ZINDĪQ
. Con questo vocabolo i musulmani fino dal sec. II dell'ègira (sec. VIII-IX d. C.) indicarono l'"eretico", dapprima applicandolo in un senso più specifico ai seguaci delle dottrine manichee, con cui l'Islām condusse una vivace lotta polemica e persecutoria nel sec. II e III dell'ègira, ma estendendo anche il termine a chiunque seguisse un atteggiamento teorico o pratico di materialismo, ateismo e simili. "Zindīq" furono così qualificati sia veri e proprî manichei, come, a quanto sembra, fu Ibn al-Muqaffa‛, sia pensatori e poeti di dubbia ortodossia come Bashshār ibn Burd e Ṣāliḥ ibn al-Quddūs. E questo valore generico di "eretico", "eterodosso", "libero pensatore", prevalse allorché il manicheismo, attorno al sec. X d. C., cessò dal rappresentare un vivo pericolo per l'Islām. L'etimologia del termine è stata molto discussa, derivandolo alcuni dal siriaco zaddīq (puro, sincero) con riferimento a un titolo della gerarchia manichea, altri forse più probabilmente dal medio persiano zandīk, usato in ambiente iranico (e già colà applicato al manicheismo) nel senso di "esegeta" (da zand "esegesi"), interprete innovatore e quindi eterodosso del testo sacro.
Bibl.: H. H. schaeder, Iranische Beiträge, I, Halle 1930, pp. 274-91.