ZERO (fr. zéro; sp. cero; ted. Null; ingl. zero)
Lo zero è da riguardarsi come numero nel senso cardinale (v. numero), quando risponde alla domanda "quanti sono gli oggetti (di una data classe)?" nel caso in cui la classe sia vuota. In tal senso è, ad es., adoperato in aritmetica, nel sistema di numerazione decimale, dove è rappresentato col segno (o cifra) 0, e denota (v. numerazione) assenza di unità (di un cert'ordine).
Lo zero è da riguardarsi come numero nel senso ordinale quando è considerato come punto di riferimento o come stato (o valore) iniziale di una grandezza, specialmente se questa è variabile in due sensi opposti. Anche in questo significato si fa uso del segno 0. Così si dice: anno 0 (dell'era volgare = anno della nascita di G. C.); ora 0 (ordinariamente la mezzanotte); temperatura 0 (origine della scala termometrica); distanza 0 (per indicare il punto dal quale sono calcolate le distanze su di una linea), ecc. Talvolta il segno 0 denota il primo elemento di una successione per indicare che gli elementi di questa sono posti in corrispondenza coi numeri della serie naturale a partire dallo zero.
Meno comunemente la parola "zero" è usata nel senso di punto o valore di annullamento; così per zero di una funzione di una variabile s'intende un qualsiasi valore della variabile indipendente che faccia prendere alla funzione il valore zero.
Origine del vocabolo e del segno. - Nella matematica dell'antico Egitto e in quella greca manca una notazione per lo zero. Nell'Almagesto di Tolomeo è usato il segno ŏ per indicare che nella misura in gradi di un angolo mancano i minuti primi e secondi; sembra però che tal segno sia un'abbreviazione della parola οὐδέν "nulla". Anche nella numerazione romana manca una notazione per lo zero. È nell'India, verso il 500 d. C., che si comincia a far uso di un segno per lo zero (un cerchietto, pieno o no), accanto a cifre già usate da varî secoli (v. cifra) per rappresentare i numeri da uno a nove, e si sviluppa così il sistema di numerazione decimale fondato sul valore posizionale progressivo delle cifre (v. numerazione). Sembra che questo metodo sia venuto a conoscenza degli Arabi nel secolo VIII, probabilmente quando giunse a Baghdād un'ambasciata indiana, portando libri astronomici scritti in sanscrito, che furono ben presto tradotti in arabo. In Italia e in Europa il metodo di calcolo indiano si diffuse col Liber Abbaci di Leonardo Pisano (1202) e con gli altri più elementari che ne derivarono. Leonardo latinizzò in zephirum il vocabolo ṣifr usato dagli Arabi in corrispondenza al sanscrito śūnya (vuoto); e dalle forme medievali italiane zefiro, zeuero derivò il vocabolo zero, che compare già in un manoscritto del 1491. Si deve però avvertire che, avendo altri autori latinizzato l'arabo ṣifr in cifra (come fece ad es. Massimo Planude nel 1330), fu usata per indicare lo zero anche la parola cifra, estesa poi a designare un segno numerale generico.
Lo zero nelle diverse teorie deduttive dei numeri naturali. - In una teoria deduttiva dei numeri naturali lo zero può essere introdotto in vario modo. Nella teoria ordinale di G. Peano (1889) lo zero è uno dei tre concetti primitivi (zero, numero, successivo) in base ai quali il Peano fonda l'aritmetica, formulando su di essi le seguenti cinque proposizioni primitive o postulati:
I. Zero è un numero.
II. Il successivo di un numero è un numero.
III. Se i successivi di due numeri sono eguali, i due numeri sono pure eguali.
IV. Se una classe contiene lo zero e se, ammesso che contenga un numero qualsiasi, risulta che contiene anche il successivo, la classe contiene tutti i numeri (principio d'induzione).
V. Il successivo di un numero non è mai zero.
G. Peano ed A. Padoa dimostrarono che queste proposizioni sono indipendenti. In seguito però il Padoa fece osservare che il suddetto sistema di concetti primitivi non è irriducibile rispetto alle proposizioni primitive, potendosi definire lo zero mediante gli altri due e precisamente così: si dice zero il numero che non è il successivo di alcun numero. L'esistenza dello zero è postulata dal Padoa in sostituzione della I proposizione del Peano ed è soppressa la V, divenuta superflua.
Una modificazione ulteriore fu proposta da M. Pieri e cioè di sostituire al principio di induzione quest'altro formalmente più semplice: In ogni classe esistente di numeri c'è sempre un numero che non è il successivo di alcun numero della classe. Questo equivale ad affermare l'esistenza del minimo in ogni classe esistente di numeri (naturali), principio detto di Campano perché fu enunciato da Giovanni Campano, traduttore dall'arabo degli Elementi di Euclide (2ª metà del sec. XIII), al fine di una più rigorosa deduzione di talune proposizioni aritmetiche, contenute negli Elementi (v. numero).
La critica moderna circa le definizioni per postulati o per astrazione indusse B. Russell a dare una definizione nominale del numero e in primo luogo dello zero. Detta nulla una classe quand'è priva di elementi, egli definisce lo zero come la classe delle classi nulle. Detta unitaria una classe costituita da un oggetto solo, egli dice uno la classe delle classi unitarie. E, in generale, definito il numero n, il Russell chiama successivo di n la classe delle classi ciascuna delle quali risulta riunendo una classe di numero n (ossia di n oggetti) con un'altra unitaria non contenuta nella prima. In tal modo il Russell riesce a dimostrare tutte le proposizioni primitive del Peano eccetto la II, che afferma per ogni numero l'esistenza del successivo. Questa costituisce il cosiddetto principio dell'infinito (v. bibl.).
Nella definizione nominale di un numero secondo Russell ha fondamentale importanza la relazione d'identità (x = y). Orbene, M. Cipolla ha mostrato che a questa si può sostituire una qualsiasi relazione simmetrica e transitiva; ma le varie classi che così si ottengono, al variare della relazione, sono, nei riguardi delle due operazioni di somma e prodotto, in corrispondenza di isomorfismo, cioè: alla somma e al prodotto di due elementi qualunque di una di queste classi, corrispondono, rispettivamente, la somma e il prodotto degli elementi corrispondenti di un'altra di esse. Astraendo rispetto alla relazione d'isomorfismo, si passa da un qualsiasi aspetto concreto di numero (qual è per es. quello russelliano) all'unica concezione astratta di esso. Così si può dire che lo zero astratto è la classe degli zeri concreti. Ed è in base a ciò che lo zero (astratto) s'identifica con lo zero della classe dei numeri naturali, con lo zero della classe dei numeri razionali, dei numeri reali (assoluti o relativi), dei numeri complessi (ordinarî), ecc., sebbene a ciascuna di queste classi possano darsi diverse significazioni concrete.
Proprietà dello zero nell'aritmetica ordinaria. - Nell'aritmetica ordinaria (qual è quella dei numeri reali o complessi) lo zero ha proprietà notevoli, di cui richiamiamo le principali. Lo zero è il numero indifferente della somma; cioè: a + b = a allora, e solo, quando b = 0. Lo zero è il fattore di annullamento del prodotto; cioè ab = 0 allora, e solo, quando almeno uno dei fattori a, b è zero. In base a questa proprietà la potenza 0m ad esponente m intero, maggiore di 1, è uguale a 0 (ed è pure eguale a 0 per m = 1 in virtù della definizione di potenza di esponente 1); per conseguenza la radice mma di 0 è uguale a 0. Ne risulta che è pure eguale a 0 la potenza 0r per r razionale positivo, e poi ancora per r reale positivo.
La divisione per 0 è sempre esclusa, sicché il simbolo a/0 non ha significato. Esso per a ≠ 0 nella risoluzione dei problemi denota imposibilità; e nella teoria dei limiti (v. limite) è considerato come segno di divergenza (ossia di tendenza all'infinito); mentre il simbolo 0/0, nella risoluzione dei problemi e nella teoria dei limiti, è considerato come simbolo d'indeterminazione.
La potenza a0, per a ≠ 0, si definisce uguale a 1, al fine di estendere all'esponente 0 le regole di calcolo delle potenze. Così la proprietà am : an = am-n valida per a ≠ 0 ed m > n, diviene valida per m = n. Il simbolo o0 si suole lasciare senza significato (sebbene alcuni, come il Peano, lo definiscano pure uguale a 1): esso nella teoria dei limiti è riguardato come segno d'indeterminazione.
Ciò che si è detto per lo zero nell'aritmetica ordinaria, vale per un corpo numerico qualsiasi, cioè per ogni classe di numeri che si riproducono mediante le quattro operazioni aritmetiche fondamentali (v. aritmetica: Aritmetica superiore).
4. Lo zero nelle algebre a più unità. - I numeri reali e i numeri complessi sono particolari sistemi di numeri rispettivamente a una e a due unità. Modernamente lo studio dell'aritmetica è stato esteso ai cosiddetti sistemi associativi ad n unità o algebre d'ordine n in un corpo numerico C (v. immaginario). Gli elementi di un'algebra A d'ordine n hanno l'espressione c1u1 + c2u2 + . . . + cnun, dove c1, c2, . . ., cn sono numeri di C, e u1, u2, . . ., un sono n dati elementi di A, tali che da essi, mediante la detta espressione, si ottengano tutti gli elementi di A, ciascuno una sola volta, al variare dei coefficienti ci in C. Oltre la somma (espressa dal segno +), definita committativa e associativa, si definisce il prodotto in modo che sia associativo e distributivo (rispetto alla somma); ma non si riesce, in generale, a definirlo in modo che sia conservata la legge commutativa assieme con quella di annullamento. Queste proprietà possono entrambe conservarsi solo per il caso di una o due unità, e allora non si ottengono che corpi isomorfi a corpi reali o complessi. Per più di due unità la legge di annullamento non può sussistere che in casi eccezionali; così è stato dimostrato da G. Frobenius che le sole algebre reali per cui valga la legge d'annullamento sono: il corpo reale, il corpo complesso e il sistema dei quaternioni (v.) di Hamilton, nel quale, però, il prodotto non è commutativo. In generale, dunque, in un'algebra esistono coppie di numeri che moltiplicati fra loro dànno per prodotto zero: ciascuno di questi numeri si dice (con C. Weierstrass) divisore dello zero. Un'algebra tale che il prodotto di due elementi qualunque sia sempre zero, si dice zero-algebra.
Bibl.: G. Peano, Arithmetices principia, nova methodo exposita, Torino 1889; A. Padoa, in Formularie Mathématique, ivi 1899, p. 30, e in Revue de Math., ivi 1902, p. 45; M. Pieri, in Boll. dell'Acc. Gioenia, Catania 1908; B. Russell e A. N. Whitehead, Principia Mathematica, I, Cambridge 1910; M. Cipolla, Analisi algebrica ed introduzione al calcolo infinitesimale, 2ª ed., Palermo 1921, cap. 2°; G. Scorza, Corpi numerici e algebre, Messina 1921.