Vedi ZAKROS dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
ZAKROS (v. vol. VII, p. 1244 e s 1970, p. 941)
Il completamento dello scavo del palazzo, il solo fino a oggi rinvenuto non depredato, e la successiva esplorazione di un esteso abitato gravitante attorno al complesso palaziale, consentono di tracciare un quadro più completo della storia e della vita di Z. nell'Età del Bronzo. Molti elementi offrono utili indicazioni sull'importanza commerciale e strategica di Z. e su i suoi rapporti con altri centri minoici, con l'Egitto e l'area siro-palestinese.
Il palazzo sorgeva in una stretta valle compresa tra due basse colline a NO e a SE, seguendo gli stessi criteri degli altri palazzi minoici, con quattro ali delimitanti un cortile centrale rettangolare. L'ala occidentale, qui come a Cnosso la principale, era destinata ad ambienti di culto e a magazzini; quella orientale comprendeva gli appartamenti reali e la sala del trono; le altre ospitavano officine, cucine, dispense e laboratori. Il palazzo aveva sicuramente almeno un piano superiore come mostrano le scale, la quantità di oggetti caduti dall'alto, la solida struttura delle murature del pianterreno. I giunti lignei conferivano elasticità ai muri, a protezione dalle frequenti scosse di terremoto. Le colonne lignee su basi di pietra erano del noto tipo cretese, più stretto in basso. Altri elementi dell'architettura minoica, i polỳthyra, i portici con banchine e i pozzi di luce sono impiegati a Z. in varie combinazioni.
Il materiale da costruzione maggiormente utilizzato è un calcare locale di cui si sono localizzate tre o quattro cave. Nelle facciate e nei pilastri era impiegato un pòros proveniente dalle cave di Pelekita; i tramezzi e i muri del piano superiore erano invece in mattoni crudi. I muri erano intonacati e in diversi casi decorati con pitture. Il legno di cipresso era usato per i legamenti dei muri, per i telai delle finestre e delle porte, per le colonne e le travi della copertura e dei solai. Per i pavimenti era utilizzata principalmente una mistura di ghiaietta marina e calce; in molti casi è evidente il tentativo di realizzare pavimenti policromi con la composizione di lastre di materiali diversi, mattoni e calcestruzzo, mentre nelle sale cerimoniali pannelli di stucco rossi con elementi a meandro e altri motivi geometrici erano commessi con un materiale inconsueto, forse resina e cera, che non si è conservato, ma di cui restano le impronte. Grandi soglie monolitiche sono realizzate in pietra calcarea nerastra. Giardini chiusi da lunghi muri di recinzione con pozzi di irrigazione circondavano il palazzo a S, a E e a SE.
La porta principale si trova all'estremità NO dove giunge la via lastricata proveniente dal settore NE del porto. L'ingresso è costituito da un passaggio coperto e chiuso verso l'esterno da una porta di legno a due ante, con grande soglia monolitica di pietra calcarea, che dà accesso a una corte lastricata, dalla quale, attraverso un piccolo corridoio, si entra nel cortile centrale, al cui angolo SO era un ingresso secondario da S, mentre da O non vi era alcun accesso diretto, e dell'ingresso orientale si rinvenne solo l'uscita verso il cortile centrale.
Il cortile centrale è pari a circa un terzo del cortile di Cnosso (30 x 12 m), e ha un piano di terra battuta. Presso l'angolo NO, un altare rettangolare, originariamente a due gradini, prova che in quest'area si svolgevano cerimonie religiose. All'estremità Ν una piccola stoà colonnata con banchina, sormontata da una terrazza coperta, era utilizzata come luogo di sosta.
Sulle facciate O e S verso il cortile si aprivano finestre bifore, di cui resta traccia sulla superficie dei blocchi squadrati. La facciata E, quella degli appartamenti reali, presenta una stoà con pilastri quadrangolari e colonne alternati, accessibile attraverso due larghe gradinate. Un frammento di un grande corno di calcare rinvenuto nell'interro del cortile apparteneva forse al coronamento del piano superiore. Tre accessi - quello mediano, con grande soglia monolitica è il principale - portano all'interno dell'ala O. Nell'atrio, a destra dell'ingresso, era il vano della scala che conduceva al piano superiore. Sui blocchi in pòros di questo vano era inciso molte volte il simbolo della doppia ascia che indica la sacralità dell'area. Degli altri due ingressi, quello a S introduceva nella grande sala delle cerimonie, mentre quello a Ν portava alla sala da pranzo e alla cucina. Dal vestibolo centrale si procedeva verso un'ampia sala quadrangolare con pavimento a calce e ciottolini, ornato al centro da un riquadro rettangolare di piastrelle di terracotta. Dall'angolo NO della sala si accedeva a un gruppo di magazzini, forniti di numerosi pìthoi. La ceramica rinvenuta in quest'area è di ottima qualità e in parte era caduta dal piano superiore: comprende rhytà, brocche, anfore, stàmnoi, bracieri, colatoi, fruttiere, tazze, ciotole, spesso decorati sia nello «stile floreale» sia nello «stile marino». Si rinvennero inoltre pochi vasi in pietra di tipo corrente, diversi utensili in bronzo e molti pesi da telaio che indicano, tra le attività svolte, anche quella della tessitura. Nel ripostiglio sottostante a una stretta scala di servizio che subito a S dei magazzini saliva agli ambienti del piano superiore, erano due grandi seghe dentate, piegate l'una dentro l'altra, una grande anfora a staffa e altri oggetti di uso comune.
Gli ambienti del santuario centrale sono undici e comunicano tramite piccole porte e corridoi. Verso il settore orientale della sala principale erano cadute dal piano superiore almeno una dozzina di grandi anfore pithoidi con fitti motivi vegetali e lineari su più registri: tra queste una è decorata con i simboli sacri delle doppie asce. Tra i numerosi vasi caduti dal piano superiore sono di notevole effetto alcuni tipi con grandi anse a 8, probabilmente usati come portafiori. Sul lato O del vano più settentrionale del complesso si rinvennero sei lingotti di bronzo, anche questi caduti dall'alto, e tre zanne di elefante, materie prime verosimilmente importate da Cipro e dalla Siria. La stanza subito più a S era un magazzino di vasi riccamente decorati di medie e piccole dimensioni: tra questi spicca una splendida anfora pithoide decorata con polipi. Al piano superiore si trovava probabilmente un laboratorio per la lavorazione di vasi in pietra come si può dedurre dal rinvenimento, nel crollo, di una grande quantità di vasi di steatite. Al- l'incirca al centro degli ambienti dell'ala occidentale si trova il piccolo vano del santuario. Su un alto basamento a ridosso del muro S è ricavata una nicchia forse per di- sporvi immagini di culto. Sul muro di fronte è una banchina su cui sedeva il sacerdote. Circa dodici rhytà e altri vasi usati nell'ultima cerimonia si rinvennero sul pavimento della stanza. A E del sacello si trova un «bacino lustrale» del noto tipo minoico: del suo riempimento faceva parte una splendida anfora di pregiato marmo venato a corpo sferico con grandi anse a S e collo terminante in un doppio orlo. Una sega e un'incudine di bronzo rinvenute sulla scala del «bacino lustrale» provenivano sicuramente dal piano superiore. Altri utensili in bronzo e in pietra caduti nel corridoio a E del bacino costituivano l'attrezzatura di una falegnameria o di un'officina per la lavorazione di pietre. Le tre stanze più meridionali del santuario erano accessibili dalla sala delle cerimonie. La prima era un piccolo laboratorio per la lavorazione di oggetti in pietra, come indica un cumulo di pezzi di steatite non lavorati rinvenuto presso un piano di lavoro di poco rialzato rispetto al pavimento, mentre numerose appliques di faïence e di avorio, in forma di doppie asce, erano cadute dal piano superiore.
Il vano a O del laboratorio è l'unico caso di stanza del tesoro minoica rinvenuta intatta: otto caselle con divisori di mattoni crudi custodivano strumentazioni e oggetti sacri, rinvenuti in situ ricoperti da un crollo, all'interno dei contenitori e nello spazio intermedio. Oltre cinquanta oggetti in svariate pietre rare e di forme diverse costituiscono l'insieme del complesso: rhytà da libagione di forma conica, ovoide o sferica, brocche rituali, quattro alti bicchieri su piede (del tipo «calice della comunione»), lampade e tre mazze usate in cerimonie religiose.
I materiali impiegati sono: il marmo venato, in diversi tipi e colori, il basalto di Sparta e altre pietre basaltiche, il cristallo di rocca, il serpentino, l'alabastro e altri ancora. Due dei vasi di pietre basaltiche maculate, un perirranterio e una brocca con becco a ponte, erano stati elaborati trasformando vasi egiziani di epoca predinastica e protodinastica.
Il più pregevole rhytón del tesoro, di un bel cristallo di rocca, ha un profilo ovoidale allungato e un'estremità appuntita, il collo lavorato a parte e l'ansa costituita da vaghi sferici forati attraverso i quali passa un filo dorato. Alla base del collo è fissato un collarino costituito da sferette di cristallo alternate a fogliette di avorio rivestite d'oro. Notevoli sono anche i bronzi: due grandi asce di lamina bronzea, una delle quali recava una fitta decorazione di liliacee intrecciate tra loro; due elementi a corona, uno con una serie di doppie asce a rilievo, appartenevano forse a bacili per abluzioni. Di faïence erano tre rhytà in forma di protome bovina e di leonessa e un oggetto nella forma di un argonauta.
A O del santuario centrale si trovava l'archivio; in tre alte nicchie di mattoni nel muro S si rinvennero, tra i resti carbonizzati di scaffalature e contenitori di legno, tredici tavolette di argilla con iscrizioni in Lineare A. In origine dovevano essere molte di più, ma si sono salvate solo quelle cotte dall'incendio al momento della distruzione. Il carattere amministrativo dell'archivio, con testi forse relativi alla manifattura di oggetti del santuario, è confermato dalla presenza di numeri per computi e stime di valore.
A S dell'archivio, in un altro piccolo magazzino, oggetti cultuali in bronzo e ceramica erano custoditi entro divisori in mattoni crudi che scandivano piccole caselle, in una delle quali era riposta una tavola di offerte litica su alto piede.
Le due grandi sale dietro alla facciata dell'ala O, verso il cortile centrale, sono le più importanti e le più sontuose del palazzo. Quella più a N, la maggiore (12 x 10 m), ipostila, con un grande pozzo di luce colonnato e lastricato all'angolo NO, sembra fosse adibita a cerimonie sacre. Ha un ingresso con grande soglia monolitica sul lato NE, ma vi si accede anche dalla sala IX per mezzo di un'ampia apertura colonnata. Il settore SO della sala poteva essere isolato, poiché su due lati si chiudeva con il sistema del polỳthyron. Sul pavimento decorato con pannelli di stucco con disegni a meandro o a rettangolo si rinvennero utensili di bronzo, forse caduti dal piano superiore: quattro enormi seghe dentate dovevano sopperire a qualche esigenza particolare. Sparsi sul pavimento erano, inoltre, due tavolette in Lineare A, intarsi in pasta vitrea, cristallo di rocca e faïence, piccoli oggetti di bronzo e diversi recipienti in ceramica e in bronzo, nonché una tazza ansata di marmo bianco semitrasparente.
Due rhytà particolarmente significativi, probabilmente usati in una cerimonia negli ultimi momenti di vita del palazzo, erano caduti dal piano superiore nel pozzo di luce colonnato. Il primo, di clorite, in forma di protome taurina resa in maniera assai naturalistica, somiglia al noto rhytón del Piccolo Palazzo di Cnosso, ma raffigura un torello più giovane ed è più elegante. Il secondo, pure di clorite, ovoidale con collo a rocchetto è uno dei più pregevoli oggetti rituali dell'ambito cretese-miceneo. Tutto rivestito di sottili foglie d'oro, come mostrano piccolissimi residui in diversi punti della superficie, presenta, a rilievo, la raffigurazione di un santuario delle vette (v. vol. VII, fig. 1383).
Dalla sala delle cerimonie attraverso una triplice porta si passa in un'altra vasta sala all'estremità SE dell'ala O, denominata «Sala dei simposi» per il rinvenimento di oggetti connessi con il vino. All'estremità E del passaggio erano accumulate oltre dieci anfore, mentre vicino al muro S si rinvennero cadute a terra otto brocchette per la mescita del vino. Non sembra improbabile che in questa sala si tenessero banchetti in onore della divinità o qualche altro servizio religioso con consumazione di vino. La sala era splendidamente ornata: al centro del pavimento stucchi rossi formavano due serie di pannelli come quelli della sala delle cerimonie. Nella parte superiore dei muri correva un fregio in stucco di spirali a rilievo con al centro una rosetta colorata.
Dell'ala E del palazzo, disgraziatamente devastata dai lavori agricoli, si conservano solo le fondazioni dei muri e le sottofondazioni di altri elementi architettonici, mentre non rimane quasi nulla degli oggetti mobili. Si sono riconosciuti gli ambienti di rappresentanza con i loro vani di servizio, una grandiosa sala, forse quella del trono, e impianti per l'estrazione dell'acqua dalla falda sotterranea.
Gli ambienti di rappresentanza comprendono due sale affiancate: la più grande a S, divisa da un polỳthyron, con un pozzo di luce a S, comunicava tramite porte doppie con il «mègaron» settentrionale. Due aperture sul lato O immettevano nel portico che si affacciava sul cortile centrale. L'altra sala, forse zona di residenza della regina, era accessibile dal cortile centrale con due larghi gradini con colonna al centro tra pilastri quadrati. Un polỳthyron quadrato interno garantiva l'isolamento dello spazio dall'area circostante. Al di fuori dell'area del polỳthyron il pavimento era ricoperto dai soliti pannelli in stucco. Il pozzo di luce con doppia finestra versò la sala a polỳthyron era pavimentato di lastre di pietra picchiettate.
Un lungo corridoio conduce dalla «Sala della regina» all'anticamera del bagno, che aveva un pavimento di terra battuta argillosa e una doppia finestra sulla parete O. Il bagno è del tipo a vasca seminterrata, con parapetto e discesa laterale con gradini di legno che non si sono conservati. Nei muri Ν e O si aprono, su alti zoccoli, nicchie con colonnine. La nicchia Í era ornata da una pittura con temi sacri (doppie asce e corna di consacrazione). A giudicare dalla sacralità dei temi il bagno sembrerebbe avere un doppio significato: forse, oltre che per i lavacri della famiglia reale, veniva usato per purificazioni rituali.
A E degli appartamenti reali si trovava una sala quadrata, molto ampia, con pavimento di malta e ciottolini. Nella parte centrale presenta una cisterna a pianta circolare dai muri spessi, rivestiti di intonaco idraulico, con fondo lastricato raggiungibile mediante una scala di otto gradini, dal quale ancor oggi filtra l'acqua della falda sotterranea. Aveva intorno una balaustra con quattro o cinque colonne, due basi delle quali si rinvennero cadute all'interno della vasca. Il lusso e la grandiosità del vano e il rapporto immediato con gli appartamenti reali rendono plausibile l'ipotesi che si trattasse di una «Sala del trono».
Il vano sotterraneo, sotto alla scala che si trova nell'angolo SO, si è rivelato essere proprio la camera in cui sgorgava e si raccoglieva l'acqua sotterranea: di lì veniva distribuita in una struttura rettangolare a cielo aperto, la quale, essendo costruita in bei blocchi squadrati, è stata denominata con l'espressione omerica τυκτή κρήνη. All'estremità S della fontana, il cui fondo era rivestito di lastre irregolari, una scala in pietra di quattordici gradini consentiva di raggiungere l'area dove si poteva attingere l'acqua che giungeva dal vicino vano sotterraneo mediante una bocca di alimentazione alla base del muro N.
Dall'angolo SE del cortile centrale si raggiungeva un altro pozzo circolare, anche questo in muratura e con fondo lastricato, con una scala angolare di due e sei gradini. Nel riempimento si rinvennero frammenti di un leveraggio di legno utilizzato per attingere l'acqua; da segnalare il rinvenimento, nel medesimo riempimento, di molte ciotole che contenevano varie specie di frutti, offerte a una divinità ctonia negli ultimi giorni di vita del palazzo. Una delle ciotole conteneva olive che si sono conservate con la loro polpa.
Le altre due ali del palazzo, a N e a S, erano costituite da ambienti di servizio, magazzini, cucine, laboratori. Il grande ambiente a O del portico colonnato Ν del cortile centrale era adibito a cucina, come indica il rinvenimento di molte ossa di animali, che dimostrano una preferenza per pietanze a base di carne, e di apprestamenti per la cottura. I vani adiacenti a E colmi di oggetti da cucina sono probabilmente ambienti di servizio. Anche al pianterreno i muri erano di mattoni crudi su zoccolo di pietra.
L'ala S è un complesso quasi indipendente, accessibile direttamente dal cortile centrale e dal passaggio laterale dell'ingresso S. L'ingresso principale, con una grande soglia di pietra calcarea, era al centro della facciata verso il cortile. A destra di questo una scalinata portava agli ambienti del piano superiore. Da un piccolo vestibolo si passava in un'ampia sala con colonna centrale, pavimento di calce e ciottolini con pannelli ornamentali rettangolari di mattoncini, e banchine stuccate lungo i muri ヘ e S. All'angolo SO, sulla banchina, si rinvenne una piccola pentola tripodata di bronzo. L'insieme degli ambienti sembra sia stato adibito all'immagazzinamento di ceramiche e suppellettili per uso del palazzo, ma non si esclude che alcuni possano essere serviti di appoggio ad attività artigianali, come mostrano un blocco di marmo con taglio di sega non portato a termine, un bacino rettangolare in pòros, alcuni trituratori, bracieri (preparazione di profumi). Un grande mortaio di pietra è collocato nell'angolo NE di uno degli ambienti dove è probabile fosse in funzione un laboratorio per la lavorazione di piccoli oggetti in vari materiali. Piccoli oggetti realizzati in cristallo di rocca, come due capocchie di spilloni e pomelli per le impugnature di spade, si rinvennero assieme a un grande nucleo dello stesso materiale. Frammenti di faïence appartenevano a statuine, mentre diversi vasi in pietra non erano ancora stati portati alla fase finale di lavorazione. Tra gli oggetti finiti si distinguono un piccolo tritone di clorite, una lampada di porfirite con coroncina di fiori a rilievo sull'orlo, un piccolo kèrnos a tre elementi e una pisside cilindrica di pietra nera con venature rosse. Diversi utensili in bronzo erano forse utilizzati nell'officina dei piccoli oggetti, mentre un gruppo di pesi in pietra e in terracotta sicuramente apparteneva a un telaio collocato al piano superiore.
Il sistema di canalizzazione del palazzo è stato messo in evidenza principalmente nell'ala E, dove i pavimenti delle stanze erano andati distrutti. Era costituito da condotti in muratura e in terracotta che servivano al drenaggio delle acque piovane e se ne sono incontrati tratti sotto al pavimento dell'appartamento reale e poco più a S, sotto il pavimento del cortile lastricato di NE, sotto il lato Ν della sala del trono e a E di questa. Gli stessi condotti raccoglievano, da discendenti, anche le acque dei tetti.
Subito a S dell'ala O si estende un'ampia area scoperta racchiusa da un lungo muro di recinzione che doveva delimitare uno dei giardini del palazzo. Un altro giardino si estendeva a NE racchiuso da un lungo muro che partiva dall'angolo SE del palazzo in direzione S, includendo un pozzo in muratura utilizzato per l'irrigazione nel cui riempimento si rinvennero frammenti di anfore cananee riutilizzate per attingere acqua. Il grande giardino chiuso da questi muri doveva essere forse un frutteto, irrigato con le acque del pozzo.
Il cortile occidentale del ¡ palazzo ebbe due fasi: iniziai- 1 mente lastricato con ima leggera pendenza da Í verso S, venne trasformato in due terrazzi di altezza diseguale sostenuti da lunghi muri di contenimento. Una larga rampa a gradoni a O del cortile portava verso il settore Ν dell'abitato della città.
Al di sotto dell'ala E sono stati scoperti resti di edifici databili a un'epoca anteriore alla fondazione del palazzo. Un grande complesso di vani si trova E del cortile lastricato di NE, ma anche, per una fase, al di sotto di quest'ultimo. L'edificio, ben conservato in elevato per una certa altezza, è orientato secondo un asse in rapporto con quello del palazzo. La sua posizione, la sua architettura, la buona qualità della costruzione e le sue dimensioni, oltre alla ricchezza dei rinvenimenti, hanno indotto lo scavatore a riconoscervi parte di un palazzo più antico situato all'incirca nella stessa area. Questo più antico palazzo avrebbe avuto un cortile centrale da localizzarsi al di sotto di quello neopalaziale. Fra i rinvenimenti vi erano frammenti di pitture parietali e ricca ceramica che data la prima fase dell'edificio al periodo protopalaziale. La ceramica degli strati superiori mostra peraltro che il complesso venne utilizzato anche nella prima fase neopalaziale (c.a 1700-1600). Coevi sono i resti di una fornace, impiantata sulla terrazza Ν del complesso e costituita da una grande camera di combustione e da quattro canali di aerazione, struttura che è stata ritenuta adibita alla fusione di metalli.
Sulle colline attorno al palazzo, a NE e a SE, si estende la città, il cui impianto urbanistico non differisce di molto da quello di altri noti abitati neopalaziali, come quelli di Gournià e di Palaikastro. E formata da vasti isolati rettangolari, ciascuno dei quali comprende due o tre case distinte, separati da un sistema di stradine lastricate, in molti casi con gradini, sulle quali si aprono le porte e le finestre delle abitazioni. Poiché la città era costruita sulle pendici delle colline, le costruzioni sono disposte nella maggioranza dei casi a terrazzi sovrapposti. Il problema dei dislivelli del terreno era risolto all'esterno con vie gradinate e rampe, mentre all'interno si operava tramite terrazzamenti artificiali combinati con tagli nella roccia naturale e livellamenti con materiale di riporto. I diversi livelli erano tra loro raccordati con scale e spesso per raggiungere gli scantinati venivano utilizzate botole. Di frequente la stessa casa ha due o anche tre ingressi che portano a complessi indipendenti di vani.
La disposizione interna delle case presenta una grande varietà: quasi tutte sono molto grandi, diverse hanno oltre venti ambienti al pianterreno e altrettanti al piano superiore e raggiungono un'estensione di oltre 200 m2. Gli ambienti al pianterreno erano in genere piccoli magazzini, cucine e luoghi di servizio. Spesso al pianterreno si trova una stanza più spaziosa con elemento di sostegno centrale che serviva come area di lavoro domestico o artigianale. Vicino a questi spazi o agli ingressi si trovano le scale che portavano ai piani superiori dove erano i quartieri di abitazione, spesso accessibili direttamente dalla strada tramite scale esterne.
Subito a Ν del palazzo si estendevano diversi tra i più importanti edifici della città. L'«Edificio obliquo», a NO, scavato da Hogarth, presenta due fasi struttive ed è diviso in due parti da un lungo muro con direzione N-S; è fornito di un impianto per la lavorazione del vino e di magazzini. Nella fase finale dell'edificio erano state create due sale con pavimento a pannelli di stucco.
L'«Edificio G», a NE del precedente, pure scavato da Hogarth, ma ancora esplorato nei nuovi scavi, ha una facciata assai imponente in tecnica ciclopica e una pianta quasi quadrata. L'ingresso presenta un atrio colonnato secondo modelli palaziali. L'atrio e la contigua anticamera sono lastricati, mentre una vasta sala occupa la maggior parte del settore centrale del pianterreno.
L'«Edificio delle doppie porte», a O del precedente, ha preso il nome dalle caratteristiche porte dei lati Ν ed E della stanza più grande del pianterreno. Le rimanenti stanze del pianterreno erano usate come laboratori e magazzini. Con una scala di legno si raggiungeva il piano superiore.
L'«Edificio fortificato», immediatamente a Ν della porta centrale del palazzo, fu così denominato per la facciata ciclopica; era costruito su tre terrazze a livello diverso e conta al pianterreno ventiquattro ambienti. Tra questi erano una grande stanza con colonna, un sistema di magazzini, una cucina, aree di lavoro e un piccolo pozzo di luce lastricato. Svariati oggetti, tra i quali diversi anche in pietra, si rinvennero nelle camere e nei magazzini dell'edificio, mentre altri erano caduti dal piano superiore. Significativo è un piccolo vaso in pietra con dodici anse su tre file verticali riproducente la forma di un pìthos con decorazione a cordonature. Da un livello più basso di una delle stanze del lato S si sono recuperati frammenti di un rhytón a testa taurina in clorite, alcuni rivestiti esternamente di foglia d'oro.
In una delle stanze dell'«Edificio della torretta» si rinvenne un frammento di rhytón a rilievo in steatite con raffigurazione di delfini, di eccezionale qualità artistica.
Notevoli erano anche le case scavate lungo i due lati della via del porto. L'«Edificio delle Nicchie» così denominato per le due serie di rientranze (armadi a muro) intonacate lungo due pareti di un ampia stanza, apparteneva forse a uno dei funzionari del palazzo.
In uno degli ambienti dell'«Edificio Est» si rinvennero diversi oggetti da toletta, tra cui specchi, pinzette per depilazione, frammenti di piccole pissidi in avorio, oggetti di faïence, vasi in pietra.
La «Casa del polỳthyron», a Ν della strada del porto, con un'interessante disposizione interna, presenta una sala con polỳthyron e un grande vano di ingresso, dal quale partiva una bella scala di pòros che dopo un pianerottolo si divideva in ali separate. In una delle stanze si rinvenne una lampada di marmo venato con due lucignoli.
Un altro quartiere della città è stato scavato in anni recenti sulla collina di NO, nella zona della «Casa A» scavata da Hogarth all'inizio del secolo. Si sono rinvenute altre tre case che hanno restituito ceramica di buona qualità del Tardo Minoico IA, utensili e piccoli oggetti in bronzo.
La città si estendeva anche sulla collina di Haghios Antonios a SO del palazzo. L'urbanistica e la strutturazione interna delle case presentano anche qui i medesimi caratteri di base dei quartieri del colle settentrionale. Nella maggior parte delle case sono presenti impianti per la produzione dell'olio e del vino. Il più notevole degli edifici era la «Casa B» sulle pendici NE della collina. Aveva facciate ben costruite, due ingressi con soglie monolitiche, oltre venti vani al pianterreno, due vani scala e una veranda. In un ambiente particolarmente curato, con pavimento lastricato e con un sistema di drenaggio costituito da tubature in terracotta, era incassato un torchio per l'uva. Abbondante ceramica del Tardo Minoico IB e molti vasi da immagazzinamento costituivano la suppellettile della casa.
Ampia era anche la «Casa A», poco più a E. La stanza più spaziosa era utilizzata per attività agricole, come mostrano un frantoio in muratura e molti utensili in pietra rinvenuti nel riempimento.
In questa e in altre case della collina era avvenuta una limitata rioccupazione nella seconda metà del XIV sec. a.C., come indica un bel rhytón conico con raffigurazione di polipo stilizzato e un oggetto dello stesso stile in forma di capanna circolare con tetto conico.
A E della «Casa A» un altro edificio aveva un apprestamento per frantoio: il collettore, un grande pìthos per il mosto, era ancora in situ.
Per la sua forma architettonica è interessante anche la «Casa Δα», scavata in epoca più recente, in cui la maggior parte delle stanze ha pavimenti di lastrine di pietra; presenta un ambiente con polỳthyron, due scale e una grande stanza con colonna centrale. L'edificio aveva due ingressi, ciascuno dei quali serviva un sistema indipendente di vani. Al di sotto dei pavimenti dell'ultima fase della casa si rinvennero ambienti più antichi.
resti identificati come quelli di un primo palazzo e la città più antica rimasero in funzione dal XIX sec. a.C. fin verso il 1700; l'area del palazzo, con varie modifiche, venne utilizzata ancora per un secolo, fino al 1600 a.C. circa, quando si rese urgente la necessità di costruire un palazzo realizzato con criteri più moderni, secondo i modelli degli altri palazzi di Creta.
palazzo del Tardo Minoico I e la città vennero danneggiati intorno al 1500 a.C. e definitivamente distrutti verso il 1450, come mostrano diversi rifacimenti, riparazioni e aggiunte avvenuti in questo periodo finale. Le distruzioni, coeve a quelle di altri centri minoici, sono state poste in relazione anche con l'attività del vulcano di Thera. Alcuni elementi come la presenza di numerosi frammenti di pomice e di masse con inclusioni in zolfo negli strati di distruzione sono stati portati a sostegno di questa ipotesi. Sembra che la catastrofe finale sia stata preceduta da forti scosse di terremoto. Le offerte effettuate negli ultimi momenti di vita del palazzo nel pozzo di SE, tra cui ciotole con pomice, forse miravano a placare la divinità. I terremoti provocarono incendi su vasta scala che si estesero rapidamente lì dove erano strutture lignee e pìthoi contenenti olio. L'assenza di vittime umane testimonia l'affrettata fuga degli abitanti che avevano preso con sé solo gli oggetti di maggior valore.
Presso il moderno villaggio di Z., è stata scavata un'importante fattoria, costruita su terrazze alle pendici di una collina. L'ampio edificio comprendeva diversi impianti agricoli, magazzini con grandi pìthoi (uno recava nella parte alta un'iscrizione con ventisei segni di scrittura Lineare A) e ambienti residenziali. Anche qui vi è un frantoio in muratura con due vasche per la pigiatura dell'uva e una per la raccolta del mosto. I muri della fattoria, che si data al XV sec. a.C., erano decorati con belle pitture a motivi vegetali e ornamentali.
La necropoli di epoca palaziale non è stata ancora individuata. Diverse tombe nelle grotte della gola che collega l'odierno villaggio di Epano Z. con Kato Z. si datano al periodo prepalaziale o agli inizi del protopalaziale. I corredi comprendono molti oggetti in pietra e in ceramica. In una piccola grotta allo sbocco della gola nella valle si rinvennero sepolture intatte contenenti vasi dello stile di Vasilikì e di argilla grigia decorati a incisione con motivi geometrici. Si è recuperata, tra l'altro, un'interessante pisside di scisto ornata con fitti motivi geometrici incisi, il cui coperchio aveva una presa configurata nella forma di un cane disteso, in tutto simile a quella di un altro esemplare proveniente dalla necropoli minoica di Mochlos.
Un santuario delle vette si trovava in posizione dominante sulla gola, come dimostrano alcuni rinvenimenti, tra cui un deposito di vasi e una figurina di adorante del tipo Petsophàs.
In località Pezoules, su una delle pendici a SO del palazzo, sono stati scavati due recinti rettangolari risalenti agli inizi del Protopalaziale. Le circa duecento sepolture recavano diversi oggetti di corredo, vasi in pietra e in argilla e pochi piccoli oggetti, tra i quali sigilli incisi con motivi lineari.
Bibl.: In generale: N. Platon, Zakros. The Discovery of a Lost Palace of Ancient. Crete, New York 1971; id., Ζακρος. Το νεον μινωικον ανακτορον, Atene Ι974.
Rapporti di scavo: D.G. Hogarth, Excavations at Zakro, Crete, in BSA, VII, 1900-1901, p. 121 ss.; N. Platon, in Prakt, 1961 ss. V. inoltre: N. Platon, A New Minoan Palace, in Archaeology, XVI, 1963, pp. 269-275; id., A New Major Minoan Palace Discovered. First Excavations at Kato Zakro, I, in ILN, CCXLIV, 1964, pp. 312-314; id., A New Major Minoan Palace Discovered in Crete. Unique and Beautiful Objects from Kato Zakro, 2, ibid., n. 6501, pp. 350-353.
Studi e ricerche particolari: G. Huxley, The Ancient Name of Zakro, in GrRom- ByzSt, VIII, 1967, pp. 85-87; N. Platon, Η τελικη καταστροφη των μινωικων ανακτορων, in Πεπραγμενα του Β ' Διεθνούς Κρητολογικου Συνέδριου, Ρέθυμνο ν 1966, Atene 1968, ρρ. 220-229; id., La destruction volcanique du centre palatial de Zakros, in Acta of the Ist International Scientific Congress on the Volcano of Thera, Atene 1971, pp. 395-402; M. J. Becker, Human Skeletal Remains from Kato Zakro, in AJA, LXXIX, 1975, pp. 271-276; N. Platon, W. C. Brice, Ενεπίγραφοι πινακίδες και πίθοι γραμμικου συστηματος A εκ Ζακρου. Inscrìbed Tablets and Pithoi of Linear A System from Zakro (Βιβλιοθηκη της εν Αθηναις αρχαιολογικης εταιρειας, 85), Atene 1975; Ν. Platon, Μεταλλουργικο καμινι στη Ζακρο της Κρητης, in Πεπραγμενα του Δ' Διεθνους Κρητολογικου Συνεδριου, Ηρακλειον 1976, Atene 1980, ρ. 436 ss.; Ch. Boulotis, Ein Gründungsdepositum im mimischen Palast von Kato Zakros. Minoisch-mykenische Bauopfer, in AKorrBl, XII, 1982, pp. 153-166; J. G. P. Best, The Zakro Pithos Inscription again, in Talanta, XIV-XV, 1982-1983, pp. 9-15; N. Platon, The Minoan Palaces. Centres of Organization of a Theocratic Social and Political System, in O. Krzyskowska (ed.), Minoan Society, Bristol i983, PP- 273-276; J. Weingarten, The Zakro Master and His Place in Prehisto- ry (Studies in Mediterranean Archaeology. Pocket-books, 26), Göteborg 1983; A. Brown, A. A. D. Peatfield, Stous Athropolithous. A Minoan Site near Epano Zakro, Sitias, in BSA, LXXXII, 1987, pp. 23-33; Y· Tzedakis, S. Chryssoula- ki, Y. Venieri, e altri, Les routes minoennes. Le poste de Χοιρομανδρες et le centràle des Communications, in BCH, CXIV, 1990, pp. 43-65.