impieghino a preferenza le piriti (v. solforico, acido).
Cenni storici. - Lo zolfo è conosciuto da tempi antichissimi. Omero lo chiama ϑέειον, più tardi i Greci usarono il nome di ϑεῖον, i Romani quelli di sulfur, sulphur, sulpur, tutti di etimologia sconosciuta. Greci e Romani conoscevano solo lo zolfo nativo e distinguevano fra quello utilizzabile tal quale (ἄπυεον) e quello che doveva essere estratto per fusione dal minerale (πεπυρωμένον). Plinio (XXXV, 174 e XVIII, 114) cita come principali paesi produttori le isole Eolie; il migliore, secondo lui, veniva da Melos; se ne trovava anche presso Napoli sui colli Leucogei (nei Campi Flegrei); non parla invece delle ricche miniere della Sicilia, ben note ad altri autori. Le miniere di zolfo si chiamavano sulpurariae; nell'epoca imperiale, al pari delle altre miniere, erano coltivate dai condannati ai lavori forzati.
Nell'antichità classica, lo zolfo serviva a molti usi. Era bruciato nelle cerimonie religiose di purificazione: Ulisse (Odissea, XXII, 481, e XXIII, 50) purifica la sua casa con lo zolfo dopo l'uccisione dei Proci. In agricoltura serviva ad allontanare dai fiori gli insetti nocivi e fin dai tempi di Catone lo si usava largamente nella coltura della vite; lo si consigliava pure per la chiarificazione dei vini. Si sbiancavano le stoffe di lana con l'anidride solforosa ottenuta bruciando zolfo. I Romani usavano fili impregnati di zolfo per accendere il fuoco, per avvolgere fiaccole, ecc. Lo zolfo era uno dei costituenti principali dei mastici con i quali si incollavano gli oggetti di ceramica. In medicina serviva a preparare cerotti, unguenti, ecc.
L'importanza dello zolfo crebbe moltissimo dopo l'invenzione della polvere pirica. Ma la sua produzione cominciò a prendere un largo sviluppo solo quando, nel sec. XVIII, si cominciò a fabbricare su larga scala l'acido solforico, del quale a quei tempi costituiva l'unica materia prima.
In Sicilia la produzione dello zolfo, che era rimasta stazionaria per secoli, cominciò a svilupparsi verso il 1800 e più rapidamente dopo la fine delle guerre napoleoniche.
Quando, nel 1831, il prezzo ai porti salì a circa 120 lire oro per tonnellata, essa balzò in pochi anni da 30 a 70.000 tonn., mentre l'esportazione saliva a sole 50-55.000 tonn. La mancata vendita fece precipitare il prezzo a circa 30 lire oro, determinando una crisi che molti degl'interessati volevano risolvere riducendo la produzione e sfruttando i mercati con criterî monopolistici.
Di questo stato d'animo si valse il francese A. Taix per chiedere nel 1833 la concessione di un monopolio dell'esportazione che gli avrebbe permesso di rialzare i prezzi a beneficio dei produttori e principalmente dello stato. La proposta fu accolta da Ferdinando II nel 1838. Con l'espediente di un dazio proibitivo, che colpiva soltanto i suoi concorrenti, l'esportazione fu praticamente concessa in esclusività alla società Taix, Aycard e C., la quale si impegnava a pagare allo stato un canone annuo di 1.700.000 lire oro. La produzione doveva essere ridotta a 47.500 tonn. contingentando le miniere. La società si impegnava a comprare gli zolfi a prezzi fissi per rivenderli all'estero a prezzi quasi doppî, con un massimo di 120 lire oro per tonn. L'annuncio della istituzione di questo monopolio ebbe come effetto immediato un forte accaparramento di zolfi da parte dei consumatori, mentre le vendite della nuova società erano in tutti i modi ostacolate dai vecchi esportatori ai quali essa mirava a sostituirsi. Il prezzo sui mercati esteri in poco tempo salì al triplo di quello che era inizialmente. Frattanto i governi francese e inglese protestavano, anche per la pretesa violazione di un trattato anglo-siciliano del 1816. Una flotta inglese catturò bastimenti napoletani; Ferdinando II, da parte sua, fece sequestrare le navi inglesi che si trovavano nei porti del suo regno. La controversia finalmente fu rimessa all'arbitrato del re dei Francesi e nel 1840 il contratto Taix fu sciolto. Lo stato acquistò gli zolfi rimasti invenduti nei magazzini della società e promise di indennizzarla, mantenendo il dazio di esportazione per rimborsarsi della spesa; ma questo dazio nel 1844 dovette essere ridotto fortemente. Il Taix non fu completamente indennizzato e morì in strettezze.
Questo tentativo monopolistico e l'imposizione del dazio di esportazione, che ne fu la conseguenza, ebbero una parte importantissima nel determinare la sostituzione delle piriti allo zolfo, che, brevettata fin dal 1808, era stata resa possibile da M. Perret nel 1835, con la creazione del suo forno per l'arrostimento delle piriti. Qualche decennio dopo, il passaggio delle grandi miniere di pirite della Spagna meridionale a società inglesi favorì ulteriormente la sostituzione.
La produzione siciliana di zolfo tornò ad aumentare dopo il 1848, per effetto dell'uso dello zolfo nella lotta contro l'oidio. Nel 1860 essa era salita a 150.000 tonnellate e il prezzo a 120 lire per tonn. In seguito si aprì allo zolfo un nuovo e importante sbocco nell'industria della pasta chimica di legno, con l'introduzione del processo al solfato (v. carta, IX, pp. 189-90).
Così l'industria siciliana ebbe periodi di grande prosperità, ma traversò pure gravi crisi in dipendenza dell'andamento della vita economica nei paesi consumatori. Aspetti particolarmente gravi assunse la crisi del 1893-96, durante la quale il prezzo scese a 55 lire.
Riprendendo parzialmente il progetto Taix, fu allora costituita la Anglo-Sicilian Sulphur Company, la quale per un decennio regolò con successo il mercato.
Fino ai primi anni del sec. XX la Sicilia continuò a essere il fattore dominante nel mercato dello zolfo, contribuendo con più del 75% alla produzione mondiale. Le miniere delle altre regioni italiane portavano a più dell'80% la percentuale dell'Italia; ma la loro produzione fu per qualche tempo in declino: 39.500 tonn. nel 1894, 27.000 nel 1907. Fuori d'Italia producevano zolfo da tempi molto antichi la Cina e altri paesi dell'Asia, principalmente il Giappone il quale, con le sue 15-20.000 tonn., fino al 1902 veniva subito dopo l'Italia fra i produttori di zolfo nativo. La Spagna, la Francia, l'Austria, la Germania, il Chile, ecc., producevano qualche migliaio di tonnellate ciascuno.
Ma, bruscamente, gli Stati Uniti, fino allora grandi consumatori, diventarono produttori di zolfo e in una ventina d'anni arrivarono a estrarne più del quadruplo dell'Italia.
L'industria americana dello zolfo è sorta da un'invenzione del chimico tedesco-americano Hermann Frasch, il quale, dopo aver lavorato con successo nell'industria del petrolio, nel 1890 si propose di risolvere il difficilissimo problema dello sfruttamento del giacimento solfifero che alcuni cercatori di petrolio avevano scoperto nel 1865 nella Luisiana, che più tardi è stato conosciuto sotto il nome di Sulphur. Il minerale di zolfo si trovava a circa 300 m. di profondità e per raggiungerlo bisognava traversare uno strato di sabbie mobili, cosa difficilissima con un ordinario pozzo di miniera. Diverse società erano fallite nel tentativo. E anche se si fosse superata questa difficoltà, sarebbe stato impossibile coltivare il giacimento con i metodi ordinarî in concorrenza con la Sicilia, dove la mano d'opera costava molto meno che nella Luisiana.
Il Frasch pensò di eliminare le operazioni più costose - l'escavazione e il sollevamento del minerale e l'eduzione delle acque - raggiungendo il minerale con pozzi trivellati, per fonderlo in sito ed estrarlo allo stato liquido; e cioè, in sostanza, di adattare la tecnica dell'estrazione del petrolio a un minerale solido, di caratteristiche profondamente diverse. I brevetti che proteggevano le linee fondamentali del processo furono rilasciati il 20 ottobre 1891. Il Frasch comprò i diritti allo sfruttamento del giacimento e senza preoccuparsi delle critiche dei tecnici forò un pozzo, installò una batteria di caldaie a vapore e nel 1894 riuscì a far effluire lo zolfo liquido alla superficie, sollevandolo con pompe. Per diversi anni, però, la produzione fu limitatissima. Il successo industriale ed economico venne quando il mercato mondiale degli zolfi fu stabilizzato dall'Anglo-Sicilian e quando, in seguito alla scoperta del grande campo petrolifero di Spindletop (1901) il Frasch poté rifornirsi a buon mercato di combustibile che consumava in grande quantità.
Nel 1903 la sua società produsse 35.000 tonn. di zolfo; nel 1904 circa 85.000. In quello stesso anno spedì il primo carico di zolfo in Europa. Nel 1912, scaduti ormai i brevetti fondamentali del Frasch, una seconda società intraprese, malgrado la sua opposizione, lo sfruttamento di un nuovo giacimento e la produzione salì a 788.000 tonn., superando per la prima volta quella italiana. In seguito si iniziò lo sfruttamento di giacimenti ancor più importanti e ormai la produzione americana è superiore ai 2.000.000 di tonn. Grazie al processo Frasch, i produttori americani, pur realizzando forti utili, hanno potuto tenere i prezzi a un livello relativamente basso (14-20 dollari alle miniere) e in tal modo il consumo è enormemente aumentato. Fra l'altro, lo zolfo ha largamente sostituito le piriti nella fabbricazione dell'acido solforico, specialmente negli Stati Uniti.
Nel 1931 in Norvegia si iniziò su scala industriale la produzione dello zolfo dalle piriti cuprifere dalla società Orkla, la quale aveva cominciato a sperimentare il processo fin dal 1919. Va ricordato che un processo simile nelle sue linee generali era stato brevettato da Holloway nel 1878.
Mineralogia.
La modificazione cristallina α, stabile a temperatura ordinaria e fino a 94°,5, che è quella che si riscontra in tutti i giacimenti, appartiene al sistema trimetrico, classe bipiramidale rombica con le costanti: a : b : c = 0,81309 : 1 : 1,90339. Le forme più frequenti sono: c {001}, p {111}, s {113}, n {011}, che costituiscono la combinazione più comune. Altre forme frequenti sono m {110}, b {010}, e {101} e altre protopiramidi come y {112}, t {115}. L'abito è piramidale con predominio di {111} e talvolta tabulare secondo la base {001} (fig. 1, a, b). In talune solfare della Sicilia si sono trovati cristalli bisfenoidali per sviluppo emiedrico di quattro facce della piramide fondamentale (fig. 1, c). I geminati sono rari. Lo zolfo si riscontra anche in masse compatte, sferoidali o stallattitiche, o in incrostazioni terrose. Ha lucentezza grassa o resinosa, colore giallo proprio, scalfittura incolora.
La sfaldatura è imperfetta, la frattura invece facile, concoide o irregolare.
Lo zolfo possiede doppia rifrazione energica: a 17° per la luce del sodio si hanno i seguenti dati α = 1,958, β = 2,038, γ = 2,240, 2V = 69°5′. Piano degli assi ottici è (010); bisettrice acuta positiva l'asse verticale. La conducibilità elettrica dello zolfo a temperatura ordinaria è quasi nulla, il suo calore specifico nei cristalli è 0,1776, inferiore a quello che si determina quando è solidificato di fresco dalla fase liquida.
Dati analitici esatti sulla costituzione dello zolfo in natura non sono frequenti. Si trova spesso indicata la presenza nello zolfo nativo di piccole quantità di tellurio, arsenico, antimonio e talvolta di quantità considerevoli di selenio (v. appresso: zolfo-selenio).
Oltre quella più comune si conoscono altre modificazioni cristalline dello zolfo. Notissima quella denominata zolfo β, o zolfo di Mitscherlich, che la descrisse per primo nel 1823 e che si forma per diretta solidificazione dello zolfo puro fuso in forma di prismi sottili allungati del sistema monoclino con le costanti seguenti: a : b : c = 0,99575 : 1 : 0,99983; β = 84° 14′.
Il loro colore è giallo miele, il peso specifico 1,98; sono instabili e, a temperatura ordinaria, si trasformano rapidamente per paramorfosi in un aggregato di bipiramidi rombiche della modificazione α. La temperatura di trasformazione a pressione ordinaria è di 94°,5 e il fenomeno è reversibile (sistema enantiotropo; v. cristalli: Chimica dei cristalli). A pressione elevata si elevano la temperatura di trasformazione e quella di fusione dello zolfo, cosicché Tamann poté dimostrare che alla pressione di 1200 atm. le due temperature vengono a coincidere in 151° e dalla fase liquida in tali condizioni cristallizza direttamente la fase α.
Lo zolfo è un elemento che presenta in grado spiccato il polimorfismo e, oltre alle due menzionate, si conoscono altre modificazioni come: lo zolfo γ, zolfo di Muthmann o di Gernez, in cristalli tavolari monoclini a lucentezza madreperlacea, giallo chiaro o incolori che si separano da una soluzione alcoolica di polisolfuro di ammonio; lo zolfo δ, ottenuto dallo stesso Muthmann in tavolette a contorno esagonale del sistema romboedrico; lo zolfo ε o lo zolfo di Engel in cristalli giallo arancio del sistema romboedrico, che si separano nella reazione fra soluzioni di acido cloridrico e tiosolfato sodico; lo zolfo ζ zolfo nero o di Magnus, che si ottiene in granuli a splendore metallico, di colore simile a quello dell'antimonio nella massa nera di fusione del carbonato sodico con molto zolfo (fegato di zolfo). I granelli resistono all'azione degli alcali, degli acidi e dell'acqua regia. Appartengono forse al sistema romboedrico.
Tranne quest'ultima e lo zolfo trimetrico, le altre modificazioni sono molto labili. Ciò non toglie che non siano stati riscontrati in natura lo zolfo β, nelle fumarole del cratere dell'Isola di Vulcano, da G. von Rath e U. Panichi e a Giava, lo zolfo γ, pure a Vulcano dal Panichi, e, posteriormente, in un giacimento di pirite a Cenoman, presso Letovice in Moravia, da Sekanina, che volle dargli il nome di una nuova specie, la rosickjite.
Le forme di giacitura dello zolfo sono varie. Si trova in strati, ammassi, lenti o filoni nelle rocce sedimentarie; è un prodotto frequente e diffuso dell'esalazione vulcanica delle fumarole e nelle lave e può costituire depositi, anche cospicui, nei crateri di vulcani spenti, o in fase di attività ridotta; le acque sulfuree nelle loro sorgenti, nel loro corso e nei loro bacini formano incrostazioni di questo elemento, che è contenuto anche molto frequentemente nei combustibili fossili e nei petrolî. Si origina anche per alterazione di solfuri metallici, come pirite, galena, blenda, antimonite.
Di gran lunga più importante è la prima categoria di giacimenti, alla quale appartengono quelli di Sicilia e di altre regioni della penisola italiana.
I giacimenti siciliani (v. cartina), solfare, occupano una parte centrale dell'isola nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania e si estendono anche in quelle di Palermo e di Trapani. Costituiscono la zona gessoso-solfifera, che affiora per un'area di circa 1300 kmq. e che, molto probabilmente, si estende con altrettanta o anche maggiore superficie sotto i terreni pliocenici, che immediatamente la sovrastano. Un profilo schematico della serie, dall'alto in basso, è il seguente:
1. calcari marnosi bianchi a foraminiferi detti trubi superiori di potenza variabile dai 50 ai 120 m.; Pliocene.
2. gessi granulari o lamellari di potenza dai 20 agli 80 m.;
3. marna e gessi con zolfo di potenza sui 35 m.;
4. calcare siliceo compatto di potenza variabile fino ai 30 m.;
5. tripoli, detti trubi inferiori, di potenza dai 30 ai 40 m.
La fig. 2 rappresenta la sezione del giacimento di zolfo di Trabonella.
I tripoli costituiscono la base della formazione che nei numeri da 2 a 5 appartiene al Miocene superiore, piano pontico. I tripoli posano sopra banchi potenti di argille tortoniane, entro le quali si trovano spesso depositi di salgemma. Sono costituiti essenzialmente da avanzi silicei di organismi e con essi alternano straterelli di marne e di calcari dolomitici; oltre agli avanzi suddetti, mostrano impronte di pesci, di insetti e di vegetali. Spesso sono impregnati di bitume. I sovrastanti strati calcarei e marnosi con zolfo sono invece quasi privi di fossili. I gessi che si trovano sopra il calcare siliceo si alternano con gli strati di minerale e sono, o fogliettati (balatini), o granulari (marmorigni), o in straterelli compatti misti ad argilla (gessetti). Nella formazione si trovano argille spesso bituminose o salifere localmente denominate tufi. Della serie alcuni membri spesso mancano. Gli strati con zolfo costituiscono spesso bacini indipendenti gli uni dagli altri di larghezza media sui 3 km. e di lunghezza che spesso supera la trentina. Lo zolfo, in masse stratiformi o in lenti, forma depositi di andamento parallelo alla stratificazione. Spesso essi si sovrappongono in modo alterno e raggiungono fino ai 35 m. e, eccezionalmente, anche a spessori maggiori. Il tenore in elemento varia fra l'8 e il 40% con una media del 24.
Le caratteristiche dei giacimenti sono variabili. Talora gli strati solfiferi si estendono uniformi per qualche chilometro, più spesso prevalgono formazioni lenticolari, spesso in uno strato solo, talora di grande spessore (4-5 e fino a 10 m.) anche in più strati intercalati da partimenti sterili con spessore complessivo di 30-50 e anche 100 m., nella parte centrale delle lenti.
La distribuzione dello zolfo nella ganga, più spesso calcareo-marnosa, più di rado argillosa, più di rado ancora gessosa, è differente con i seguenti tipi principali: a liste alternate di zolfo e calcare (soriato); a impregnazioni nella ganga porosa (perciuliato, amorfo); in mescolanza intima con argilla (saponigno). Strati e lenti sono ora orizzontali, ora più o meno inclinati, spesso continui e talora interrotti da faglie, o piegati, o contorti, o, fin anche, rovesciati. Le belle cristallizzazioni di zolfo, ornamento di tutte le collezioni e musei, sono piuttosto rare. I cristalli di zolfo sono spesso accompagnati da cristalli di celestina, di aragonite, di calcite, raramente di quarzo e di melanoflogite. Insieme con il minerale si trovano bitumi e gas idrocarburati.
La genesi dello zolfo nei giacimenti di Sicilia è stata oggetto di discussione assai ampia e approfondita, ma non ancora definitivamente conclusiva. Sulla sua natura sedimentaria tutti sono d'accordo, ma in quanto all'origine dell'elemento negli strati sedimentarî le opinioni sono alquanto diverse. Evidentemente sulla fine del periodo miocenico, nella parte centrale dell'isola, per qualche movimento tettonico, vennero separandosi dal mare aperto delle grandi lagune dove, per effetto di un clima arido e caldo, la evaporazione molto attiva portò a una forte concentrazione delle acque e al deposito di strati di gesso.
Contemporaneamente la scarsezza delle precipitazioni non permetteva la sedimentazione di sabbie o di altro materiale di trasporto. Dal gesso, per un processo di riduzione, si deve essere formato solfuro di calcio il quale, al contatto dell'aria e per azione dell'anidride carbonica, si è trasformato, in un primo tempo, in carbonato di calcio e idrogeno solforato, con formazione successiva di polisolfuri e, in definitiva, deposizione di carbonato di calcio e di zolfo. Una parte quindi del calcare della formazione gessoso-solfifera deve essere di precipitazione chimica, senza escludere peraltro la sedimentazione normale.
L'azione riduttrice, verosimilmente, deve essere stata esercitata da idrocarburi ancora oggi presenti nei giacimenti di zolfo sotto forma di gas idrocarburati, di bitumi, di scisti bituminosi. Secondo alcuni furono prodotti da salse e macalube che si riscontrano ancora nella zona, secondo altri, e con maggiore ragione, dalla bituminizzazione di materie organiche formatesi in quantità nella prima fase delle formazioni lagunari, quando, prima della successiva concentrazione delle acque, era agevole in queste la vita degli organismi.
La stronziana, abbondante nei giacimenti gessoso-solfiferi, sotto forma di celestina, deve essersi concentrata nelle acque delle lagune, depositata, come solfato nel gesso e come carbonato nel calcare, e di qui spostata in seguito per le reazioni successive che hanno condotto alla formazione dello zolfo.
Di fronte a questo gruppo d'ipotesi, che ebbero a primo sostenitore il geologo tedesco G. Bischof e furono sviluppate poi, in modo completo e con acuti particolari d'osservazione, da S. Mottura, un'altra scuola, con a capo G. Spezia, affermò l'origine endogena dello zolfo anche nei giacimenti sedimentarî. L'elemento vi sarebbe stato deposto da acque termominerali, ricche d'idrogeno solforato. Da questo, per ossidazione, sarebbe derivato lo zolfo, e per decomposizione del calcare da parte di acido solforico, il gesso. Successive dissoluzioni e rimesse in circolazione avrebbero depositato le caratteristiche associazioni di cristalli di zolfo, calcite, aragonite, celestina, melanoflogite, ecc., che sono la frequente e tipica paragenesi di tali giacimenti.
Ma l'origine dello zolfo sedimentario dalla riduzione dei gessi è ammessa dai più, come la più attendibile delle ipotesi.
Nella zona gessoso-solfifera siciliana il numero delle escavazioni sotterranee sinora aperte è di 2200. Molte di queste, più di 1300, sono state considerate miniere, ma per il regime minerario in vigore fino al 1927, molte di queste avevano una delimitazione prettamente artificiale, corrispondente cioè alla delimitazione fondiaria del soprasuolo. Più razionalmente raggruppate, e non tenendo conto delle molte inattive, il numero delle miniere d'oggi non supera le 150 e di queste sono veramente importanti una decina circa nelle quali è concentrato più del 50% della produzione totale di zolfo.
Giacimenti di età geologica e di natura identica a quelli siciliani si trovano nell'Italia centrale (Romagna e Marche: v. cartina), nel Senese e nell'Italia meridionale (Irpinia e Calabria). I bacini del Cesenate, delle Marche (Montefeltro) complessivamente hanno una estensione sui 300 kmq. In essi la serie gessoso-solfifera ha potenza inferiore che in Sicilia e anche la potenza degli strati o delle lenti mineralizzate è minore; tuttavia alcune miniere, e specie quelle di Perticara in provincia di Pesaro e quella di Cabernardi in provincia di Ancona, anche per la loro ottima organizzazione, dànno produzioni ragguardevoli. Nel Senese si trova un piccolo giacimento solfifero a Poggio Orlando e uno ancora minore ad Arbiola, di natura analoga.
Il bacino di Tufo in provincia di Avellino e quello di Strongoli presso Crotone, anch'essi simili a quelli siciliani, sono di minore entità e hanno produzione minore.
Zolfo di origine vulcanica, o di zolfatara, è diffuso in Italia, ma ben di rado in giacimenti di importanza industriale. Il più noto è la solfatara di Pozzuoli, la cui produzione è oggi nulla o quasi: maggiore quantitativo è contenuto nel cratere di Vulcano (Fossa Grande), dove la formazione dello zolfo dalle fumarole avviene spesso con cristalli della modificazione β, stabile, come è noto, in un intervallo di temperatura limitato fra 94°,5 e la temperatura di fusione. Quivi pure fu riscontrata dal Panichi la modificazione γ, ancora più labile. Nel Lazio sono anche di origine vulcanica le miniere di Latera, di Canale Monterano e di Monte Solforoso presso Sacrofano.
Le sorgenti di acque sulfuree; tanto numerose e abbondanti in Italia e altrove, dànno incrostazioni di zolfo di origine, in parte almeno, biochimica, essendo l'elemento fissato da uno schizomiceto, la Beggiatoa alba.
Cristalli di zolfo piccoli, ma ricchi di forme e assai splendenti, si trovano nelle miniere di solfuri per alterazione dei medesimi: come a Monteponi e a Malfidano in Sardegna sulla galena, a Cetine di Siena e a Pereta di Maremma sull'antimonite, a Brosso e a Traversella d'Ivrea sulla pirite.
Oltre a quelli italiani, vi sono in Europa giacimenti di zolfo di una certa importanza nella Spagna, nelle provincie di Albacete, Murcia, Teruel, Alicante e Almeria (v. cartina). Quelli di Albacete, che hanno la maggiore produzione, si trovano in calcari e marne mioceniche. In Grecia si sfruttano terre tufacee contenenti dal 10 al 60% di zolfo presso l'Istmo di Corinto e prodotti di solfatara nell'Isola di Milos. Anche Nisiro, nel Dodecaneso, ha giacimenti di zolfo di origine solfatariana. Giacimenti sedimentarî invece si trovano a Radoboj (Croazia) e a Kalinka (Slovacchia) in terreni del Miocene superiore e in terreni invece di età mesozoica, con gesso, sono i depositi del Daghestan caucasico (U. R. S. S.).
Si hanno notizie di giacimenti di zolfo in quantità considerevole nella Libia, ad Ain-el-Kebrit, presso la costa della grande Sirte, e nella zona a sud di Bengasi.
Numerosi sono i giacimenti di zolfo asiatici. Se ne ricava in parecchi luoghi dell'Asia Minore e della Siria, in Persia (dai monti vulcanici del Demavend e di Zendan) e nell'Isola di Luzon delle Filippine. Ma il Giappone soltanto influisce in modo sensibile nella produzione mondiale con molti giacimenti dei suoi numerosi vulcani, di cui i più importanti sono quelli delle vicinanze di Hakodate nell'Isola di Yezo.
I grandi giacimenti di zolfo in America, che fanno vittoriosa concorrenza a quelli siciliani, sono negli stati del Texas e della Luisiana in una regione pianeggiante presso la costa del Golfo del Messico (Gulf Coastal Plain), compresa fra il Mississippi e il Rio Grande. In questa fortunata regione si trovano, oltre a quelli di zolfo, giacimenti salini, campi petroliferi e abbondanti sorgenti di gas idrocarburati. Lo zolfo e il sale si trovano in giacimenti caratteristici, cupole (domes), alcuni dei quali si manifestano all'esterno nella pianura come rialzi piatti con sezione circolare oppure ellittica, alti da 10 a 15 metri ed estesi fino a qualche centinaio di ettari, nei quali lo zolfo si trova quasi sempre nelle rocce della vòlta, eccezionalmente lungo i fianchi. Di tali cupole 10 soltanto sono in parte già sfruttate in parte in via di sfruttamento.
Il terreno nella sua parte superiore, fino a rilevante profondità, è costituito da strati sabbiosi e argillosi per lo più incoerenti di età quaternaria e terziaria; questi strati, in corrispondenza delle cupole, sono fino a una certa distanza dalla superficie attraversati da corpi rocciosi, forse di età permiana, che contengono lo zolfo. Inferiormente, e fino a profondità superiore a quella finora raggiunta dalle trivellazioni, essi sono costituiti da salgemma; si alternano sopra il sale strati di gesso e dolomite, in modo tale che il gesso tende superiormente a scomparire per dar luogo alla dolomite cap rock, o roccia di cappello. Sopra di questa seguono le formazioni recenti già indicate. Negli strati inferiori dolomitico-gessosi del cap rock si riscontra zolfo e spesso anche petrolio Nei giacimenti coltivati, la potenza dell'orizzonte zolfifero varia fra 8 e 90 m., con una media di 30 m. Va notato che di solito il minerale solfifero non è distribuito su tutta la superficie della vòlta, ma è alternato con zone sterili e può anche presentare delle grandi cavità (fig.3).
Il tenore medio in zolfo delle zone mineralizzate varia fra il 20 e il 40%. Per qualche metro si può trovare zolfo quasi puro ma, normalmente, lo zolfo - come nei giacimenti degli altri paesi - è distribuito nella ganga sotto forma di straterelli oppure di geodi. Esso può essere accompagnato da celestina, stronzianite, baritina, pirite, ecc.
Per tutte queste ragioni, varia entro limiti molto larghi la quantità di zolfo contenuta nei singoli giacimenti: quello di Sulphur, esaurito, la cui vòlta copre una superficie di 30 ettari, diede 10.000.000 tonn. di zolfo; Palangana, con una vòlta che copre 800 ettari, ne diede solo 235.000.
La formazione solfifera è sempre porosa. Sebbene la porosità non sia stata misurata accuratamente, si ritiene che, in media, varî fra il 15 e il 25%.
Le rocce della vòlta contengono sempre acqua che tiene in soluzione forti quantità di idrogeno solforato e di polisolfuri, di cloruro di sodio e di altri sali. Questa acqua di formazione è alla temperatura di circa 40°.
Il primo giacimento fu scoperto nel 1865, in seguito a una trivellazione per petrolio, presso Rio Calcasieu nella Luisiana, ma non lo si poté sfruttare per l'impossibilità di costruire dei pozzi di estrazione nei terreni incoerenti sovrastanti. Solo con l'adozione del processo Frasch si poterono sfruttare questo e altri successivamente scoperti. Quelli attualmente in funzione e quelli già esauriti sono riportati nella cartina annessa.
Altri giacimenti di zolfo in America dànno produzione non trascurabile. Notissimo è quello del Popocatepel, sfruttato in epoca precolombiana dagli Aztechi, riconosciuto e, si dice, utilizzato da Hernando Cortés nel 1511. Buon giacimento è anche quello dell'Isola di Saba nelle Piccole Antille. Tutta la catena delle Ande ne presenta di tali, fra cui Candarave e Aguj a nel Perù, e, più ricchi degli altri, quelli cileni che dànno una considerevole produzione e in cui è accertata una riserva di più di 3 milioni di tonn., di buon minerale al 75°.
Zolfo-selenio (Volcanite, Eolide). - Miscele naturali di zolfo e selenio in incrostazioni di color rosso arancio o rosso bruno che sono prodotto di fumarola nel cratere dell'isola di Vulcano (Eolie) e nel Kilauea, vulcano delle isole Sandwich.
Artificialmente si possono ottenere cristalli misti di zolfo e selenio in tre modificazioni:1. trimetrica, isomorfa con zolfo α (Se : 32,5%); 2. monoclina, isomorfa con zolfo γ (Se : 40 ÷ 60%); 3. monoclina, forse isomorfa con zolfo δ (Se : 68,5%).
Estrazione dello zolfo.
Lo zolfo nativo si estrae normalmente dal suo minerale riscaldando quest'ultimo e facendone colar fuori allo stato liquido lo zolfo, che ha punto di fusione molto inferiore a quello della ganga.
Secondo l'uso più antico, dapprima si scava e si porta alla superficie il minerale coi metodi ordinarî della tecnica mineraria (v. miniera), poi lo si sottopone a un trattamento che, di solito, consiste nel bruciare una parte dello zolfo per ricuperare l'altra (nei calcaroni, nei forni Gill, ecc.). Altri metodi di trattamento, molto meno usati, consistono nel riscaldare il minerale con combustibili fossili. Il calore può essere trasmesso p er mezzo del vapor d'acqua (negli apparecchi a vapore) oppure direttamente, per irradiazione e per mezzo dei prodotti della combustione (nei forni a combustione di carbone). In qualche miniera si è anche distillato il minerale in storte (doppioni) riscaldate da un focolare a carbone o a legna; questo metodo è stato abbandonato dalla fine del sec. XIX.
Secondo processi più recenti, lo zolfo viene separato dalla ganga in seno al giacimento stesso (o, come si dice, in sito) riscaldando il minerale con acqua sotto pressione e portando lo zolfo alla superficie allo stato liquido (processo Frasch) oppure dando fuoco al minerale dentro miniere del tipo normale (coltivazione per incendio).
Attualmente, la produzione mondiale di zolfo nativo è data per il 15% dal trattamento fuori della miniera con forni a combustione di zolfo e per l'80% dal processo Frasch.
È stata ed è tuttora oggetto di esperimenti l'estrazione dello zolfo dal minerale per mezzo di solventi (specialmente solfuro di carbonio).
Due piccole miniere degli Stati Uniti hanno separato il minerale dalla ganga per fluttuazione (v.) e in Sicilia molti anni fa è stata applicata industrialmente la separazione meccanica per frantumazione e classificazione per grossezza. Sia con l'uno sia con l'altro metodo si ottengono dei concentrati (v. miniera, XXIII, 387-90) ad alto tenore di zolfo.
Da qualche anno si preparano notevoli quantità di zolfo elemento dalle piriti cuprifere, fondendole in un forno a vento insieme con calcare e quarzo e facendo ridurre dal coke l'anidride solforosa che si forma (processo Orkla), oppure arrostendole in un forno meccanico e riducendo, fuori di esso, l'anidride con coke, in presenza di una miscela di ossido di ferro e di alluminio (processo Boliden e similari). Quantità minori si ricuperano dai gas solforosi ottenuti nell'ordinario trattamento metallurgico della blenda e di altri solfuri, dal gas illuminante, da quello dei forni a coke, dai prodotti della combustione del carbon fossile, ecc., scomponendo l'anidride solforosa o l'idrogeno solforato che essi contengono. Quando era ancora largamente applicato il processo Leblanc di fabbricazione della soda, si ricuperavano col processo Chance-Claus notevoli quantità di zolfo elemento proveniente dall'acido solforico che veniva introdotto in lavorazione.
Durante la guerra mondiale in Germania si produsse zolfo elemento dal gesso e dall'anidrite. Da un altro solfato, quello di bario, si ottiene tuttora zolfo elemento come sottoprodotto della fabbricazione del carbonato di bario.
Forni a combustione di zolfo. - I forni maggiormente usati sono quelli Gill a 4 celle - e anche a 6 - nei quali il calore dei prodotti della combustione e quello dei rosticci sono parzialmente ricuperati, utilizzandoli nel riscaldamento sia del minerale fresco sia dell'aria comburente. Si usa ancora un forno più rudimentale, il calcarone, il quale consiste sostanzialmente in un grande mucchio (1000 mc. e più) di minerale, coperto di rosticci per moderare la circolazione dell'aria, che si fa bruciare all'aperto sopra un fondo artificiale. Sia con l'uno sia con l'altro forno si perde una buona parte (anche il 50%) dello zolfo contenuto nei minerali di ricchezza normale; lo zolfo dei minerali poveri va completamente bruciato. Attualmente sia i calcaroni sia i forni Gill sono caricati e scaricati a mano; e a questo riguardo va avvertito che per il buon caricamento dei calcaroni si richiede non poca esperienza. Recentemente, però, in qualche miniera sono stati adottati mezzi meccanici per lo scarico dei rosticci dai calcaroni.
In Italia, nel 1934, secondo le statistiche ufficiali, i forni Gill e derivati diedero il 65% della produzione, i calcaroni il 28% e gli apparecchi a vapore (usati solamente in Sicilia) il 6%; nell'Italia continentale la percentuale ottenuta con il sistema dei calcaroni fu molto superiore e quella dei forni Gill, molto inferiore alla media del regno.
In Sicilia originariamente si usava la calcarella. Era una fornace a pianta circolare, col fondo inclinato verso il davanti, nella quale si disponevano 3-4 mc. di minerale in un mucchio completamente scoperto, del quale riusciva difficile regolare la combustione. Un'operazione durava due giorni. Si afferma che la resa in zolfo era del 30% circa.
A quanto si narra, nel 1842 l'incendio doloso di un deposito di minerale portò alla scoperta che si poteva migliorare la resa facendo mucchi più grandi e limitando l'ammissione dell'aria con un mantello di rosticci. Fu ideato così il calcarone che fu applicato industrialmente durante la rivoluzione del 1848 e verso il 1850 aveva completamente sostituito le calcarelle.
Diversi inventori cercarono, ma senza successo, di elevare ulteriormente la resa coprendo il calcarone; altri studiarono forni a camera. Uno di questi forni fu brevettato nel 1880 da S. Mottura. Nello stesso anno R. Gill brevettò il suo primo forno, che era a 2 celle e costituiva una semplificazione di quello Mottura. Nel 1886 lo stesso Gill costruì il forno a 4 celle che ebbe larga diffusione e con poche modificazioni è tuttora in uso. Nel 1905 M. Gatto cosiruì un forno dello stesso tipo, ma a 5 celle, e nel 1926 il forno a 6 celle.
Calcarone (fig. 4). - La sola parte stabile del calcarone è il fondo, costituito da rosticci (in dialetto siciliano ginisi) bene battuti: esso ha pianta circolare, in pendenza verso il davanti; talvolta è incassato nel terreno e, nella parte anteriore, è sempre circondato da un muro nella cui parte centrale si apre la bocca del forno, detta in Sicilia morte. Ai due lati di questa corrono due speroni di muratura, spesso uniti da una volta, in modo da formare un vano entro il quale gli operai attendono alla colata dello zolfo; nella vòlta è praticato un camino per l'uscita dei gas solforosi. La bocca, che ha dimensioni di 0,9 × 1,9 m., durante la fusione è chiusa con un muretto. Il calcarone si carica disponendo dapprima sul fondo uno strato di circa 40 cm. di minerale in grossi pezzi, lasciando dei vani fra l'uno e l'altro. Dietro la bocca, per impedire che vi giunga il fuoco, si collocano dei pezzi di minerale esaurito e si lascia anche una camera, destinata a raccogliere lo zolfo fuso. Sullo strato di pezzi grossi si getta dell'altro minerale in pezzi più piccoli, formando un mucchio conico, che si copre con uno strato di rosticci minuti, di pochi centimetri di spessore, lasciando scoperto soltanto il cocuzzolo. Si dà fuoco al mucchio per mezzo di fascine imbevute di zolfo, che si dispongono in canali orizzontali e si lascia procedere la combustione per 2 o 3 ore; poi si copre dí rosticci anche il cocuzzolo. Quando la combustione è regolare, essa procede lentamente dall'alto al basso fino alla bocca. Zolfo liquido comincia a raccogliersi dietro la bocca dopo un periodo di tempo variabile, secondo la grandezza del calcarone, da 8 giorni a 1 mese e più. Quando se ne è raccolto abbastanza, si fora il muretto e si fa colare lo zolfo in forme di legno bagnate, nelle quali si solidifica. La fusione dura 30-35 giorni per un calcarone di 250-300 mc.; 50-60 per un calcarone di 1000-1200 mc. e un tempo proporzionalmente più lungo per quelli più grandi (finto a 5000 mc.). Raramente, però, si fanno calcaroni di oltre 1500 mc. Come si è detto, recentemente in qualche miniera si sono adottati gli scrapers per vuotare i calcaroni dai rosticci.
Forni Gill. - Questi forni funzionano in modo simile al calcarone dal quale differiscono anzitutto perché la combustione si compie in un ambiente chiuso, nel quale si può regolare l'ammissione dell'aria comburente e le perdite di calore per irraggiamento sono minori, e anche perché l'aria comburente viene riscaldata a spese del calore dei rosticci e il minerale fresco viene riscaldato a spese del calore dei prodotti della combustione.
Il forno Gill a quattro eelle (quadriglia Gill) è costituito da 4 celle in muratura, che costituiscono un gruppo detto quadriglia (figg. 5-6) generalmente affiancato ad altri gruppi eguali e coperto da una tettoia. Le celle hanno la forma di un tronco di cono (qualche volta di un cilindro) sormontato da una calotta sferica e capacità di 20-30 mc.; se ne sono costruite anche di 40 mc. Per il caricamento del minerale e lo scarico dei rosticci ciascuna cella ha due aperture: una finestra P sul cielo, e la bocca B laterale (detta morte, come nel calcarone). Il pavimento della cella è costituito da rosticci e inclinato verso la bocca. Nella muratura sono disposti dei condotti muniti di valvole, che permettono di far passare l'aria e i prodotti della combustione dello zolfo da una cella all'altra e di mandarli ai camini. Il caricamento della cella s'inizia dalla bocca B, disponendo sul fondo uno strato di minerale in grossi pezzi; poi si chiude la bocca, lasciando soltanto un foro per la colata dello zolfo, e si completa il caricamento gettando minerale alla rinfusa traverso la finestra P, che poi viene chiusa anch'essa con un coperchio di ferro. La quadriglia funziona secondo lo schema della fig. 7. La cella 1 è piena di rosticci caldi (in queste condizioni si usa chiamarla cella motrice); la cella 2 è piena di minerale in corso di fusione; la cella 3 di minerale in fase di preriscaldamento; nella cella 4 si compie lo scarico dei rosticci, oppure il caricamento di minerale fresco. L'aria esterna entra dalla parte inferiore della cella 1, traversa i rosticci riscaldandosi ed esce dalla parte superiore per un condotto che sbocca nella parte superiore della cella 2; alimenta in questa la combustione dello zolfo, e insieme con i prodotti di tale combustione, esce dalla parte inferiore della cella passando, per un altro condotto, nella cella 3 e riscaldando il minerale contenutovi; infine va al camino. L'intero ciclo dura da 180 a 360 ore, secondo la grandezza delle celle; 1/4 di questo tempo è preso dal riscaldamento del minerale, 1/4 dalla fusione, 1/4 dal preriscaldamento dell'aria per circolazione nei rosticci, 1/12 dallo scarico dei rosticci e dal caricamento di nuovo minerale; il resto del tempo va perduto in attesa del turno di riscaldamento.
Il forno Gill a sei celle (sestiglia Gatto) differisce dal forno Gill a quattro celle principalmente per il fatto che, mentre in questa si ha una cella in fase di fusione e una in fase di riscaldamento, nella sestiglia se ne hanno due per ciascuna delle fasi cennate. L'aria e i prodotti della combustione dello zolfo circolano secondo lo schema della fig. 8.
Minerale minuto (sterro) e suo trattamento. - Nell'abbattimento e nel trasporto del minerale si forma una forte quantità di minerale minuto, che viene detto sterro. Lo zolfo è più friabile della sua ganga; perciò la polvere e i pezzi piccoli ne sono più ricchi del minerale dal quale provengono.
A parità di altre condizioni, più dura è la ganga, minore è la percentuale di sterro, ma in compenso questo è più ricco. Un minerale a ganga argillosa, esposto all'umidità e poi essiccato, dà una forte percentuale di sterro. Il minerale più ricco di zolfo dà la maggiore percentuale di sterro.
Molto di questo sterro va perduto dentro la miniera e specialmente nei riempimenti. Trascurando quello che va perduto e considerando come sterro tutto il minerale a pezzatura inferiore a 3 cm., si può dire che in media gli sterri costituiscono il 20% del minerale utilizzato. In certe miniere questa percentuale sale al 40% e perfino al 60%.
Nei calcaroni, nei forni Gill e negli apparecchi a vapore la fusione procede male e si hanno forti perdite di zolfo quando vi si carica sterro, sia da solo sia mescolato al minerale di pezzatura più grossa; principalmente perché lo sterro ostruisce i meati per i quali circolano l'aria e i gas della combustione, oppure il vapore. Un tempo, perciò, lo sterro veniva tutto abbandonato.
Nel 1878 G. De Labretoigne brevettò il metodo, ora divenuto di uso generale, che consiste nell'impastare gli sterri con acqua, formandone delle pagnotte di 10 ÷ 15 kg. ciascuna, dette panotti, che si fanno asciugare all'aria libera, ma al riparo dalla pioggia. Spesso si utilizza per l'asciugamento il calore irraggiato da) forni Gill. In generale essi si preparano durante la stagione asciutta. Dopo l'essiccazione contengono ancora il 5% di umidità. I panotti sono poi caricati nei forni ordinarî; con la cottura essi divengono più resistenti e lasciano liberi i meati per il passaggio dei gas.
Recentemente si è cominciato a brichettare gli sterrì per mezzo di presse.
Teorie sul funzionamento dei calcaroni e dei forni Gill. - Secondo una teoria accettata da molti tecnici, in entrambi questi tipi di forni la temperatura di regime sarebbe poco maggiore di z000 e, per conseguenza, non si brucerebbe una quantità di zolfo troppo superiore a quella strettamente necessaria per riscaldare il minerale fino al punto di fusione dello zolfo (114°). Per di più, brucerebbe soltanto dello zolfo che, una volta passato allo stato liquido, imbeverebbe la ganga e non sarebbe economicamente ricuperabile in altro modo.
Secondo altri, queste affermazioni sarebbero senza fondamento. La temperatura di regime sarebbe superiore ai 600° (sperimentalmente sono state trovate temperature di 800°); lo zolfo passerebbe allo stato di vapore per poi condensarsi nelle zone meno calde del forno, ma non completamente, sicché una parte del vapore uscirebbe con i prodotti della combustione e finirebbe col bruciare; il gesso della ganga verrebbe disidratato e il calcare in parte scomposto; inoltre lo zolfo e l'anidride solforosa reagirebbero con la ganga formando solfuri, solfiti e solfati; per tutte queste ragioni si avrebbero forti perdite di calore - e quindi di zolfo - oltre a quelle dovute all'irraggiamento.
Secondo A. Ricevuto e G. Buogo, nel calcarone verrebbe utilizzato, per la fusione dello zolfo che se ne ricava, solo il 2,6% del calore sviluppato nella combustione; nel forno Gill solo il 3,75%. Ricevuto e Buogo concludono che, anche se si continuasse a usare come combustibile lo zolfo, si realizzerebbe una forte economia se lo si bruciasse esternamente al minerale da trattare, portando questo, per mezzo dei prodotti della combustione, a temperatura non superiore a 145°.
Perdite di zolfo nei calcaroni e nei forni Gill. - La quantità di zolfo che va bruciata in un determinato forno per il trattamento di una determinata quantità di minerale finora non è stata misurata con esattezza, principalmente perché non è facile prelevare un campione che rappresenti esattamente la massa. Si sa soltanto che quella quantità dipende dal tenore del minerale ed è minore per il minerale più ricco. Essa varierebbe per il calcarone fra 7 e 13 kg. di zolfo per 100 kg. di minerale; fra 6 e 9 kg. per i forni Gill a 4 celle. In base a tali cifre, trattando nel Gill minerale con meno del 6% di zolfo, tutto lo zolfo andrebbe perduto; con minerale al 10% di zolfo si avrebbe una perdita compresa fra il 60 e il 90% e con minerale al 30% di zolfo una perdita del 20-30%. Altri però ritengono che le perdite effettive siano molto superiori. Secondo C. Folco, per un minerale di media ricchezza si aggirerebbero sul 50%. Si afferma inoltre che, in qualche raro caso, un forno Gill mal condotto può dare una resa inferiore a quella del calcarone.
Apparecchi a vapore. - In questi apparecchi il minerale viene riscaldato per mezzo di vapor d'acqua fino a portarlo a una temperatura di poco superiore al punto di fusione dello zolfo, il quale passa allo stato liquido, separandosi dalla ganga. Il processo fu proposto da G. Brunfaut nel 1858-59, da Giuseppe Gill nel 1859 e quasi contemporaneamente sperimentato da P. Thomas, il quale lo brevettò in Italia nel 1865 e costituì la "Società privilegiata per la fusione dello zolfo in Italia" che lo introdusse nelle miniere. Gli apparecchi orizzontali, del tipo attualmente in uso, furono creati poco prima del 1890.
Questi apparecchi sono costituiti (fig. 9) da un cilindro di lamiera (oppure di ghisa) il cui asse è un poco inclinato rispetto all'orizzontale. Attraverso la bocca, che è situata nella parte più alta, s'introducono dei vagoncini pieni di minerale, che corrono su rotaie. Si chiude poi la bocca con un coperchio da autoclave e si immette vapore a 4 ÷ 5 atmosfere. Un foro, praticato nel fondo, permette di scaricare l'acqua di condensa; da un altro foro si scarica lo zolfo liquido. Il cilindro può contenere diversi vagoncini. Il consumo di carbone viene calcolato in circa 14 kg. per tonnellata di minerale. Gli apparecchi a vapore sono sempre stati usati soltanto per minerali ricchi. Al grande vantaggio di poter dare lo zolfo fuso solo 3 ore dopo l'uscita del minerale dalla miniera essi contrappongono lo svantaggio dell'incompleto esaurimento del minerale. Infatti, solo i minerali nei quali lo zolfo si trova in strati regolari vengono esauriti bene; ma gli altri, dopo il trattamento con gli apparecchi a vapore, contengono ancora il 7 ÷ 15% e anche più di zolfo. È facile comprendere che il modo di condurre il trattamento ha molta influenza sulla misura delle perdite.
Secondo una pratica introdotta nel 1903, alcuni trattano nei forni Gill i residui della fusione a vapore dopo aver fatto loro subire un'essiccazione naturale lasciandoli per alcuni mesi all'aria aperta. Nel 1934 i rosticci sottoposti a questo secondo trattamento diedero il 4% in peso di zolfo.
Antichi mezzi di fusione con riscaldamento a carbone. - In Sicilia prima dell'introduzione del calcarone, talvolta si fondeva il minerale in caldaie coperte, riscaldate a legna. Dopo la scomparsa delle calcarelle per minerali ricchissimi e sterri si usarono - specialmente a Lercara il provincia di Palermo - caldaie di ghisa di 600 ÷ 800 litri poste sopra un fornello in muratura, nel quale si bruciava carbon fossile o legna. Quando tutto lo zolfo era fuso, con uno speciale cucchiaio forato si toglieva (per quanto era possibile) la ganga; poi si lasciava in riposo e infine si estraeva con un cucchiaio lo zolfo liquido. Quello estratto per ultimo era molto impuro e doveva essere nuovamente fuso in un calcarone. I residui contenevano ancora il 30% di zolfo. Anche queste caldaie furono abbandonate dopo il 1870.
I doppioni, usati esclusivamente in Romagna, erano forni a storte riscaldati da un focolare a carbon fossile e nei quali il minerale era sottoposto a distillazione. Le storte erano di ghisa ed erano disposte su due file longitudinali, con l'asse inclinato verso l'esterno per facilitare lo scarico dei rosticci. Erano munite di un coperchio che rimaneva chiuso durante l'operazione e di un tubo che portava i vapori di zolfo in un collettore, dal quale sboccavano in un condensatore ottenendosene zolfo allo stato liquido. Sia il caricamento sia lo scarico dei rosticci si compivano a mano. Prima del 1900 i doppioni erano quasi completamente spariti.
Forni a combustione di carbone. - In Italia è stata ripetutamente tentata la creazione di nuovi forni che potessero sostituire gli attuali forni a combustione di zolfo usando come combustibile il carbon fossile con maggiore efficienza delle vecchie pentole e dei doppioni. Il vantaggio della sostituzione risulta dal fatto che il carbone ha un potere calorifico triplo a un prezzo molto inferiore a quello dello zolfo. Il problema presenta, però, molte e gravi difficoltà, dipendenti anche dalle complesse reazioni (fino a poco tempo fa non bene chiarite) che hanno luogo fra lo zolfo e i prodotti della combustione del carbone. Fra gli inventori di forni a carbone figurano alcuni fra i più stimati tecnici dell'industria, come R. Gill e S. Mottura.
I più recenti forni a carbone sono il tipo Verso-Gallè e il Veronelli.
Forno Verso-Gallè. - Questo forno è stato sperimentato in Sicilia per la prima volta nel 1930 e ha dato risultati soddisfacenti. Il minerale viene riscaldato, per irraggiamento e fuori da ogni contatto con i prodotti della combustione, da carbone che brucia entro tubi di lamiera disposti dentro la massa del minerale stesso. Il riscaldamento procede dall'alto al basso della massa di minerale: in tal modo si realizza una delle condizioni che si ritengono necessarie per il buon andamento della fusione.
Il forno (fig. 10) è costituito da celle in muratura, in cui sono disposti verticalmente dei tubi, entro ciascuno dei quali si trova una griglia, solidale con un'asta che permette di sollevarla e abbassarla. Il carbone brucia su queste griglie, con aria proveniente dal sotterraneo della cella; i prodotti della combustione dall'alto del tubo vanno al camino. All'inizio di ogni operazione le griglie con i loro fuochi sono portate in corrispondenza degli strati superiori del minerale, per essere gradatamente abbassate man mano che la fusione dei singoli strati è compiuta.
In corrispondenza con la griglia si avrebbero tre zone, la temperatura della zona più alta sarebbe di 325°; quella della zona più bassa di poco superiore al punto di fusione dello zolfo. In questa zona bassa avverrebbe la liquefazione e i vapori di zolfo formantisi nella zona immediatamente superiore scenderebbero a condensarsi nello zolfo liquido.
Nelle prove eseguite nel 1933-34 nella miniera di Cozzodisi il consumo di coke è stato di kg. 23 per tonnellata di minerale; la resa in zolfo è stata del 22,5% del peso del minerale; mentre le quadriglie Gill che funzionavano in parallelo col forno trattando lo stesso minerale davano una resa del 17,5%. Dal punto di vista economico il forno Verso-Gallè sarebbe risultato molto più conveniente del forno Gill. Secondo Verderame e De Lisi il rendimento termico sarebbe stato del 39%.
Forno Veronelli. - È un forno a corrente d'aria calda in ciclo chiuso, a ricupero di calore e con condensatore. Trattando in un piccolo impianto sperimentale del minerale al 16,5% di zolfo se ne sarebbe estratto l'82,8%.
Estrazione col solfuro di carbonio. - Lo zolfo (a eccezione di quello amorfo in una delle sue modificazioni) è solubilissimo nel solfuro di carbonio, il quale lo estrae dai minerali in modo così completo, che questo metodo è usato nell'analisi dei minerali stessi. Da tempo si è pensato che la maggiore resa in zolfo avrebbe reso vantaggioso l'impiego del solfuro di carbonio anche nell'estrazione industriale, compensando largamente il maggior costo dell'apparecchiatura e le spese per il combustibile e per quella parte del solfuro che va perduta. Il solfuro avrebbe potuto essere prodotto molto economicamente sul posto stesso.
E. Condy Bollmann nel 1865-67 fece due impianti di estrazione col solfuro di carbonio nei dintorni di Napoli. Nel 1876-77 l'ing. Frizzoni riprese il processo nella miniera di Talacchio (prov. di Pesaro), ma si ebbero forti perdite di solfuro e anche questo tentativo fu abbandonato.
Da esperimenti eseguiti nel 1933 con apparecchiatura moderna da C. G. Gemmellaro a Catania il consumo di carbone è risultato di kg. 30 e la perdita di kg. 1 per tonnellata di minerale trattato.
Da alcuni anni l'estrazione con il solfuro di carbonio ha avuto importanti applicazioni industriali in Germania, dove si ricupera con questo processo lo zolfo contenuto nelle masse depuranti del gas (v. oltre). Il successo in questo campo nel quale si dovevano superare difficoltà molto maggiori, dipendenti dalla presenza di impurità solubili nel solfuro di carbonio, ha fatto rinascere l'interesse per l'estrazione con solfuro del mineralp di zolfo, che è oggetto di ricerche sperimentali in vista di applicazioni su scala industriale.
Arricchimento del minerale. - Fluttuazione. - Negli Stati Uniti, una miniera dello stato di Nevada e una dell'Utah per qualche tempo hanno applicato la fluttuazione al trattamento del minerale di zolfo. La prima, da minerale al 17%, avrebbe ottenuto un concentrato col 77% di zolfo e il 18% di umidità, recuperando l'85% dello zolfo contenuto nel minerale. Questo concentrato veniva poi trattato con acqua surriscaldata, ottenendo zolfo al 99,6%.
Anche in Italia la fluttuazione è stata applicata nel 1923 nella miniera di Capo di Rio (prov. di Macerata), ma con poco successo.
Frantumazione e classificazione per grossezza. - È stato ripetutamente proposto di arricchire il minerale di zolfo sfruttando i fenomeni cui si deve la formazione degli sterri (v. sopra).
G. G. Argilier nel 1869 propose di separare per stacciatura il minerale minuto, che ha tenore più elevato di quello medio del minerale originario, e di completare l'arricchimento sottoponendolo a lavaggio per eliminarne l'argilla. G. De Labretoigne nel 1877 brevettò un procedimento di preparazione di concentrati per frantumazione, stacciatura e classificazione per grossezza, in corrente d'aria e senza lavaggio.
Un processo analogo, ma senza la classificazione in corrente d'aria, fu applicato nel 1889-90 in una miniera presso Caltanissetta, facendo procedere la stacciatura da cernita a mano: la stacciatura dava un concentrato col 50 ÷ 70% di zolfo.
Separazione elettrostatica. - Questo procedimento è stato sperimentato nel 1922 presso la miniera di Bellisio (prov. di Pesaro). Si è trovato che era possibile ottenere, da sterro col 20 ÷ 30% di zolfo, concentrati all'80 ÷ 88% e un rifiuto all'8 ÷ 10% di zolfo; ma il processo è risultato costoso anche per le notevoli perdite di zolfo.
Processo Frasch. - Questo processo consiste sostanzialmente nel fondere lo zolfo in seno al giacimento per mezzo di acqua calda sotto pressione (alla temperatura di 150-160°) e nel portarlo alla superficie allo stato liquido. Le due operazioni si compiono per mezzo di pozzi trivellati di un tipo speciale, derivati da quelli usati per l'estrazione del petrolio (fig. 13).
Lo zolfo è trasportato allo stato liquido, per mezzo di tubazioni riscaldate da vapore, anche all'esterno del pozzo, fino al punto nel quale viene fatto solidificare in grandissimi blocchi che vengono spezzati con esplosivi al momento della spedizione.
In tal modo i lavori minerarî necessarî col vecchio metodo vengono sostituiti dalla trivellazione dei pozzi, che è molto meno costosa; il sollevamento del minerale è sostituito da quello dello zolfo che pesa molto meno e anche i trasporti in senso orizzontale riescono più facili ed economici. Col processo Frasch non si estrae che una parte dello zolfo presente nel giacimento; ma a questa perdita vanno contrapposte quelle che si hanno nell'estrazione dello zolfo dal minerale coi vecchi processi. La mano d'opera necessaria col processo Frasch è minima in confronto al processo ordinario; però si ha un forte consumo di combustibile, occorrono grandi impianti di caldaie a vapore ed è necessario disporre di grandi quantità di acqua. (fig. 11).
Caratteristica fondamentale del processo Frasch è di mantenere lo zolfo fuso a temperatura inferiore a quella alla quale diventa vischioso (circa 150°). Per portare e mantenere l'acqua a questa temperatura, senza che si trasformi in vapore, occorre che essa sia alla pressione di 5-6 atmosfere. Per conseguenza, il minerale solfifero dev'essere alla profondità necessaria perché il terreno sovrastante eserciti una pressione non minore di quella indicata.
L'estrazione riesce tanto più economica, quanto minori sono le perdite di acqua calda e, quindi, quanto meno permeabili sono i terreni che circondano il minerale. Inoltre, per la buona utilizzazione del calore, è molto utile che le rocce al tetto del giacimento siano poco resistenti. In tal caso, infatti, man mano che si estrae lo zolfo e si formano nuove cavità nella roccia, il tetto frana e i terreni impermeabili sovrastanti si infiltrano nei meati della ganga, chiudendo il passaggio all'acqua calda nella zona esaurita. A questo riguardo i migliori risultati si hanno nei giacimenti coperti da terreni argillosi, come quello che nel Golfo del Messico viene chiamato gumbo. Per effetto dei franamenti, la superficie del terreno si abbassa e in molti casi alla leggiera sopraelevazione che corrispondeva alla cupola si sostituisce una depressione avente un di volume superiore a quello dello zolfo estratto, inquantoché l'argilla va a occupare anche quelle cavità della roccia che originariamente non erano riempite di zolfo.
Per ottenere effetti analoghi a quelli del franamento del tetto, quando questo è formato da roccia resistente, in qualche giacimento (secondo una pratica iniziata dal Frasch) si esegue un riempimento idraulico introducendo nella formazione solfifera dell'acqua che trascina materiali solidi come argilla, sabbia, ecc. (operazione detta dai tecnici mudding).
Ciascun pozzo Frasch serve a estrarre lo zolfo da una zona piuttosto ristretta: si tengono contemporaneamente in funzione parecchi pozzi vicini (fig. 12). Man mano che l'estrazione procede, si raccoglie nella formazione solfifera una forte quantità di acqua, che va ad aggiungersi a quella preesistente nella formazione stessa. L'acqua più calda, essendo anche la più leggiera, sale alla parte superiore. Per conseguenza, fino a un certo livello, il minerale si trova a temperatura superiore a quella di fusione dello zolfo e tutto lo zolfo di quegli strati fonde e cola negli strati inferiori, dove torna a solidificarsi per essere ulteriormente fuso quando il livello dell'acqua calda si abbassa ulteriormente. Si ha così una fase secondaria di fusione; lo zolfo che se ne ottiene va ad aggiungersi a quello fuso direttamente dai pozzi.
Dato che i giacimenti nelle migliori condizioni di sfruttamento non presentano vie naturali per l'uscita dell'acqua, ordinariamente si praticano artificialmente degli sbocchi per fare uscire dalla formazione solfifera una quantità d'acqua uguale a quella che vi si introduce. Questi sbocchi sono costituiti da speciali pozzi di scarico (bleed wells) che pescano nei punti più bassi della formazione, dove si raccoglie l'acqua più fredda (fig. 12).
Il consumo di combustibile col processo Frasch, anche quando il giacimento presenta le caratteristiche più favorevoli, corrisponde a circa 20 volte la quantità strettamente necessaria per fondere lo zolfo estratto.
Il processo Frasch si presta molto bene all'esaurimento rapido di vasti giacimenti. Esso però è stato studiato per le condizioni particolari delle cupole del Golfo del Messico le quali - sebbene il minerale non differisca da quello italiano - a differenza dai giacimenti degli altri paesi hanno una struttura piuttosto regolare. Le caratteristiche dei giacimenti che consentono la più economica estrazione col processo Frasch sono: 1. formazione solfifera sufficientemente porosa per consentire la circolazione uniforme dell'acqua; 2. strati impermeabili intorno al minerale; 3. al tetto, rocce che si spezzino facilmente man mano che l'estrazione dello zolfo procede, ostruendo le vie d'acqua nel minerale esaurito. E, naturalmente, strato solfifero che contenga la quantità di zolfo necessaria per ammortizzare le forti spese d'impianto. Finora queste condizioni non si sono trovate che in pochi giacimenti.
Pozzi. - Come si è detto, nel processo Frasch da una parte si adduce l'acqua calda allo strato solfifero, dall'altra si educe lo zolfo fuso da questo strato alla superficie del terreno. Occorrono quindi due tubazioni separate. In pratica esse sono disposte l'una internamente all'altra; quella interna serve all'eduzione dello zolfo; lo spazio anulare fra l'interna e l'esterna serve all'adduzione dell'acqua calda la quale, in tal modo, mantiene alla temperatura voluta la colonna di zolfo. Siccome poi, per facilitare il sollevamento, la colonna di zolfo liquido viene alleggerita insufflandovi aria compressa, come si fa in alcune pompe (v. pompa, XXVII, 802), dentro la tubazione dello zolfo è disposto un tubo più piccolo per l'adduzione dell'aria. Un quarto tubo, esterno a quelli elencati, costituisce il rivestimento del pozzo. Quest'ultimo scende soltanto fino alle rocce del tetto; gli altri tre arrivano alla parte inferiore della formazione solfifera e precisamente alla superficie di contatto fra il minerale di zolfo e il sottostante strato di anidrite (fig. 15). I diametri dei quattro tubi sono rispettivamente: 8 ÷ 10 pollici (203 ÷ 254 mm.); 6 ÷ 8 pollici (152 ÷ 203 mm.); 3 pollici (76 mm.) e 1 ÷ 11/4 pollice (25 ÷ 32 mm.).
Nella fig. 14 è illustrata la parte superiore di questo complesso di tubazioni, con i tubi che vi arrivano e ne partono. Il castello (ingl. derrick) che serve alla trivellazione viene lasciato in posto durante il funzionamento del pozzo, perché serve a estrarre ed eventualmente riparare le tubazioni.
Nella fig. 15 è illustrata la parte inferiore del pozzo e cioè quella che serve a compiere le operazioni caratteristiche del processo. Come si è detto, essa è costituita solo dai tre tubi interni. Il tubo dell'aria termina a 6 m. e più dal fondo. La camera compresa fra i due tubi dello zolfo e dell'acqua è chiusa, a meno di 1 m. al disopra dell'estremità di quest'ultimo, da un diaframma anulare, in corrispondenza al quale termina il tubo dello zolfo. Il tubo esterno porta dei fori di 20 ÷ 25 mm. per circa 1 m. al disopra e per circa 60 cm. al disotto del diaframma. Per i fori superiori l'acqua calda esce dal pozzo, circolando nel minerale e fondendo lo zolfo che, insolubile com'è nell'acqua e con peso specifico circa doppio di essa, si raccoglie all'estremità inferiore del tubo esterno, penetra in questo dai fori, spinto dalla pressione idrostatica sale nel tubo di mezzo e alleggerito dall'aria compressa che arriva per il tubo interno giunge alla superficie, dove poi finisce dentro una marmitta munita di uno sfiatatoio per il quale esce l'aria mentre lo zolfo, sempre liquido, mediante una valvola effluisce in una vasca di raccolta (v. oltre).
Se la pressione della colonna d'acqua risulta insufficiente per sollevare lo zolfo fino alla superficie del terreno con l'aiuto dell'aria compressa, la si aumenta con l'aiuto di pompe. L'aria compressa è alla pressione di 35 atmosfere.
L'ammissione dell'acqua calda e quella dell'aria compressa, come anche l'efflusso dello zolfo liquido, vengono regolate per mezzo di valvole - e con la guida dei necessarî strumenti di controllo - da stazioni apposite, ciascuna delle quali comanda tutti i pozzi di un gruppo. Nelle stazioni sono pure installate le pompe per la circolazione dello zolfo alla superficie e accanto a esse normalmente è situata la vasca di raccolta dello zolfo.
Il pozzo si avvia mandandovi acqua calda fino a tanto che lo zolfo liquido salendo nel tubo medio è arrivato a sommergere l'estremità inferiore del tubo interno; a questo punto si manda aria compressa e lo zolfo sale alla superficie. Per accelerare l'avviamento, l'acqua calda può essere mandata anche per la tubazione di eduzione dello zolfo, oltre che per la via normale. Questa operazione è detta boosting. Se però lo zolfo viene estratto dal pozzo in quantità maggiore di quella che contemporaneamente viene fusa dal minerale, alla superficie si finisce con l'avere un efflusso di vapor d'acqua anziché di zolfo. Questo fenomeno (detto blooming) dipende dal fatto che nel tubo medio la colonna di zolfo si è abbassata e in sua vece è salita acqua calda la quale, incontrando una pressione minore, si trasforma istantaneamente in vapore. Per riattivare l'estrazione dello zolfo, si sospende l'insufflazione dell'aria compressa e si manda una maggior quantità di acqua calda, come nell'avviamento; dopo alcune ore lo zolfo liquido è in quantità sufficiente per innescare nuovamente il pozzo. Per questa ragione la produzione dei vecchi pozzi è quasi sempre intermittente.
Se viene a mancare l'acqua calda mentre la tubazione è piena di zolfo, questo solidifica (fenomeno detto freezing) e il pozzo va perduto.
La fine naturale del funzionamento di un pozzo si ha quando è esaurita la zona di minerale entro la quale può circolare la sua acqua calda. Generalmente, però, i pozzi vengono messi fuori servizio molto prima, per effetto del cedimento del terreno che curva e rompe i tubi. Questo fatto talvolta si verifica subito dopo l'entrata in servizio, se il pozzo pesca in una zona eccezionalmente ricca di zolfo, perché in queste condizioni il franamento del tetto avviene di colpo per una vasta zona. Per queste ragioni, la durata del funzionamento varia da pochi giorni a un anno (in qualche caso però arriva ai due anni) e anche la produzione complessiva varia fortemente da un pozzo all'altro. Si considera buona una produzione oraria di 16 tonn., pari a più di 10.000 tonn. al mese; ma spesso la produzione media è molto minore. Per es., nel giacimento di Bryan Mound, dal principio alla fine del suo sfruttamento, la produzione media fu di 2635 tonn. per pozzo.
Quando un pozzo è esaurito, si smantella il castello, si ricuperano per quanto è possibile le tubazioni e si chiude il foro per impedire che si trasformi in pozzo di uscita dell'acqua.
Si calcola che nei giacimenti del Golfo del Messico l'impianto di un pozzo Frasch venga a costare 10.000 dollari in condizioni normali.
Trasporto dello zolfo dal pozzo al deposito. - Lo zolfo che esce dal pozzo passa allo stato solido soltanto nel cosiddetto tino di deposito. Per arrivarci viene fatto circolare liquido generalmente con l'aiuto di pompe in tubazioni zincate e ben isolate, riscaldate internamente da un tubo di vapore di 25 mm. di diametro. Le pompe centrifughe sono ad asse verticale e di disegno speciale: le loro parti mobili sono sommerse nello zolfo liquido oppure riscaldate per mezzo di camicie di vapore.
Le pompe che servono un gruppo di pozzi sono raccolte in una stazione nella quale sono pure disposte le valvole che regolano l'ammissione dell'acqua calda e dell'aria compressa ai singoli pozzi, il cui funzionamento, quindi, viene controllato da queste stazioni.
Di solito lo zolfo proveniente dai singoli pozzi si raccoglie in una vasca (ingl. sump) situata presso la stazione; di qui viene poi ripreso dalle pompe e mandato al tino di deposito. La vasca è scoperta e ha le pareti e il fondo di ghisa, riscaldati da serpentini nei quali circola vapore. Le tubazioni di arrivo terminano nelle marmitte nelle quali lo zolfo si separa dall'aria compressa, passando poi per un misuratore e scaricandosi da una valvola.
Tini di deposito. - Nelle miniere che applicano il processo Frasch, i depositi di zolfo sono costituiti da giganteschi parallelepipedi ai quali si conserva il nome del tino (ingl. vat; fig. 16) che ha servito a formarli. Lo zolfo liquido viene infatti colato dentro un tino formato da un tavolato rettangolare che costituisce il fondo e da basse pareti verticali, anch'esse di tavole. Quando questo primo tino è pieno di zolfo solido, si innalzano le pareti verticali ancorandole al blocco già formato e si demoliscono le vecchie. Spostando le tubazioni di arrivo, si distribuisce uniformemente lo zolfo. liquido, formando uno strato di pochi centimetri che passa rapidamente allo stato solido. Ordinariamente la produzione di una giornata forma uno strato su tutta la superficie del tino. Se invece si facessero strati di forte spessore, dato che lo zolfo è cattivo conduttore del calore, rimarrebbero per molto tempo delle sacche di zolfo liquido che si aprirebbero, con possibilità di pericolo per gli operai, nello spezzare il blocco per il caricamento del minerale.
Un blocco completo ordinariamente ha 12-15 m. di altezza e 60 m. e più di larghezza; la lunghezza può arrivare ad alcune centinaia di metri. Alcuni di questi blocchi contengono un milione di tonnellate di zolfo.
Uno dei vantaggi di questo metodo sta nell'assenza del pericolo di incendio, che invece si ha nei depositi normali, dove lo zolfo è ammucchiato in varie pezzature e in parte in forma di polvere. Al momento della spedizione, si praticano nel blocco con perforatrici rotative dei fori da mina a 4-6 m. dalla parete più lunga e lo si spacca con esplosivi, caricandolo meccanicamente sui carri ferroviarî che si trovano su un binario che corre lungo il lato del blocco.
Centrali termiche. - L'acqua per i pozzi da zolfo riene riscaldata e portata alla necessaria pressione in grandi centrali, le quali, inoltre, forniscono l'aria compressa per i pozzi e l'energia elettrica per tutti i servizî e per l'illuminazione. Negl'impianti più moderni, la centrale è situata fuori dell'area dalla quale si deve estrarre lo zolfo, per evitare che il cedimento del terreno possa danneggiarla. Come combustibile si usa generalmente gas naturale oppure olio minerale. L'acqua è tratta dalle fonti meno impure delle quali si dispone (fiumi, oppure pozzi artesiani lontani dalla formazione solfifera; mai dai bleed wells [v. oltre]) ed è purificata con opportuni trattamenti (v. acqua, I, p. 354) per evitare incrostazioni degli apparecchi e corrosioni delle tubazioni.
L'acqua destinata ai pozzi, dopo essere stata preriscaldata con vapore di scappamento delle turbine, viene portata a 150-160° (in qualche caso a 175°), facendovi condensare vapore - nella misura di 25 kg. per ogni 75 kg. d'acqua - in apparecchi costruiti sullo stesso principio dei condensatori a miscela. Il vapore vivo viene fornito da grandi caldaie a tubi d'acqua. Dopo riscaldata, l'acqua viene ripresa da pompe e mandata ai pozzi sotto pressioni che possono raggiungere i 17,5 kg./cmq.
Nelle centrali moderne si ha un rendimento termico del 75% e più. Si calcola che poco meno del 97% del calore utilizzato serva per il riscaldamento dell'acqua dei pozzi; circa il 3% per il trasporto dello zolfo alla superficie; meno dell'1% per la produzione dell'energia elettrica.
Acqua dei pozzi di scarico. - Come si è detto, i pozzi di scarico (bleed wells) raggiungono i punti più bassi della formazione solfifera. L'acqua che per essi arriva alla superficie, in un primo tempo è quella preesistente nella formazione; poco a poco essa viene diluita da quella introdotta per i pozzi da zolfo. È un'acqua giallastra e di cattivo odore, che diventa nerastra in seguito al contatto con ferro. Tiene in soluzione idrogeno solforato, polisolfuri, molto cloruro di sodio e diversi altri sali. Viene sottoposta a uno speciale trattamento per liberarla dai solfuri, come esigono le leggi locali; dopo di che la si scarica nei fiumi.
Campionamento del minerale. - Nei giacimenti da sfruttare col processo Frasch, il tenore del minerale di zolfo viene determinato con metodi speciali. Le carote (vedi petrolio, XXVII, p. 46) che si ottengono nella trivellazione con corona rotante hanno un tenore inferiore a quello del minerale dal quale provengono perché, essendo lo zolfo molto più friabile della ganga, parte di esso va perduta durante l'estrazione della carota. Questo zolfo rimasto nel foro può essere estratto facendolo trascinare dall'acqua, che si solleva con una pompa; ma questo espediente può portare all'errore opposto e ciò alla sopravalutazione del tenore; perché l'aspirazione esercitata dalla pompa determina il distacco di nuovo materiale dalle pareti del pozzo e, per effetto della differenza di fragilità, questo materiale è costituito prevalentemente da zolfo.
Invece, dà risultati conformi alla realtà il metodo detto reverse return o air-lift, che consiste nel sollevare attraverso il gambo dell'utensile la miscela di acqua e detriti di roccia che si forma nel lavoro di perforazione, alleggerendola con aria compressa introdottavi con un apposito tubo. Il liquido, al suo arrivo alla superficie, passa per una griglia che trattiene il materiale più grossolano, dopo di che si mandano alla fogna i 7/8 del liquido (dividendo per tre volte la corrente esattamente a metà per mezzo di tre stramazzi in serie) mentre il rimanente ottavo viene raccolto in una vasca di sedimentazione, al fondo della quale finisce per depositarsi tuttn il materiale minuto trascinato dall'acqua. Poi si analizza sia questo materiale, sia quello raccolto sopra la griglia: la media ponderata dei rispettivi tenori in zolfo corrisponde al tenore medio del minerale.
Riempimento idraulico (mudding). - Come si è detto, quest'operazione, che ha riscontro nella tecnica dell'estrazione del petrolio, consiste nel chiudere le vie d'acqua con materiale solido trascinato dall'acqua che si introduce nella formazione solfifera per mezzo di pozzi tubolari. Il materiale solido è costituito secondo i casi da terreno argilloso e anche da sabbia, più o meno grossolana, da ciottoli, gusci di molluschi, ecc. Si pompa l'acqua insieme con questo materiale in pozzi distinti dalla zona dalla quale si deve estrarre lo zolfo, fino a tanto che la pressione arriva a 14-21 kg./cmq. La quantità necessaria varia fra 20.000 e 230.000 mc. per pozzo.
Coltivazione per incendio. - In qualche miniera della Sicilia,. in seguito ad incendî accidentali che non è stato possibile spegnere, il minerale brucia in sito dando piccolissimi rivoli di zolfo liquido (zolfo di sorgiva). Nel 1910 G. Fiori, prendendo a modello i lavori che si facevano in una miniera di Lercara (prov. di Palermo), per sfruttare le sorgive di un vecchio incendio, applicò un metodo di coltivazione che consiste sostanzialmente nel far bruciare in sito la massima parte del minerale, regolando la combustione in modo da ricuperare la maggiore quantità possibile di zolfo.
Secondo questo metodo, si preparano dei livelli alti 10 m. ciascuno, tracciandoli per pilastri e gallerie, lasciando al cielo un grosso strato di minerale; il livello è diviso in settori a pianta quadrata, di m. 30 di lato, da gallerie principali, entro le quali corre una piccola galleria in muratura; lo spazio fra le due gallerie viene riempito con rosticci, lasciando però, dalla parte del cielo, una galleria di servizio. Fra i pilastri del settore corrono cunicoli che sboccano nelle gallerie in muratura. Lungo queste gallerie corrono tubazioni d'acqua, che servono a spegnere gl'incendî quando si propagano fuori del settore voluto. La propagazione dell'incendio è favorita dalla presenza di spaccature della roccia, entro le quali circola dell'aria.
A regime, si ha un primo livello, che ha già servito a raccogliere lo zolfo colato nell'incendio di un livello superiore; un secondo livello, preparato come il primo, al disotto di esso, e un terzo livello nel quale sono in corso i lavori di tracciamento. L'esaurimento del primo livello si compie appiccando il fuoco a un settore e mantenendolo alla giusta intensità, regolando l'afflusso dell'aria per mezzo di porte e di finestre disposte nelle gallerie. Lo zolfo che fonde cola nel secondo livello attraverso le spaccature della roccia, si raccoglie nei cunicoli e di qui fluisce nelle gallerie, di dove viene raccolto quando è passato allo stato solido. Esaurito un settore, si dà fuoco al settore vicino, finché tutto il livello è esaurito. Allora si smantella il secondo livello, ritirandone i binarî e tutto l'altro materiale ricuperabile, e lo si incendia, facendo colare lo zolfo nel terzo livello che, nel frattempo, è stato preparato allo stesso modo dei primi due.
Come risulta dalla descrizione, una parte del minerale - dal 20 al 40% - viene estratta nel modo ordinario durante i lavori di tracciamento ed è trattata nei soliti forni, fuori del sotterraneo. Per la natura dei giacimenti, non è facile far procedere l'incendio in modo regolare e alla giusta intensità e, in ogni modo, la coltivazione si compie con molta lentezza. Analogamente a quanto avviene col processo Frasch, col metodo Fiori si risparmiano le spese di abbattimento e di trasporto all'esterno della massima parte del minerale; però si calcola che la resa in zolfo sia inferiore a quella che si ha nei forni, non si evitano le spese di tracciamento delle gallerie e per di più si debbono fare opere che mancano nelle miniere normali. Lo zolfo che si ottiene dagli incendî è impuro. Per queste ragioni la convenienza economica della coltivazione per incendio è incerta: la sua applicazione è rimasta limitata alle miniere di Colle Croce presso Lercara.
Estrazione dello zolfo dai solfuri, dai solfati e dal carbon fossile. - Estrazione dalle piriti e dagli altri solfuri metallici. - Com'è noto, i solfuri di ferro contengono forti percentuali di zolfo: la pirite FeS2 il 53%, la pirrotite FeS il 36,5%, la calcopirite CuFeS2 (solfuro doppio di ferro e di rame) il 35%, ecc. Altri solfuri metallici sono anch'essi discretamente ricchi di zolfo; la blenda ZnS ne contiene il 33%, la galena PbS il 13,5%, ecc. (tutte queste cifre si riferiscono a minerali puri).
Da gran tempo lo zolfo delle piriti viene utilizzato nella fabbricazione dell'acido solforico. Invece, gli altri solfuri servono da materia prima per l'estrazione dei relativi metalli e, ad eccezione della blenda, generalmente viene dispersa nell'aria - con danni più o meno gravi alla vegetazione - l'anidride solforosa che si forma durante il trattamento metallurgico (v. solforico, acido; piombo; rame; zinco).
Da alcuni anni, però, notevoli quantità di piriti cuprifere vengono utilizzate, abbinando all'estrazione del rame quella dello zolfo elemento, coi processi Orkla, Boliden, ecc. Questi processi si fondano sulla riduzione dell'anidride solforosa per mezzo di coke oppure di ossido di carbonio e sulla scomposizione, con l'aiuto di catalizzatori, degli altri composti solforati che accompagnano l'anidride solforosa: ossisolfuro e solfuro di carbonio, idrogeno solforato. In molti casi queste operazioni presentano difficoltà per il basso tenore (3-7%) in anidride solforosa dei gas provenienti dall'arrostimento dei solfuri; inoltre, questi gas contengono notevoli percentuali di ossigeno che, combinandosi col carbonio, fa aumentare di molto il consumo di combustibile. Tali difficoltà possono essere eliminate separando l'anidride solforosa dall'aria e dagli altri prodotti della combustione col farla assorbire da soluzioni acquose di sali, oppure da composti organici della serie aromatica o da altre sostanze che la restituiscono ad alta concentrazione.
Si usano in generale dei liquidi che a temperatura ordinaria assorbono l'anidride solforosa e la restituiscono quando sono riscaldati a 95-100°. Così, p. es., nel processo della I.C.I. si impiega una soluzione acquosa di un solfito alcalino e di cloruro di alluminio; nel processo Sulfidin una miscela a volumi eguali di acqua e xilidina. Col processo Thiogen, invece, si impiega olio minerale polverizzato, in presenza di un catalizzatore (solfuro di calcio e ossido di ferro). È noto che anche l'acqua assorbe l'anidride solforosa; ma non è usata industrialmente, perché il suo potere assorbente è molto limitato.
Processo Orkla. - Questo processo può considerarsi una modificazione dell'ordinario trattamento metallurgico per l'estrazione del rame dalle piriti cuprifere (v. rame, XXVIII, 804), che è stato completato aggiungendovi la riduzione dell'anidride solforosa, la scomposizione dell'ossisolfuro e del solfuro di carbonio e dell'idrogeno solforato e la precipitazione elettrostatica dello zolfo così formatosi. Si ricuperano così lo zolfo e il rame delle piriti, mentre il ferro viene scorificato.
Nelle sue linee generali, il processo è semplice. La pirite cuprifera - naturalmente, senza essere sottoposta a desolforazione - viene fusa in un forno a vento insieme con coke e con calcare e quarzo che servono da fondenti. Nella parte inferiore del forno la pirite viene desolforata e si formano: 1. una metallina che contiene, allo stato di solfuro, il rame e i metalli preziosi che eventualmente l'accompagnano, insieme con una certa percentuale del ferro; 2. una scoria che contiene la massima parte del ferro sotto forma di silicato ferroso: essa si separa facilmente dalla metallina e, avendo peso specifico minore, galleggia sopra di essa; 3. anidride solforosa che nella parte superiore del forno, venendo a contatto col coke, è ridotta a zolfo; si forma così vapore di zolfo che esce dal forno insieme con l'anidride solforosa non ridotta, con ossisolfuro e solfuro di carbonio e idrogeno solforato. Da questi ultimi composti si ricupera lo zolfo facendoli passare sopra catalizzatori, in presenza di un eccesso di anidride solforosa. Infine, si precipita lo zolfo dal gas col processo elettrostatico; dopo di che, con l'eccesso di anidride solforosa che ancora contiene, lo si rimanda in parte al forno insieme con l'anidride solforosa ottenuta nella conversione della metallina a rame grezzo. Lo zolfo che si ottiene è sotto forma di perline. Esso contiene l'arsenico e il selenio della pirite, che debbono essere ulteriormente eliminati con speciali trattamenti quando lo zolfo è destinato a usi per i quali questi elementi riescono dannosi. Col processo Orkla si ricupera l'85-90% dello zolfo e del rame dalla pirite.
Come si è detto, il ferro della pirite va perduto con la scoria e siccome il valore dello zolfo non è sufficiente per coprire le spese, l'applicazione del processo Orkla è limitato alle piriti cuprifere e anzi è necessario che il prezzo del rame non sia inferiore a un certo limite.
Processo Boliden. - Consiste nel desolforare le piriti come nel processo normale e cioè arrostendole in un forno meccanico e nel ridurre con coke, oppure con ossido di carbonio, senza concentrarla, l'anidride solforosa così ottenuta. Come catalizzatore, si usa una miscela di ossido di ferro e di alluminio.
Una parte del gas solforoso, proveniente dai forni meccanici, dopo essere stata mescolata con aria e preriscaldata a 250-300°, viene soffiata in un gassogeno di forma speciale, nel quale traversa uno strato di coke incandescente. L'anidride solforosa viene ridotta e si forma ossido di carbonio e zolfo; la reazione è endotermica al pari di quella fra acqua e carbone, sicché l'anidride solforosa sostituisce il vapor d'acqua che normalmente si usa nei gassogeni per abbassarne la temperatura. Dal gassogeno si ottiene un gas riducente, che contiene ossido di carbonio e anidride carbonica e piccole quantità di ossisolfuro e solfuro di carbonio e di idrogeno solforato (prodotti di reazioni secondarie). Questo gas viene poi mescolato al rimanente gas solforoso dei forni meccanici e alla miscela si fanno percorrere in serie due camere di reazione, nelle quali essa incontra il catalizzatore. L'anidride solforosa e gli altri composti solforosi sono per la massima parte ridotti e si ha zolfo allo stato di vapore. I gas vengono allora raffreddati facendo loro percorrere lunghe tubazioni raffreddate dall'aria e poi - se il gassogeno è alimentato con coke ricco di polveri o di ceneri - si fa loro attraversare un ciclone per separarne la polvere; dopo di che vanno al preriscaldatore, dove cedono parte del loro calore alla miscela di aria e gas che va al gassogeno. Si raffreddano ancora attraversando un raffreddatore in lamiera di ferro, nel quale comincia a condensarsi lo zolfo; infine sono sottoposti alla separazione elettrostatica in due apparecchi Cottrell in serie, nei quali si separa lo zolfo rimanente. Lo zolfo liquido va in recipienti riscaldati da camicie di vapore ed è sottoposto a un trattamento col quale se ne eliminano le impurità che vi sono sospese, dopo di che viene fatto solidificare. Il funzionamento dell'impianto è regolato automaticamente dagli apparecchi che controllano la velocità e la composizione dei gas. Questo processo è applicato nelle miniere di Rönnskär presso Skellefteå (Svezia) su piriti cuprifere ricche di rame e particolarmente pregevoli per il loro forte contenuto di oro.
Distillazione della pirite. - La pirite FeS2, riscaldata fuori del contatto dell'aria a più di 600°, si scompone in pirrotite FeS e zolfo elemento, secondo l'equazione:
Con questo vecchio processo, applicato dal 1746 al 1870 dalla ditta J. Stark in Boemia (v. solforico, acido), la pirite veniva riscaldata dentro storte di argilla oppure in forni a storte per la fabbricazione del vitriolo di ferro; si ricuperava zolfo elemento in ragione di circa 1/3 di quello contenuto nella pirite; ma il consumo di combustibile era forte. È stato proposto di ridurre questo consumo utilizzando il calore proveniente dall'arrostimento della pirrotite ottenuta dopo distillazione di una parte dello zolfo.
Si può pure ottenere zolfo arrostendo i minerali di piombo e zinco in cumuli e riducendo l'immissione dell'aria che si fa entrare dalla suola. I vapori di zolfo si condensano sulla superficie esterna.
Ricupero dello zolfo nel processo Haglund. - Quando si fabbrica l'allumina col processo Haglund, e cioè fondendo la bauxite con coke e con pirite, si forma idrogeno solforato che viene parzialmente ossidato, in modo da ricuperare sotto forma di zolfo elemento parte dello zolfo contenuto nella pirite.
Ricupero dello zolfo dalla pirrotite. - Pavlov e Lesochin, partendo da un minerale col 30% di zolfo e calcinando la pirrotite in corrente di idrogeno, hanno ricavato il 96,6% dello zolfo sotto forma di idrogeno solforato; sostituendo all'idrogeno il vapor d'acqua, surriscaldato a 300°, hanno ricavato il 95% dello zolfo, per il 60% sotto forma di idrogeno solforato e per il 35% sotto forma di zolfo elemento; infine, facendo passare sul minerale sottoposto alla calcinazione una miscela di vapore a 300° e di aria, hanno ricavato il 96% dello zolfo, per il 60% sotto forma di elemento. Calcinando la pirrotite col 40% del suo peso di carbone, la resa in zolfo elemento è stata maggiore.
Ricupero dello zolfo dai carboni fossili. - I combustibili fossili contengono tutti dello zolfo: il carbon fossile di buona qualità nella misura del 0,5 ÷ 2%, la lignite del 0,5 ÷ 6%, la torba di meno del 0,5%. In molti casi queste percentuali sono largamente superate (alcune ligniti contengono il 10% di zolfo). Lo zolfo si trova sotto forma sia di composti organici, sia di solfuri (pirite, marcassite), sia di solfati (gesso).
Quando il carbone viene bruciato, una parte dello zolfo rimane nelle ceneri, ma la maggior parte passa nei prodotti della combustione sotto forma di anidride solforosa, che in essi è presente in ragione del 0,2 ÷ 0,3% in volume, pari a 2,9 ÷ 4,3 gr. di zolfo per mc. Quando invece il carbone viene distillato per la produzione di gas illuminante o di coke metallurgico, da un terzo alla metà dello zolfo passa nel gas, quasi tutto sotto forma di idrogeno solforato (insieme con questo si hanno piccole percentuali di solfuro di carbonio, solfocianuri, tiofene, mercaptani, ecc.). Il gas contiene il 0,5 ÷ 1,7% di idrogeno solforato in volume, pari a 7,2 ÷ 24,3 gr. di zolfo per mc. (v. coke, X, 706-10, e gas illuminante, XVI, 415-19).
L'anidride solforosa presente nei prodotti della combustione, quando supera una certa percentuale, è causa di corrosioni alle pareti dei focolari e di danni più o meno gravi ai fabbricati e alle persone. D'altra parte, l'idrogeno solforato e gli altri composti solforati del gas illuminante bruciando darebbero anidride solforosa in quantità sufficiente per rendere irrespirabile l'aria di un ambiente chiuso. Per il gas destinato al consumo domestico le leggi pongono, quindi, stretti limiti alla presenza di zolfo. I composti solforati non sono neppure tollerati quando il gas viene utilizzato nell'industria chimica per sintesi nelle quali essi agiscono da veleno sui catalizzatori. Per questa ragione si pratica un'accurata desolforazione del gas destinato alla fabbricazione dell'azoto. Recentemente la desolforazione è stata pure applicata ai fumi dei camini di impianti termici, che inquinavano l'atmosfera di alcuni centri abitati.
La separazione dell'idrogeno solforato e degli altri composti dello zolfo dal gas o dai fumi si compie con diversi processi, a secco e a umido, con alcuni dei quali si ottiene direttamente zolfo elemento più o meno impuro, mentre altri dànno idrogeno solforato ad alta concentrazione, dal quale poi si ottiene anidride solforosa oppure zolfo elemento.
I processi a secco comprendono: 1. la vecchia depurazione con masse depuranti a base di limonite, di residui della lavorazione della bauxite e di ceneri di pirite, ecc. (v. gas illuminante, XVI, p. 419): 2. l'assorbimento con carbone attivo, entrato da pochi anni nell'uso e che consenti un'eliminazione praticamente completa dello zolfo. Le masse depuranti, oltrai ad assorbire l'idrogeno solforato, lo scompongono: si ottiene così, in seno alla massa, zolfo molto impuro, che fino a qualche anno fa veniva utilizzato soltanto come materia prima per la fabbricazione dell'acido solforico o per altri usi speciali. Recentemente, però, si è riusciti a separarlo dalle impurità - estraendolo dalla massa con solfuro di carbonio e poi sottoponendolo a trattamenti speciali - e a metterlo in commercio in concorrenza con lo zolfo. Anche il carbone attivo dà zolfo elemento, che si ricupera per distillazione o per estrazione con solventi.
I processi a umido consistono nel lavare il gas con soluzioni nelle quali l'idrogeno solforato forma composti labili, che poi vengono scomposti in diversi modi. Così, p. es., nel processo Thylox s'impiega una soluzione di solfoarseniato sodico oppure ammonico; in altri processi si usano soluzioni di soda, di ferri-ferrocianuro ammonico, ecc.; insufflando aria in queste soluzioni si libera nuovamente l'idrogeno solforato. Nel processo Alcazid s'impiega una soluzione di sali alcalini di amminoacidi che, riscaldata a 100°, restituisce l'idrogeno solforato. Nel processo Ferrox, invece, s'impiega una soluzione diluita di soda che tiene in sospensione dell'idrossido di ferro: insufflando aria si ottiene zolfo elemento.
Estrazione dello zolfo dal gesso e da altri solfati. - Com'è noto, i solfati, e particolarmente il gesso e l'anidrite, in natura sono molto più abbondanti dello zolfo nativo e dei solfuri metallici. Il gesso CaSO4•2H2O contiene il 18,5% di zolfo; l'anidrite CaSO4 ne contiene il 23,5%, la baritina BaSO4 il 13,7%, la kieseritee MgSO4 H2O il 23,2%. Il gesso è stato utilizzato per la fabbricazione del solfato ammonico e dell'acido solforico, spostando in tal modo zolfo e piriti. Inoltre, si è provato, ma con scarso successo economico, a produrre zolfo elemento dal gesso e dalle piriti. Si produce pure zolfo dalla baritina, come sottoprodotto nella fabbricazione del carbonato di bario.
Zolfo dal gesso e dall'anidrite. - Durante la guerra mondiale, la Badische Anilin-und Sodafabrik produsse zolfo elemento a Neckarzimmern con un processo fondato sulla decomposizione, ad alta temperatura, del gesso in anidride solforosa. Il gesso veniva fuso in un forno a tino, con l'aggiunta di carbone e di fondenti che consentivano di ottenere una scoria molto fluida. Le cariche erano regolate in modo che l'anidride solforosa formatasi nella parte inferiore del forno veniva ridotta a zolfo nella parte superiore; lavando poi con acqua i gas uscenti dal forno si separava lo zolfo. La scoria veniva utilizzata come calce idraulica. Insieme con lo zolfo si ottenevano però anidride solforica, idrogeno solforato e solfuro di carbonio e il rendimento era basso.
Un altro processo, che diede migliori risultati, consisteva nel ridurre l'anidrite a solfuro di calcio che poi, trattato con una soluzione di cloruro di magnesio, dava idrogeno solforato, secondo le equazioni:
L'idrogeno solforato veniva poi bruciato come nel processo Chance-Claus e dava lo zolfo elemento. Il solfuro veniva preparato riscaldando l'anidrite in grandi forni rotativi. Non si riusciva però a evitare la formazione di ossido di calcio insieme col solfuro e questo si traduceva in una perdita di zolfo.
Zolfo dalla baritina. - In qualche caso si ottiene zolfo elemento come sottoprodotto della fabbricazione del carbonato di bario dalla baritina. La baritina, riscaldata a 1200-1400°, viene ridotta a solfuro di calcio, il quale poi, trattato con anidride carbonica, dà carbonato di bario e idrogeno solforato, secondo l'equazione
Reazioni che intervengono nell'estrazione dello zolfo dall'anidride solforosa e dall'idrogeno solforato. - Quando, come si è visto, si estrae lo zolfo dai solfuri, dai solfati o dai carboni fossili, in una prima fase del processo si ottiene generalmente anidride solforosa SO2 oppure idrogeno solforato H2S che, in una seconda fase, vengono scomposti e dànno lo zolfo elemento. Qui di seguito si accenna alle reazioni chimiche fondamentali.
Zolfo dall'anidride solforosa. - 1. Riduzione con carbonio e con ossido di carbonio. - L'anidride solforosa, alla temperatura di 1000-1200° viene ridotta a zolfo dal carbonio secondo l'equazione:
Il carbonio può essere fornito dal coke oppure da qualunque altro combustibile solido, liquido o gassoso.
L'anidride solforosa viene ridotta anche dall'ossido di carbonio CO - però con difficoltà in assenza di catalizzatori - secondo l'equazione:
Contemporaneamente alla (1), però, si svolgono altre reazioni, per le quali si formano ossido di carbonio, che reagisce con l'anidride solforosa secondo la (2), solfuro di carbonio CS2 e ossisolfuro di carbonio COS. Queste reazioni secondarie sono rappresentate dalle equazioni:
Secondo G. Roesner, le ricerche sperimentali mostrano che la reazione (1) si compie con velocità molto maggiore della (3); ma non è possibile impedire la formazione di ossido, di ossisolfuro e di solfuro di carbonio. Questi però, in una seconda operazione, sottoposti all'azione dell'anidride solforosa in presenza di un catalizzatore contenente ferro, possono essere trasformati in anidride carbonica e vapore di zolfo secondo la (2) e secondo le equazioni:
Le reazioni sopra elencate sono esotermiche, ma avvengono solo quando l'anidride solforosa è pura e preriscaldata, oppure quando è mescolata a una piccola quantità di aria prima di essere fatta passare sul coke. Regolando opportunamente la velocità del gas e l'andamento delle operazioni, si può ottenere da una parte la riduzione di quasi tutta l'anidride solforosa a zolfo e dall'altra parte la formazione di sola anidride carbonica e non di altri composti del carbonio.
In pratica, si deve fare in modo che la composizione dei gas che vengono sottoposti alla riduzione sia costante e tale che la concentrazione dell'anidride solforosa sia la più elevata e quella dell'ossigeno la più bassa possibile, in modo da ridurre al minimo la combinazione del carbonio con l'ossigeno. Se i gas sono poveri di anidride solforosa, questa viene separata e concentrata con i processi descritti più oltre; in tal modo in certi casi si è ridotto dell'80% il consumo di coke per unità di zolfo prodotta.
2. Riduzione con idrogeno. - Invece che con carbonio, l'anidride solforosa può essere ridotta con idrogeno, a temperatura inferiore ai 500°, secondo l'equazione:
Si forma però anche idrogeno solforato, che deve essere scomposto per ricuperare tutto lo zolfo sotto forma di elemento.
3. Scomposizione con idrogeno solforato. - L'anidride solforosa viene scomposta anche dall'idrogeno solforato, secondo l'equazione:
Questa reazione, però, è accompagnata da altre, per le quali si formano acido politionico e acido tiosolforico che, alla loro volta, dànno luogo alla formazione di acido solforico, che non è facile trasformare in zolfo elemento. Finora non è stato possibile utilizzare questa reazione per processi pratici di fabbricazione dello zolfo.
4. Preparazione simultanea di acido solforico e di zolfo. - Makovetzky ha studiato questo processo, che si compie passando per l'acido idrosolforoso H2S2O4, secondo le equazioni:
Zolfo dall'idrogeno solforato. - 1. Combustione. - L'idrogeno solforato, quando brucia con la quantità teorica di ossigeno, dà acqua e zolfo elemento, secondo l'equazione:
Invece, quando brucia con eccesso d'aria, dà acqua e anidride solforosa, secondo l'equazione:
La combustione secondo la (2) avviene facilmente; invece, quella secondo la (1) continua regolarmente solo quando il gas, mescolato alla quantità teorica di aria, viene fatto passare sopra un corpo poroso incandescente. A tale scopo si sono usati ossido di ferro e limonite, chamotte, bauxite. Quest'ultima è usata nel forno Claus modificato da F. Projahn, che ha forma cilindrica (diametro 10 m., altezza 5-6 m.) ed è formato da un mantello di lamiera rivestito internamente di mattoni refrattarî. Una griglia, anch'essa di materiale refrattario, porta uno strato di bauxite incandescente, dell'altezza di 2 m. L'idrogeno solforato, mescolato alla quantità teorica di aria, traversa questo strato incandescente e, una volta che la combustione è avviata, brucia senza fiamma. Si forma zolfo liquido che si raccoglie al fondo del forno e si scarica in un recipiente apposito.
La trasformazione non è completa, perché la reazione procede anche in senso opposto, e cioè si forma idrogeno solforato dallo zolfo e dall'acqua: si perde così circa l'8% dello zolfo. La resa può essere migliorata aggiungendo anidride solforosa al gas da bruciare.
2. Scomposizione con anidride solf0rosa. - È la reazione della quale si è parlato sopra (n. 3).
Raffinazione. - Si compie distillando lo zolfo in storte. Secondo la temperatura alla quale il vapore di zolfo si condensa, si ottengono prodotti molto diversi: a temperatura superiore ai 114° si ha zolfo liquido che, colato in forme, passa con relativa lentezza allo stato solido e costituisce l'ordinario zolfo raffinato del commercio; invece, se il vapore viene raffreddato bruscamente, esso si condensa in goccioline microscopiche che passano rapidamente allo stato solido: si ottiene una polvere che va sotto il nome di fiori di zolfo e anche sotto quello improprio di zolfo sublimato.
La tecnica della raffinazione è rimasta per molti decennî stazionaria. In seguito a recenti ricerche, sembra che debba subire profonde trasformazioni. Qui di seguito si accenna ai metodi finora in uso.
I forni di raffinazione sono costituiti da storte di ghisa, collegate a un condensatore che è semplicemente costituito da una marmitta di ghisa, a forma di cilindro ad asse verticale, che si raffredda per irradiazione nell'aria. Le storte con i loro condensatori sono disposte ordinariamente in batterie di 6 ÷ 10 elementi, con un focolare unico. Ciascuna storta è alimentata a intermittenza con zolfo liquido proveniente da vaschette situate superiormente a essa e riscaldate dai prodotti della combustione che vanno al camino. Dal condensatore lo zolfo, dopo essersi raffreddato un poco, viene fatto colare in un recipiente scoperto sottostante. Le impurità dello zolfo grezzo si raccolgono al fondo delle vaschette di liquazione e nelle storte; vengono estratte a intermittenza e nuovamente sottoposte alla fusione per ricuperarne lo zolfo che contengono.
Recentemente la ghisa è stata sostituita da altri materiali e si è adottato il riscaldamento a nafta.
I forni di sublimazione sono costituiti da storte simili a quelle di raffinazione e alimentate allo stesso modo da zolfo liquido. Invece del condensatore, però, vi è una grande camera di condensazione, normalmente in muratura, nella quale il vapore di zolfo arriva per mezzo di un tubo (talvolta di due) che sbocca a circa 3 m. dal pavimento ed è inclinato verso la storta, in modo che ritorni in questa lo zolfo che eventualmente si condensa dentro il tubo. La camera ha una porta, attraverso la quale vi si entra per vuotarla dei fiori di zolfo. Essa, inoltre, è dotata di due valvole di sicurezza, perché la miscela dei fiori di zolfo con l'aria, che si infiltra nella camera malgrado tutte le precauzioni, talvolta dà luogo a esplosioni. I fiori di zolfo si accumulano sul pavimento della camera: i più fini si trovano nella zona fredda più lontana dallo sbocco del tubo; la loro proporzione è tanto maggiore, quanto più lenta è la marcia del forno. I granuli possono essere leggermente cementati, ma si staccano facilmente. I fiori di zolfo vengono classificati secondo la finezza e la purezza: quelli di qualità più scadente vengono usati come ordinario zolfo raffinato. A questo vecchio tipo di camere di condensazione sono stati apportati diversi perfezionamenti: fra l'altro si sono applicati con vantaggio dei refrigeranti.
Molitura. - Sia lo zolfo raffinato sia quello grezzo vengono moliti e poi stacciati, ottenendo una polvere simile all'apparenza ai fiori di zolfo, ma diversa per struttura, che viene usata specialmente nella viticoltura. Separando durante la macinazione le particelle più fini per mezzo di una corrente d'aria si ottiene lo zolfo ventilato che aderisce meglio alle foglie.
Alcuni produttori (principalmente quelli dell'Irpinia) sotto pongono alla molitura il minerale di zolfo; questo minerale molito o macinato viene anch'esso usato nella viticoltura in sostituzione degli zolfi raffinati e grezzi moliti.
La macinazione si compiva un tempo in molazze, nella vasca delle quali si faceva arrivare un getto d'aria quando si voleva ottenere zolfo ventilato.
Attualmente si usano polverizzatori centrifughi, a martelli, che sono completati da speciali dispositivi per ottenere zolfi ventilati di elevata finezza. Per evitare la formazione di miscele esplosive, i polverizzatori sono chiusi e in essi si fa circolare aria da cui sia stato eliminato l'ossigeno facendole attraversare uno strato di carbone incandescente, oppure semplicemente prodotti della combustione provenienti da un focolare.
Qualità commerciali. - Lo zolfo greggio italiano dal 1934 è messo sul mercato nelle seguenti qualità: 1. gialla superiore; 2. gialla inferiore; 3. buona; 4. corrente. Il tenore medio delle prime due qualità va dal 99,50 al 99%, quello delle ultime due va dal 98 al 97%.
Lo zolfo americano (fa eccezione qualche miniera secondaria) è di qualità unica e viene garantito un tenore del 99,5% ma spesso ha tenore superiore (fino al 99,9%).
Lo zolfo grezzo è messo in commercio anche lavorato e cioè molito e ventilato.
Oltre allo zolfo grezzo, sono in commercio gli zolfi raffinati che spesso sono moliti e ventilati ma vengono sul mercato anche sotto forma di fiori di zolfo e di raffinato in pani e in cannoli. È pure in commercio il minerale macinato, che contiene circa il 30% di zolfo.
Vanno poi ricordati lo zolfo colloidale, lo zolfo precipitato, ecc.
Usi. - Lo zolfo elemento, le piriti e tutte le altre materie prime per la produzione dell'anidride solforosa trovano il principale loro sbocco nella fabbricazione dell'acido solforico, la quale assorbe annualmente circa 4 milioni di tonnellate di zolfo in tutte le sue forme. Attraverso l'acido solforico, lo zolfo è largamente consumato nell'industria dei perfosfati, e in moltissime altre industrie chimiche; particolare importanza come mercato ha la raffinazione del petrolio, sebbene da qualche anno la diffusione di nuovi processi tenda a ridurre l'uso dell'acido.
Altra forte consumatrice di anidride solforosa - e perciò di zolfo elemento e di piriti - è l'industria della cellulosa al solfito che consuma circa 12 kg. di zolfo per quintale di cellulosa.
La fabbricazione del solfuro di carbonio costituisce un altro sbocco importante per lo zolfo elemento. Attraverso la cellulosa e il solfuro di carbonio lo zolfo è largamente consumato nell'industria del rayon e specialmente del rayon alla viscosa, che ne assorbe quantità considerevoli e continuamente crescenti. Per contro è relativamente modesto il consumo che ne fa l'industria della gomma, che usa lo zolfo per la vulcanizzazione in ragione del 3% circa.
Lo zolfo elemento è largamente usato come anticrittogamico, specialmente nella viticoltura. Si calcola che il 10 ÷ 15% della produzione mondiale sia consumato a questo scopo, sotto forma di fiori di zolfo, di zolfo molito (raffinato o grezzo) e anche di minerale molito e di zolfo impuro ricuperato dal gas.
V. tavv. CLIII-CLVI e tav. a colori.
Produzione e commercio.
La produzione e il consumo mondiale dello zolfo elemento nel decennio 1926-1935 sono stati di circa 2.400.000 t. all'anno, fra zolfo nativo, zolfo estratto dalle piriti cuprifere e zolfo ricuperato dagli altri solfuri metallici, dai prodotti della distillazione del carbon fossile e delle ligniti, dal petrolio, dai solfati, ecc.
Il fabbisogno di zolfo, però, è nella misura del 50% soddisfatto dalle piriti e, in misura molto minore, dai gas ottenuti nell'arrostimento dei minerali solforati di rame, zinco e piombo. Lo zolfo elemento verso il 1900 era stato quasi completamente sostituito dalle piriti per la fabbricazione dell'acido solforico e stava per esserlo anche negli altri campi in cui la sostituzione era possibile, ma ha ripreso terreno - specialmente in America - da quando il processo Frasch ha permesso di produrlo a basso costo. E anzi, da qualche anno i produttori di piriti cominciano a trovare più conveniente di metterle in commercio sotto forma di zolfo elemento, che è d'impiego più comodo e consente una forte economia sulle spese di trasporto in tutti i casi in cui il consumatore non utilizza il ferro, che entra per circa la metà nel peso delle piriti.
In cifra tonda, la produzione e il consumo dello zolfo si possono calcolare in 6 milioni di tonnellate in media all'anno; lo zolfo elemento contribuisce a questa cifra col 40%.
Una grandissima quantità di zolfo va perduta nei prodotti della combustione del carbon fossile, della lignite e della torba e nei gas di arrostimento di quei solfuri che vengono utilizzati soltanto per l'estrazione dei metalli. Inoltre restano per la massima parte inutilizzate le piriti scadenti che si estraggono dai giacimenti di carbon fossile e ne vengono separate prima della spedizione; si calcola che negli Stati Uniti soltanto se ne producano per 1,5 milioni di tonn. Allo stato attuale della tecnica questi minerali possono essere considerati sorgenti potenziali di zolfo.
Le disponibilità complessive sono elencate nella tabella I.
Come si vede, lo zolfo di queste sorgenti potenziali è più del doppio di quello attualmente utilizzato. Va tenuto presente, però, che finora il costo di produzione dello zolfo ricuperato è superiore a quello dello zolfo nativo e a quello delle piriti; per conseguenza, se non interverranno ulteriori progressi tecnici, è verosimile che esso potrà svilupparsi solo in quei paesi che non posseggono zolfo nativo né piriti e hanno interesse ad assicurarsi una produzione nazionale di zolfo. Attualmente il ricupero si pratica sui gas che debbono per necessità essere depurati (gas destinati all'idrogenazione oppure al consumo domestico, in qualche raro caso anche fumi dei camini di grandi centrali elettriche). Ancor più remote dal punto di vista economico sembrano le prospettive della produzione dello zolfo elemento dal gesso e dagli altri solfati naturali che, diffusi come sono sulla crosta terrestre, potrebbero fornirne quantità enormi.
Mancano dati completi circa le riserve mondiali di zolfo nativo. Secondo vecchie valutazioni e tenuto conto dell'estrazione avutasi in seguito, nel 1936 sarebbero rimaste delle riserve da 50 a 140 milioni di tonn., per la massima parte in Italia e negli Stati Uniti. Le notizie delle quali attualmente si dispone fanno ritenere, però, che le cifre sopra riportate siano molto inferiori alle vere.
Le riserve mondiali di piriti sono state valutate in 907 milioni di tonn. - delle quali più della metà nella sola Spagna - dal XIV Congresso geologico internazionale di Madrid, nel 1926. Nella valutazione, però, non sono stati compresi molti paesi: fra gli altri l'America, a eccezione del Canada e dell'Argentina, e l'Africa, a eccezione del Madagascar. Si può, quindi, far calcolo su una riserva di almeno 450 milioni di tonnellate di zolfo contenuto nelle piriti (comprese le piriti cuprifere), senza contare quello contenuto nei minerali solforati di piombo, zinco, ecc.
Produzione. - Le tabelle II, III, IV, che si riferiscono soltanto ai paesi più importanti, forniscono la produzione di zolfo nativo, di zolfo elemento estratto dalle piriti, dai solfati e dal carbon fossile e di zolfo utilizzato sotto forma di anidride solforosa da masse di depurazione del gas e da gas metallurgici.
I paesi che hanno la maggiore produzione di zolfo nativo sono gli Stati Uniti, l'Italia e il Giappone, che nel decennio 1927-36 hanno complessivamente contribuito col 98% alla produzione mondiale; a essi negli ultimi anni si è aggiunta la Norvegia, con lo zolfo ricuperato dalle piriti.
Dalla tabella III si rileva la recente tendenza allo sviluppo della produzione di zolfo elemento dalle piriti e dai combustibili fossili. Lo zolfo così ottenuto, però, sostituisce non solo lo zolfo nativo, ma anche le piriti. La tabella V dà il contenuto in zolfo delle piriti estratte nei maggiori paesi produttori.
Qui di seguito si dà qualche notizia sulla produzione nei singoli paesi.
Italia. - Si può calcolare che a tutto il 1935 si siano prodotti complessivamente 29 milioni di tonnellate di zolfo nativo, 27 dei quali nella sola Sicilia (v. tab. VII).
Attualmente quest'isola contribuisce (in cifra tonda) col 70% alla produzione nazionale. Nell'Italia continentale la massima parte della produzione viene dai bacini delle Marche e della Romagna; alcune migliaia di tonnellate sono date dai bacini dell'Irpinia e della Calabria. La tabella VI dà la produzione dello zolfo greggio distinta per provincia.
Nell'Irpinia, oltre allo zolfo grezzo, si sono prodotte 20-30.000 tonn. all'anno di minerale di zolfo macinato, che contiene circa il 30% di zolfo. Nella provincia di Roma, qualche miniera produce in modestissima quantità tufo vulcanico solfifero che, macinato insieme a una quantità eguale di fosfato tricalcico, viene impiegato come fertilizzante.
Le miniere attualmente aperte in Italia sono circa 160 delle quali 145 in Sicilia. È da notare però che nell'Italia continentale la massima parte della produzione è data da due sole miniere e che il 65% della produzione siciliana è data da una quindicina di miniere.
Dal 1934, in seguito all'istituzione dell'Ufficio per la vendita dello zolfo italiano, la produzione delle singole miniere è contingentata per legge.
Per alcuni anni a Porto Marghera (Venezia) si è ottenuto qualche centinaio di tonnellate all'anno di zolfo dalle piriti come sottoprodotto della fabbricazione dell'allumina col processo Haglund. Secondo G. Fauser, dall'idrogeno solforato che si otterrà nell'idrogenazione degli olî minerali nei due impianti di Bari e Livorno si ricupereranno 6000 tonn. all'anno di zolfo.
Stati Uniti. - La produzione americana di zolfo nativo alla fine del 1935 sommava a circa 36 milioni di tonn. È venuta quasi tutta dalle cupole del Texas e della Luisiana. Nella California, nello Utah e nel Nuovo Messico esistono piccole miniere, che non vengono coltivate col processo Frasch. Nella tabella seguente sono riportate le cifre della produzione (in migliaia di tonnellate metriche) dei singoli stati negli ultimi anni.
I giacimenti attualmente sfruttati nella costa del Golfo del Messico sono 5 e cioè: nel Texas: 1. Boling (New Gulf) nella contea di Wharton, a meno di 100 km. dal porto di Galveston: la più grande miniera di zolfo del mondo, che può dare annualmente più di un milione di tonnellate e da quando la coltivazione è stata iniziata (nel 1929) fino a tutto il 1935 ne ha dati circa 4,5 milioni; le riserve originariamente sono state calcolate in 40 milioni di tonn.; 2. Hoskins Mound, nella contea di Brazoria, a 40 km. da Galveston e 30 dal porto di Freeport: la produzione, iniziata nel 1923, sommava a 4 milioni di tonn. alla fine del 1935; 3. Long Point, nella contea di Fort Bend: la produzione, iniziata nel 1930, alla fine del 1935 era di qualche centinaio di migliaia di tonn. 4. Clemens Dome (Brazoria) a 23 km. da Freeport: la produzione si è iniziata nel 1937. Nella Luisiana: 5. Grande Ecaille nella contea di Plaquemines nel delta del Mississippi, a circa 70 km. a valle di New Orleans: la produzione, iniziata nel 1933, sommava a 500 mila tonn. alla fine del 1935; 6. Jefferson Island (Lake Peigneur), nella parrocchia di Iberia: la produzione, iniziata nel 1932, alla fine del 1935 sommava a 400 mila tonn. Circa il 90% della produzione dei due stati è data da due sole società.
Sono esauriti i giacimenti di: 7. Sulphur nella Luisiana - sfruttato dal Frasch con la Union Sulphur Co. - che fra il 1891 e il 1924 diede circa 10 milioni di tonnellate di zolfo; 8. Bryan Height (Bryan Mound), nel Texas, che fra il 1912 e il 1935 diede 5 milioni di tonn. di zolfo (le sue riserve erano state originariamente valutate in 17 milioni di tonn.); 9. Big Hill (Gulf) nel Texas, che dal 1919 al 1929 ha dato 8 milioni di tonn. (il giacimento si è chiuso nel 1936); 10. Palangana nel Texas, che dal 1928 al 1935 diede 235.000 tonn.
Da questi dati è facile rilevare che gli Americani sfruttano i loro giacimenti molto rapidamente. Questo criterio contribuisce all'abbassamento del costo di produzione, perché la quota di spese generali per tonnellata risulta minore.
Gli Stati Uniti, oltre a produrre zolfo nativo nelle quantità iopra riportate, utilizzano per la fabbricazione dell'acido solforico grandi quantità di anidride solforosa (corrispondente a 150 ÷ 200 mila tonn. di zolfo all'anno) ottenute nell'arrostimento dei minerali solforati di rame e di zinco.
Producono inoltre qualche migliaio di tonnellate di zolfo ricuperato dal gas di cokeria.
Giappone. - Le miniere giapponesi sono una cinquantina, distribuite principalmente nella parte settentrionale dell'isola di Hondo (Honshū) e nell'isola di Hokkaidō (Yezo), la quale fornisce la massima parte della produzione. In tutto il paese, però, i giacimenti di zolfo sono frequenti, dalle isole Curili a quella di Taiwan (Formosa). Quasi tutti sono del tipo solfatara. Fino a qualche anno fa le miniere principali erano due: Matsuo nella provincia di Iwate, a 30 km. dalla città di Morioka (Hondo), e Hirobetsu nella provincia di Iburi (Hokkaidō), con una produzione che ha oscillato per molti anni fra le 12 e le 23.000 tonn. per ciascuna. Va notato che la prima ha fornito contemporaneamente da 12 a 47.000 tonn. annue di pirite che si trova associata allo zolfo; per questo e per il fatto che la ganga è costituita da rocce vulcaniche (andesite, ecc.) il minerale differisce profondamente da quello italiano e da quello della costa del Golfo del Messico.
Ultimamente ha dato una grande produzione la miniera di Shiridoku sul monte Shari (Hokkaidō).
Chile. - Questo paese possiede una diecina di miniere di zolfo, ma circa i tre quarti della produzione vengono da due giacimenti situati nella parte settentrionale del paese: quello del monte Tacora nella provincia di Arica, a 173 km. da questa città sulla ferrovia Arica-La Paz, e quello del monte Aucanquillo nella provincia di Antofagasta, a 20 km. dalla stazione di Ollague della ferrovia che da Antofagasta va in Bolivia. Sono tutti e due giacimenti superficiali del tipo solfatara, coperti da pochi metri di materiale vulcanico e con un tenore in zolfo del 60 ÷ 80%.
Recentemente il governo chileno è venuto in aiuto dell'industria per mezzo della "Caja de credito minero" la quale, fra l'altro, ha fornito i fondi per un impianto di estrazione dello zolfo dal minerale. Parte dello zolfo greggio viene raffinato.
La produzione trova in parte collocamento in paese, nell'industria del nitrato e nell'agricoltura; il resto è esportato prevalentemente nell'America Meridionale, ma anche in Europa.
Oltre ai due giacimenti già sfruttati, il Chile ne possiede molti altri dello stesso tipo, sui fianchi dei vulcani delle Ande; ma il loro sfruttamento come del resto anche quello dei due sopra citati, è gravemente ostacolato dalle condizioni climatiche dipendenti dall'altitudine e dalle difficoltà dei trasporti.
Perù. - Fra la città di Arequipa e la frontiera chilena, il Perù possiede dei giacimenti che conterrebbero parecchi milioni di tonnellate di zolfo. Sono simili a quelli chileni, a un'altitudine di 4000 ÷ 5500 m.
U. R. S. S. - Da qualche anno l'U. R. S. S. provvede con la produzione nazionale al proprio consumo interno. A Samara è stato fatto un impianto per l'estrazione dello zolfo dai minerali del Volga, i cui giacimenti conterrebbero da 90 a 500 mila tonn. di zolfo. Nel 1934 le riserve di zolfo dell'U.R.S.S. erano valutate a 13,9 milioni di tonn. Presso Kerčin Crimea e nel Karakum (Turkestan) vi sono giacimenti il cui contenuto in zolfo è valutato rispettivamente in mezzo milione e in parecchi milioni di tonnellate.
Spagna. - La produzione delle miniere della frazione di Albacete, Almería, Murcia e Teruel negli ultimi anni è andata declinando malgrado la forte protezione doganale. Dal 1932 si produce su scala industriale zolfo elemento dalle piriti di Río Tinto. Nel 1934 questa produzione ha raggiunto le 17.700 tonn.
Portogallo. - Dal 1935 si produce zolfo elemento dalle piriti della miniera di São Domingos. La produzione nel primo anno è stata di 8500 tonn.
Norvegia. - Dal 1931 si produce zolfo dalle piriti cuprifere nell'impianto di Thamshavn della Società Orkla, che nel 1935 ha dato circa 65.000 tonn. di zolfo elemento. Successivamente la sua potenzialità è stata portata a 140.000 tonn.
Germania. - Negli ultimi anni si è rapidamente sviluppato il ricupero dello zolfo elemento dal gas ottenuto con la distillazione del carbon fossile e dalle ligniti (tab. II).
Consumo. - Per quanto riguarda il consumo di zolfo elemento nei singoli paesi, va notato che esso dipende, oltreché dallo sviluppo dell'industria, principalmente dalla preferenza che i fabbricanti di acido solforico dànno allo zolfo oppure alle piriti. Gli Stati Uniti che sono al primo posto fra i paesi consumatori di zolfo, con 1-1,5 milioni di tonn. all'anno, fabbricano con zolfo più del 65% del loro acido solforico (mentre la Germania usa piriti per più dell'80% e l'Italia per una percentuale ancora maggiore). La produzione della cellulosa al solfito è pure un fattore importante, ma di gran lunga meno importante dell'acido solforico: il Canada consuma 100-200 mila tonn. di zolfo e ne fanno largo consumo anche i paesi scandinavi e baltici. In ordine d'importanza, lo sviluppo della viticoltura è il terzo dei fattori che determinano il consumo: per questa ragione sono forti consumatori di zolfo l'Italia, la Francia e gli altri paesi mediterranei. Fattore d'importanza crescente è lo sviluppo della produzione del rayon alla viscosa. La Gran Bretagna e la Germania hanno un consumo di 50-100 mila tonn. all'anno, supera le 100 mila il Giappone. Negli ultimi anni il consumo dell'Italia è variato fra 80 e 140 mila tonn.
Commercio. - Nel 1896 il commercio dello zolfo è regolato dai maggiori produttori, i quali, a questo fine, si sono sobbarcati a tenere a magazzino parte degli zolfi prodotti e a limitare la produzione.
Dal 1896 l'Anglo-Sicilian Sulphur Co., per mezzo di contratti con i produttori, si assicurò la disponibilità dei due terzi della produzione siciliana e, insieme, quella degli zolfi rigenerati in Inghilterra col processo Chance-Claus. Iniziatasi frattanto negli Stati Uniti la produzione col processo Frasch, dopo una breve lotta, essa venne ad accordi con la americana Union Sulphur Co. Favorita dalla congiuntura, l'Anglo-Sicilian operò con fortuna e, pur accumulando e ammortizzando un forte stock, realizzò profitti netti che le consentirono di distribuire dividendi del 50%. Alla scadenza dei contratti, rinunciò a rinnovarli, non essendo riuscita a ottenere l'adesione dei produttori siciliani indipendenti e preoccupata dello sviluppo della produzione americana.
Il governo italiano costituì allora, per legge, il Consorzio obbligatorio per l'industria solfifera siciliana, che riunì tutta la produzione dell'isola. Il Consorzio concluse nuovi accordi con la Union Sulphur Co., riservandosi i due terzi delle vendite sui mercati mondiali. Questi accordi furono denunciati dagli Americani nel 1913; ma il rialzo dei noli per effetto della guerra mondiale, costituì una barriera per gli zolfi americani che avrebbero potuto venire in Europa, e una barriera ancor più alta per le piriti europee che da tempo approvvigionavano il mercato degli Stati Uniti, aprendo in questo modo a quegli zolfi nuovi e larghissimi sbocchi sul mercato interno.
Ma nuove società fecero crescere enormemente la produzione americana, la quale nel 1920-21 invase nuovamente i mercati europei. Dopo un periodo di aspra concorrenza, nel 1923 fu concluso un nuovo accordo tra la Sulphur Export Corporation, che rappresentava le tre produttrici americane, e il Consorzio siciliano, il quale si impegnò anche per le altre miniere italiane del continente, sebbene queste rimanessero libere da ogni vincolo.
L'aumento della produzione delle miniere continentali e l'inizio e il rapido sviluppo da parte di esse di un'esportazione che incideva sulla quota siciliana, mentre le vendite complessive si restringevano, mise in serie difficoltà il Consorzio. I produttori siciliani allora chiesero un regime unico per tutto il regno e cioè, o la libertà anche per la Sicilia o l'estensione del consorziamento obbligatorio al continente. Il governo accolse la prima richiesta e nel luglio del 1932 sciolse il Consorzio; per conseguenza decaddero gli accordi con i produttori americani. La libertà determinò un aumento della produzione italiana ma, l'anno dopo, la svalutazione del dollaro mutò la situazione.
Con r. decr. legge dell'11 dicembre 1933 il governo istituì l'Ufficio per la vendita dello zolfo italiano, al quale debbono essere affidati per la vendita tutti gli zolfi prodotti nel regno. Nel 1934 l'Ufficio rinnovò gli accordi con i produttori americani.
Bibl.: S. Mottura, Sulla formazione terziaria della zona solfifera della Sicilia, in Memorie del R. Comitato geologico d'Italia, 1871, con Appendice del 1873; nuova edizione, Caltanissetta 1910; L. Baldacci, Descrizione geologica dell'isola di Sicilia, 1886; L. Delabretoigne, Brevi cenni sulla storia e sulle condizioni del commercio solfifero in Sicilia, in L'Industria solfifera siciliana, Torino 1925; Geology of Salt Dome Oil Fields, a cura della Am. Ass. of Petroleum Geologists, Tulsa (Oklahoma) 1926; Gulf Coast Oil Fields, ibid., ivi 1936; W. Lindgren, Mineral Deposits, 4ª ed., New York 1933; E. Thieler, Schwefel, Dresda e Lipsia 1936.
Medicina.
Costituente normale dell'organismo si trova in varie proteine, nella taurina, acido taurocolico, cistina, ecc. Lo zolfo, proveniente dalla metamorfosi subita dalle proteine solforate, si elimina o sotto forma inorganica o coniugato quale acido indossile scatossilzolforico. La quantità di questi acidi nelle urine è indice dell'intensità delle putrefazioni intestinali. Per sé stesso poco attivo, lo zolfo intradotto per bocca in contatto con le proteine e gli alcali dell'ambiente intestinale, si trasforma in idrogeno solforato e solfuri alcalini esercitanti le loro attività peristaltogene. Da ciò la blanda azione purgativa dello zolfo. Questa trasformazione è molto più intensa per lo zolfo colloidale (L. Sabbatani). Riassorbito dà origine ad accelerazione del polso, azione piretogena, ipoglicemia di origine simpatico-splenica e ad altri fenomeni recentemente studiati in Italia da G. Coronedi e suoi allievi. La solfoterapia pare legata a un'azione catalizzatrice dello zolfo. Esercita azioni antisettiche non solo internamente. ma anche applicato sulla cute, tanto che, sottilmente suddiviso e incorporato con grasso, è utile contro la scabbia, l'alopecia, ecc. Azione antisettica esercita pure contro l'oidium Tuckeri parassita della vite. L'acido solforico, un po' concentrato, è energico caustico. Adoperato in passato per distruggere papillomi, per causticare la pustola maligna, nella cura della sciatica e di altre nevralgie, è oggi caduto in disuso e ha solo importanza tossicologica.
Avvelenamento da idrogeno solforato. - L'idrogeno solforato è il responsabile degli avvelenamenti spesso letali degli operai nelle cloache. Un'aria contenente il 0,5 per mille d'idrogeno solforato è già capace di determinare gravi sintomi tossici. Questi sono da riferire essenzialmente all'azione venefica sui centri nervosi, e sul sangue, nel quale trasforma l'ossiemoglobina in solfometaemoglobina. I disturbi consistono in vertigini, cefalea, pallore cutaneo, sudore freddo, midriasi; spesso la lipotimia è improvvisa, non preceduta da segni premonitorî. Altre volte compaiono segni d'irritazione nelle mucose congiuntivale e bronchiale, dispnea, catarro, edema polmonare, ovvero anche nausea e diarrea. Frequentemente si notano, quale espressione della grave asfissia interna, midriasi, convulsioni, cardiopalmo con tachicarchia, e infine paralisi completa. Come negli avvelenamenti gassosi in genere, esporre il malato all'aria libera, praticando la respirazione artificiale per lungo tempo, fino a ripresa completa della funzione, con l'aiuto d'inalazioni di ossigeno. L'impiego di eccitanti del sistema nervoso, come delle ipodermoclisi, con siero fisiologico alcalinizzato, e della trasfusione è razionale ed efficace.