zavorra
Termine strettamente ‛ comico ', anzi plebeo (dal latino classico saburra); manca in tutto il D. minore compresa la ‛ appendix ' del Fiore e del Detto, che pur ne avrebbe tollerato la violenta corposità; non a caso l'unico esempio (cronologicamente il primo nei lessici) si ha, nella Commedia, per il basso Inferno, e tuttavia non nel valore solidale delle attestazioni antiche, le latine (Virgilio, Livio, Plinio), e cioè " materiale pesante e di poco valore " che si dispone in fondo alla stiva dei battelli per equilibrarne il peso o garantirne la stabilità, ma in quello di " feccia ", " genìa ", " gentaglia ": vid'io la settima zavorra / mutare e trasmutare (If XXV 142).
In tale senso, appunto, viene riferito a una particolare schiera di dannati, i ladri " contenuti nella settima bolgia, come zavorra nella sentina della nave " (Torraca); non senza la concomitante possibilità di una normale sineddoche (la parte per il tutto), è intuitiva l'associazione alla bolgia che li contiene - ‛ sacca ' immaginosamente intesa come " stiva " o " sentina " -, teatro e specchio delle loro continue trasformazioni. Il Sapegno si limita a citare dal Gelli (" la zavorra di che si riempiono le navi è sempre quella mercanzia, della quale non è fatto mai troppa stima "); più efficace l'interpretazione del Grabher: " i dannati della VII bolgia, ridotti a numero e quantità, peso e ingombro, vile materia ‛ stipata ' là dentro. E settima... fa anche pensare alle altre bolge... che, naturalmente, son piene della stessa zavorra ". Si veda infine Pagliaro, Ulisse 366-368.