ZEOLITI
. Il nome di zeoliti (dal greco ζέω "bollo", e λίϑος "pietra") fu dato nel 1756 da A. Cronstedt ad alcuni minerali che, sotto l'azione del cannello ferruminatorio, schiumeggiavano; però, per parecchio tempo, come varietà del minerale zeolite ne sono stati indicati anche alcuni che con le zeoliti vere e proprie non avevano nulla a che fare, per es. il lapislazzuli. Per opera di J.-B. Romé de l'Isle, dapprima, e poi di A. G. Werner, di A. Breithaupt e di altri, il significato della parola zeoliti è stato reso più preciso, e oggi si indica con tal nome un gruppo di silicati, per lo più di alluminio, calcio, sodio, meno spesso bario, stronzio, manganese, potassio, ben cristallizzati e contenenti quantità variabili, talora assai notevoli, di acqua, la quale ha proprietà diverse da quella dei sali idrati.
La cristallizzazione delle zeoliti è spesso trimetrica o monoclina; molte di esse presentano anomalie ottiche, e sono probabilmente pseudosimmetriche. Per lo più incolori o di colorazione chiara, hanno rifrazione e birifrazione basse; sono attaccate dagli acidi minerali, con formazione di silice gelatinosa o polverulenta.
Si tratta, quasi sempre, di minerali secondarî derivati, per azioni idrotermali, da trasformazione di feldspati o di feldspatoidi, ma per l'analcima sembra accertata, in alcuni casi, l'origine magmatica diretta. Si trovano, di solito, cristallizzate in vene o in geodi di rocce eruttive basiche, più raramente in quelle acide; la phillipsite è stata trovata anche nelle argille rosse abissali.
Lo studio della costituzione chimica delle zeoliti ha dato luogo a un gran numero di ricerche e d'ipotesi diverse, soprattutto per la difficoltà di accertare quale è la funzione dell'acqua in questi minerali.
Le prime osservazioni in proposito sono forse quelle di F. G. M. Malaguti e A. Durocher (1846), i quali stabilirono che la laumontite, nello sfiorire, perde acqua, e che può riprenderla riacquistando la trasparenza. Alcuni anni dopo, A. Damour (1858) giunse a risultati molto importanti, in seguito alle sue esperienze sulla disidratazione e sulla reidratazione di un grande numero di zeoliti, si può dire, anzi, di tutte quelle note ai suoi tempi: stabilì infatti che quasi tutte perdevano parzialmente, o totalmente, la loro acqua per esposizione in atmosfera secca, o per riscaldamento fino al rosso nascente; che dopo la disidratazione parziale l'acqua poteva essere ripresa per esposizione all'aria libera, ma che questa proprietà veniva perduta se la temperatura alla quale era stata sottoposta la zeolite aveva oltrepassato un certo limite, variabile da specie a specie. Egli ritenne anche che la facilità con la quale le zeoliti si disidratavano, fosse in rapporto diretto con il numero di equivalenti d'acqua contenuto nelle zeoliti medesime. In tal modo, alcune fra le principali proprietà dell'acqua delle zeoliti erano conosciute.
Importantissimi sono anche i risultati ai quali, fino dal 1878, era giunto Th. W. Fresenius, sperimentando sulla phillipsite: egli vide infatti che il contenuto d'acqua di quel minerale cambiava continuamente al variare della temperatura; che a ogni temperatura si raggiungeva rapidamente l'equilibrio, corrispondente alla stessa, fra acqua e sostanza anidra; ritenne anche probabile che, a ogni temperatura, l'equilibrio raggiunto dipendesse dall'umidità dell'ambiente, ciò che spiegava come alla temperatura ordinaria la quantità dell'acqua non fosse in rapporto molecolare semplice con la sostanza anidra.
Merito principale di E. Mallard è quello di avere studiato (1882) le variazioni delle proprietà ottiche, che accompagnano la parziale disidratazione e la reidratazione della heulandite; egli stabilì che le forti modificazioni di tali proprietà, prodotte da un riscaldamento a 150°, con il quale la heulandite perdeva circa i 3/5 dell'acqua totale, scomparivano quando il minerale, lasciato all'aria umida, riprendeva l'acqua perduta; esse permanevano invece se le lamine, parzialmente disidratate, erano immerse nel balsamo del Canada, perché ciò impediva la reidratazione. Concludeva, dai risultati delle sue esperienze, che la perdita parziale dell'acqua, trasformazione chimica in apparenza profonda, produceva solo modificazioni ottiche graduali e, in certo modo, proporzionali alla quantità di acqua sfuggita.
In una serie di lavori, a partire dal 1896, C. Friedel riprese lo studio dell'acqua delle zeoliti; fra i risultati delle sue ricerche, il più importante è forse quello che ha mostrato come l'acqua possa essere sostituita da altre sostanze: aria, idrogeno, ammoniaca, idrogeno solforato, ecc.
Fra il 1905 e il 1908, F. Zambonini sottoponeva allo studio, con uniformità di metodo, un gran numero di zeoliti, sempre col fine di stabilire la funzione dell'acqua in tali minerali; le esperienze, oltreché allo studio delle curve di disidratazione e di reidratazione, furono rivolte a quello di tutta una serie di problemi, come l'influenza, sulle proprietà assorbenti, di successive disidratazioni parziali e della durata del riscaldamento, il confronto fra le variazioni delle proprietà ottiche prodotte dalla disidratazione nel vuoto, su acido solforico, o per riscaldamento, e cosi via. Inoltre lo Zambonini fece esperienze anche su altri silicati contenenti acqua. Come conclusione delle sue ricerche, egli ritenne che l'acqua delle zeoliti presentasse la massima analogia con quella degli idrogeli.
Nel 1915 A. Beutel e K. Blaschke ripresero a considerare il problema, studiando però, invece delle curve di disidratazione, quelle di reidratazione, giacché le prime, secondo i detti autori, sarebbero influenzate da fenomeni di coesione, e perciò la continuità loro sarebbe solo apparente: esperienze fatte, con particolari accorgimenti, durante la ripresa dell'acqua, sarebbero invece indipendenti da tali cause di errore. Così per la stilbite (desmina) si potrebbero ottenere quattordici idrati definiti, ciascuno dei quali avrebbe un suo determinato, e ristretto, campo di stabilità. G. Stoklossa, con risultati analoghi, ha studiato (1919) numerose altre zeoliti. Questi risultati furono peraltro contraddetti da O. Weigel (1919, 1922), il quale ritenne invece che le curve di disidratazione diano le indicazioni più attendibili sugli equilibrî delle tensioni di vapore; secondo il Weigel, esperienze condotte con grande cura dimostrano che nelle curve di disidratazione e di reidratazione della heulandite si hanno dei leggieri gomiti (Knicke), corrispondenti a rapporti stechiometrici semplici.
Sul fondamento di queste ricerche, e di molte altre fatte da G. Tamman, da F. Rinne, da E. Sommerfeldt, ecc., sono state fondate le diverse ipotesi sulla costituzione delle zeoliti, delle quali ricorderemo in breve solo le più importanti.
Fino all'ultimo decennio del sec. XIX, era ammesso come assioma, nonostante l'evidente contraddizione con i resultati sperimentali già acquisiti, che le zeoliti contenessero acqua di tre specie, e cioè igroscopica, di cristallizzazione, e di costituzione; le tre specie di acqua sarebbero state emesse entro limiti di temperatura diversi, fissati arbitrariamente.
Secondo G. Tschermak (1884), nelle zeoliti esiste un sale normale insieme a della silice, o a un idrato di silicio; nella forma più recente data alla sua ipotesi (1917), questo autore ritiene che ad un nucleo, nel quale una parte del Ca può esser sostituita da Na, K, Ba, Sr, sia unito dell'acido silicico libero, semplice o risultante dalla mescolanza di più acidi, e spesso anche dell'acqua; una parte però di questa, fino a due molecole, potrebbe essere intimamente legata al nucleo. In complesso, analoga con quella di Tschermak, è l'ipotesi di C. Doelter (1890).
Il Mallard, in seguito alle esperienze ricordate prima, era venuto alla conclusione che la heulandite si comportava come una specie di spugna, capace di imbeversi d'acqua, in quantità dipendenti dalla temperatura e dallo stato igrometrico dell'ambiente, fatto semplicemente fisico e non dipendente da affinità chimiche; a conclusioni analoghe giunse il Friedel, il quale, escludendo che l'acqua in questi minerali fosse di cristallizzazione o di costituzione, la considerò come un'acqua speciale, che chiamò "acqua zeolitica".
Con gli studî del Tamman (1898) si entra in un nuovo ordine di idee: egli ha sostenuto, infatti, che le zeoliti sono soluzioni solide, e questa ipotesi è stata seguita da molti autori, mentre altri, come il Sommerfeldt (1902), hanno ritenuto che esse siano composti di assorbimento.
Principalmente per l'analogia di comportamento fra l'acqua zeolitica e quella degli idrogeli, lo Zambonini è venuto alla conclusione che le zeoliti debbano avere una struttura micellare, simile a quella stabilita da J. M. van Bemmelen appunto per gli idrogeli. Questa ipotesi, la quale dava spiegazione plausibile delle particolarità osservate durante la disidratazione e la reidratazione delle zeoliti, fu avversata, anche per ragioni teoriche, da U. Panichi.
Abbiamo già veduto come, assai di recente, Beutel e Blaschke, e poi lo Stoklossa, abbiano considerato le zeoliti veri idrati; ricorderemo infine che secondo il Weigel (1919) i gomiti, talora osservati nelle curve, e corrispondenti a rapporti stechiometrici semplici, non debbano essere considerati come segno di combinazione chimica, ma dipendano dalla presenza di particolari cristalli di miscela; e che K. H. Scheumann (1921) ammette le zeoliti formate da due quasidrati, i quali possono passare l'uno all'altro e mescolarsi in tutte le proporzioni.
Oggi, in seguito ai progressi conseguiti nello studio della struttura dei cristalli per mezzo dei metodi röntgenografici, è ritenuto generalmente che l'acqua zeolitica si trovi liberamente mobile, dispersa negli spazî esistenti fra le maglie dei reticolati.
Un altro fatto assai importante, la facilità cioè con la quale può avvenire uno scambio tra elementi delle zeoliti ed elementi di soluzioni con esse in contatto (per esempio, sostituzione di Na con Ca), starebbe poi a dimostrare che, nel reticolato di questi minerali, alcuni legami sono particolarmente deboli.
Da parecchi autori vengono staccati dalla serie delle zeoliti vere e proprie alcuni termini, principalmente l'apofillite, i quali, sotto certi aspetti, si distinguono dagli altri, e riuniti per formare il gruppo dell'apofillite (Tschermak), o la Introductory subdivision (Dana), o il gruppo degli zeolitoidi (D'Achiardi).
È forse prematuro classificare i silicati, in generale, e le zeoliti in particolare, a seconda della loro struttura, non essendo ancora questa per tutte interamente nota con certezza; nella tabella che segue, i principali termini sono ordinati a seconda dell'acido silicico dal quale essi si possono considerare derivati. Bisogna avvertire peraltro che alcuni di tali acidi sono ipotetici, anzi probabilmente inesistenti, e che la massima parte delle zeoliti sembra appartenere, per la struttura, al tipo che F. Machatschki dice feldspatico, caratterizzato da tetraedri (Si, Al)O4 uniti in modo che ogni ossigeno sia comune a due tetraedri contigui. L'ordinamento della tabella, che in massima è quello proposto da G. D'Achiardi, coincide in parte con quello adottato da P. Groth, il quale non distingue però le zeoliti dagli zeolitoidi.
Per la descrizione delle principali zeoliti, v. alle singole voci.
Zeoliti artificiali. - Si tratta di sostanze amorfe, o minutamente cristalline, le quali non hanno nulla a che fare con le zeoliti in senso mineralogico, e che, per la loro proprietà di scambiare il sodio con altri metalli (Ca, Fe, Mn), contenuti in soluzioni con le quali vengano a contatto, possono servire alla purificazione delle acque, e anche per precipitare l'oro da soluzioni molto diluite. Si ottengono per fusione di mescolanze di silicato di alluminio con soda ed eventualmente silice; una mescolanza molto appropriata è costituita da 2 parti di caolino, 4,5 di ortose, 8,2 di soda. Son dette anche permutiti.
Zeoliti del terreno. - Anche in questo caso non si tratta di zeoliti in senso mineralogico, ma di prodotti colloidali derivati dall'alterazione dei minerali delle rocce, prodotti che possono scambiare e trattenere dalle soluzioni alcuni elementi, in particolare quelli utili alle piante.