ZIMBABWE
(v. Rhodesia: Rhodesia Meridionale, XXIX, p. 195; App. II, II, p. 704; III, II, p. 606; Rhodesia-Zimbabwe, App. IV, III, p. 212)
L'attuale situazione dello Z. (il nuovo nome assunto il 18 aprile 1980 dalla Rhodesia Meridionale) è caratterizzata da una fase di trapasso dal tribalismo a una forma di organizzazione socio-economica più moderna. Il paese è popolato dai due grandi gruppi etnici dei Ndebele (o Matabele) e degli Shona (o Mashona), che tendono in maniera sempre più consistente ad abbandonare le aree agricole, peraltro molto povere, per urbanizzarsi; la popolazione, che ha raggiunto i 10.401.767 ab. (cens. 1992), vive per più di un quarto in aree urbane, e la capitale Harare ha superato gli 800.000 abitanti (Bulawayo i 400.000), con gravi problemi sociali ed urbanistici.
La popolazione delle aree rurali vive ancora secondo i modelli tradizionali praticando l'agricoltura e l'allevamento nei ''terreni comuni'', le aree agricole riservate esclusivamente agli africani. La pressione demografica su questi comprensori è fortissima e crea gravi problemi di erosione del suolo e di degradazione progressiva. Dal 1980 il governo ha iniziato un programma di risistemazione agricola acquistando dai proprietari europei più di un milione di ettari per distribuirlo a 18.000 famiglie africane, ma la fame di terre arabili è ancora fortissima e tale da compromettere seriamente qualsiasi politica di modernizzazione dell'agricoltura.
I prodotti del settore primario derivano per un quarto dall'allevamento e per tre quarti dall'agricoltura, che soffre per le frequenti siccità. Le colture commerciali importanti sono il tabacco (26% delle esportazioni), il cotone, la canna da zucchero, il caffè e il tè; anche il mais viene esportato nelle annate più favorevoli. Ma la vera ricchezza del paese sono le risorse minerarie, con più di 40 minerali diversi (oro, asbesto, nichel, carbone, rame, cromo e ferro sono i più importanti). Le miniere alimentano anche l'industria metallurgica, che è molto sviluppata e largamente controllata dagli interessi dei paesi industriali. L'insieme del settore manifatturiero contribuisce per il 26% alla formazione del PIL: accanto all'industria metallurgica hanno grande rilievo le industrie alimentari, chimiche e tessili, tutte concentrate nelle aree urbane più importanti. Il paese è collegato attraverso la rete ferroviaria ai porti del Sudafrica e ai porti di Beira e Maputo in Mozambico; da Beira parte l'oleodotto che rifornisce di grezzo l'unica raffineria del paese, a Mutare (ex Umtali). Il commercio con l'estero ha visto nell'ultimo decennio un progressivo declino della predominanza del Sudafrica a favore di altri paesi africani.
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Storia. - La procedura per l'indipendenza di Z. (ex Rhodesia Meridionale), effettiva dal 18 aprile 1980, seguì formalmente il modello caro al Colonial Office: conferenza costituzionale, elezioni e trasmissione dei poteri al governo africano. Nel frattempo il governo britannico aveva riassunto i poteri sulla colonia, che dal 1965, data dell'UDI (Unilateral Declaration of Independence) da parte della minoranza di origine europea, si comportava di fatto come uno stato indipendente. La Conferenza costituzionale si tenne alla Lancaster House di Londra dal settembre al dicembre 1979: si raggiunse un accordo che inseriva nel processo politico il Patriotic Front (PF), nato dall'alleanza fra i due partiti impegnati nella lotta armata contro il governo bianco, la Zimbabwe African National Union (ZANU) e la Zimbabwe African People's Union (ZAPU), stabiliva di indire libere elezioni riservando 20 dei 100 seggi alla minoranza bianca e investiva la Gran Bretagna della responsabilità di sovraintendere alla transizione. Malgrado le polemiche e le continue minacce di scontro, le elezioni furono regolari e il trapasso dei poteri fu tranquillo. Il PF si era presentato alle elezioni diviso nelle sue due componenti, che complessivamente conquistarono l'87% dei voti, trovando nelle urne una chiara legittimazione: la ZANU ottenne 57 seggi e la ZAPU 20, lasciando solo 3 seggi al partito che aveva accettato di collaborare con i bianchi; i 20 seggi bianchi furono occupati dagli oltranzisti del Rhodesian Front. A presiedere il governo fu chiamato R. Mugabe, il capo della ZANU, di tendenze marxiste, relegando in una posizione di secondo piano, benché all'interno di un governo di coalizione, la ZAPU e il suo presidente, J. Nkomo.
L'attesa per una profonda trasformazione sociale andò in parte delusa. Cruciale era la questione della riforma agraria al fine di ridurre il divario fra la piccola minoranza bianca che possedeva vaste estensioni di terra e i moltissimi africani senza terra. Il problema della terra è stato sempre al centro della vita politica e sociale della Rhodesia prima e dello Z. dopo. Pur confermando il socialismo come obiettivo strategico, Mugabe adottò una politica pragmatica per evitare l'esodo massiccio dei bianchi e una caduta della produzione. L'''africanizzazione'' della pubblica amministrazione e una parziale distribuzione delle terre furono le riforme più incisive. Lo Z. stabilì un modus vivendi con il Sudafrica, che non per questo rinunciò ad azioni di disturbo attaccando anche la capitale Harare con due incursioni, nel maggio 1987, contro sedi dell'African National Congress.
La mancanza di riforme strutturali determinò una disaffezione nei confronti della politica governativa che fu più forte fra i Ndebeli del Matabeleland, feudo della ZAPU, dove a cominciare dal 1982 si sviluppò un'insurrezione strisciante. La repressione fu costellata da brutalità e suscitò polemiche in ambienti ZAPU ma anche da parte della Chiesa. Nelle elezioni del 1985 la ZANU si confermò il partito di maggioranza con il 76% dei voti e 64 seggi (ma nessuno nel Matabeleland, dove trionfò ancora una volta la ZAPU, mentre la ZANU si impose fra gli Shona).
Nel 1987 la Costituzione fu riformata con la prescritta maggioranza: i seggi riservati ai bianchi furono aboliti e fu introdotta la carica di presidente esecutivo, investendo il presidente della Repubblica anche della carica di capo del governo. Nel dicembre 1987 ZANU e ZAPU firmarono dopo difficili e lunghe trattative un accordo unitario, sulla base dello statuto già adottato dalla ZANU-PF nel congresso del 1984, in virtù del quale il governo veniva sottoposto al controllo del partito. Erano riconfermati inoltre sia il riferimento ideologico al marxismo-leninismo, sia il proposito di costruzione di uno stato a partito unico. La soluzione del partito unico era intesa di fatto a rafforzare il potere di Mugabe, accentuando forse la sua tendenza all'autoritarismo, ma fu presentata anche come un rimedio positivo alla divisione etnica fra Shona e Ndebele.
Mugabe, candidato unico, fu eletto primo presidente esecutivo il 30 dicembre 1987. Il 2 gennaio 1988 entrarono a far parte della compagine governativa due membri della PF-ZAPU insieme al capo del partito, J. Nkomo. La stabilità politica favoriva la normalizzazione del paese, rafforzata da una larga amnistia, nell'aprile 1988. Il 21 gennaio dello stesso anno il Parlamento aveva però votato il rinnovo dello stato d'emergenza, che venne riconfermato a scadenza semestrale fino al 25 luglio 1990. Nel corso del 1988 crebbe l'opposizione al progetto di ufficializzare lo stato a partito unico, di fatto già esistente. Portavoce della posizione critica si fece E. Tekere, membro fondatore della ZANU-PF, che fu espulso dal partito nell'ottobre 1988 e fondò, nell'aprile successivo, un partito di opposizione, lo Zimbabwe Unity Movement (ZUM). La repressione delle dimostrazioni e dei disordini suscitati dall'espulsione di Tekere − ripetutamente è stata teatro di incidenti l'università di Harare − fu condotta con metodi molto duri suscitando nuove proteste, sostenute dalle denunce di organismi per la difesa dei diritti umani e dalla Chiesa. Nel marzo 1990 si tennero le elezioni legislative a partire dalle quali diveniva effettiva la riduzione del Parlamento a una sola camera, di 150 membri. La nuova ZANU-PF, sigla con cui fu ratificata nel dicembre 1989 la fusione dei due maggiori partiti, ottenne 117 dei 120 seggi elettivi. Pur ottenendo solo 2 seggi, lo ZUM totalizzò il 20% dei suffragi (il 30% a Harare) dimostrando di avere acquisito una dimensione nazionale. Mugabe venne rieletto con il 78% dei voti. L'affluenza alle urne fu però del 54%, segno della demoralizzazione che pesava sul paese.
La scadenza del periodo di 10 anni dall'indipendenza permetteva di emendare la Costituzione: il governo se ne avvalse nell'aprile 1991 per adottare una legge che rendeva più facile l'esproprio delle terre nel tentativo di tacitare la protesta sociale. Il Parlamento era stato riformato nel 1990 (prima delle elezioni del marzo) e da bicamerale era divenuto a una sola Camera, con 150 membri, dei quali 120 venivano eletti a suffragio universale e diretto, 12 erano nominati dal capo dello Stato, 8 dai governatori delle province e 10 dai capi tradizionali. Andato irrevocabilmente perduto il prestigio che gli aveva meritato l'impegno contro il colonialismo e il razzismo, il partito di Mugabe e lo stesso Mugabe dovevano ormai guadagnarsi il consenso con le scelte politiche correnti di fronte agli incalzanti e mai risolti problemi della terra e della disoccupazione. In compenso, bocciata anche dal Comitato centrale della ZANU oltre che dai nuovi orientamenti della politica in tutta l'Africa, la prospettiva d'istituzionalizzare il partito unico venne definitivamente abbandonata.
Per dare respiro all'economia, nel 1990 il governo dello Z., facendo violenza alla propria impostazione ideologica, accettò di stipulare un accordo di aggiustamento strutturale con il Fondo monetario internazionale. I riferimenti al marxismo divennero sempre più rari a vantaggio di un programma che faceva leva piuttosto sul socialismo pragmatico e sul capitalismo indigeno. I costi sociali della liberalizzazione economica acuirono però il malessere fra gli strati meno protetti. Nuovamente il governo pensò di dover accelerare la riforma agraria: una legge molto osteggiata dalla comunità degli agricoltori bianchi fu approvata nel 1992 per distribuire almeno la metà degli 11 milioni di ettari di terre che all'epoca risultavano ancora posseduti da poco più di 4000 grandi proprietari, per lo più bianchi.
Fin dall'indipendenza lo Z. è stato in prima linea nell'impegno contro il razzismo e il colonialismo, dando fra l'altro un vigoroso contributo alla SADCC (Southern African Development Coordination Conference), l'organizzazione di coordinamento per lo sviluppo e le comunicazioni dell'Africa australe. In quanto paese senza sbocchi al mare, lo Z. era particolarmente interessato alla collaborazione e al contenimento dell'aggressività del Sudafrica bianco. La guerra civile scatenata dal RENAMO (Resistência Nacional Moa̧mbicana) nel vicino Mozambico − verso cui Mugabe sentiva motivi profondi di riconoscenza per gli aiuti ricevuti durante la guerra contro il governo bianco e attraverso il cui territorio passava gran parte del commercio internazionale del suo paese − minacciava i collegamenti dello Z. con l'estero e truppe dello Z. furono dislocate in territorio mozambicano per garantire la libertà di transito nel corridoio di Beira. Neppure lo Z. era in grado però di opporsi allo strapotere del Sudafrica e non riuscì a fornire tutta l'assistenza necessaria al regime del FRELIMO (Frente de Libertação de Moa̧mbique). Lo Z. fu dunque molto sollevato dall'avvio nel 1990 delle procedure per abrogare l'apartheid. Mugabe ne approfittò per migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, che avevano già mostrato di apprezzare le misure concordate con il FMI.
La verifica della tenuta del governo, nelle condizioni di pacificazione e conciliazione che caratterizzarono tutta l'Africa australe dopo lo smantellamento del razzismo in Sudafrica, avvenne con le elezioni dell'8-9 aprile 1995. Nonostante il tentativo dell'opposizione di costituire un fronte di coalizione, la ZANU-PF conquistò ben 118 dei 120 seggi in palio, ma in 55 circoscrizioni i candidati del partito di governo non avevano oppositori. La scelta per i posti chiave dell'economia e dell'agricoltura di ministri graditi alla comunità degli affari lasciò trasparire l'intenzione di Mugabe di proseguire con la politica di liberalizzazione e privatizzazione.
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