WERNER, Zacharias
Poeta drammatico tedesco, nato a Königsberg il 18 novembre 1768, morto a Vienna il 17 gennaio 1823. Natura geniale ma caotica e impura nella vita come nell'opera, fu una drammatica espressione del pesante travaglio attraverso cui il romanticismo dovette affaticarsi per compenetrare di sé la realtà. Mistico allo stesso tempo e sensuale, facile preda delle sue visionarie, quasi allucinate immaginazioni e altrettanto facilmente portato a ricercare nella mita la tangibile materialità in cui essa si attua, malato di sogni e malato ancora più di disgusto di sé e di nausee, libertino e penitente, torbido e abulico, senza nessuna capacità di controllo su sé medesimo e di resistenza agli stimoli del mondo esterno, trascorse un'esistenza disordinata, smaniosa e morbosa, sbandata in ogni direzione. Tre volte sposato - la prima volta nel 1792 con una donna di facili costumi, la seconda nel 1799 con una donna di facili avventure, la terza nel 1801 con una polacca diciottenne che non capiva il tedesco ma aveva "eine glühende Phantasie" - e tre volte divorziato, non trovò nel matrimonio se non delle parentesi alla più comoda dissolutezza extraconiugale; impiegato svogliato, prima nella Polonia allora prussiana, nel 1793 a Piotrków, nel 1794 a Plock, dopo il 1796 a Varsavia; poi, nel 1805, a Berlino, non svolse attività pratica di qualsiasi rilievo. Negletto, sporco - negli abiti impolverati, unti, intabaccati come nei fondi così spesso lutulenti della sua vita sensuale - non ebbe nella sua esistenza se non un centro solo: la fede nella poetico-mistica missione a cui si credeva chiamato.
E da questo nacque anche tutta - o quasi - la sua opera. Iniziato ai misteri del misticismo massonico dell'epoca, pensò dapprima a una religiosa rigenerazione dell'umanità attraverso l'opera di una setta segreta; e i Söhne des Thales, iniziati nel 1800 con stile schilleriano e pathos a fondo umanitario, arricchiti nella seconda parte - fra il 1801 e il 1803 - con l'esperienza della nuova religiosità e della nuova poesia romantica, sono precisamente l'opera tipica della sua utopia massonica. Nella seconda parte già vi domina l'idea della morte come forza sublimatrice; ed è nella luce di questa idea che egli evocò poco dopo due fra i momenti fondamentali nella storia del suo popolo: la diffusione del cristianesimo nei paesi ancora pagani del Baltico (Das Kreuz an der Ostsee, 1806, incompiuta) e la rivolta di Lutero contro la Chiesa di Roma (Luther oder die Weihe der Kraft, 1807).
Das Kreuz an der Ostsee - se si tien conto di quanto E. Th. A. Hoffmann riferisce intorno a singole scene della seconda parte perduta - è, pur nella sua caoticità, l'opera di più alta - forse - e complessa ispirazione che il W. abbia immaginato, e precorre, per certi riguardi, il Molocch di Hebbel; Die Weihe der Kraft è l'opera di più efficace plasticità teatrale che egli avesse fino ad allora composto. Ma l'antica utopia massonica fece posto nella sua fantasia - sempre più decisamente - a una nuova utopia erotico-mistica, che riempì le sue nuove opere di una romantico-patologica poesia ebbra di torbide voluttà di amore e di morte, di esasperata sessualità e di esaltato martirio (Attila, König der Hunnen, 1808; Wanda, Königin der Sarmaten, 1810). È un mondo in cui gli uomini non vivono più, ma "sono vissuti" i da forze arcane che li esaltano e li annientano. Se si toglie a un tale mondo la luce mistico-poetica in cui W. cerca di trasfigurarlo, è già un mondo molto vicino a quello fatalisticamente brutale che - movendo in origine da un suggerimento di Goethe - W. rappresentò in Der vierundzwanzigste Februar (1809; prima rappresentazione a Weimar, 1810): per il suo realismo e per la sua teatralità il breve dramma ha dato origine a tutto un nuovo - per quanto effimero - genere letterario: la "Schicksalstragödie"; ma il fato che vi impera non ha più nulla a che fare col fato antico, e nemmeno con la fatalità romantica: la vita è ridotta a un'allucinata immagine di terrore.
Intanto W., lasciata Berlino, era andato errando per l'Europa. Fu a Weimar presso Goethe che gli si mostrò benigno. Fu a lungo a Coppet poète dramatique, secondo la sua propria definizione, et professeur d'amour presso Madama di Staël. Ma l'inquietudine interna non gli lasciava requie. Nell'autunno del 1809 giunse in Italia; e la brutalità del suo diario mostra lo stato patologico del suo spirito. E mostra anche come la conversione al cattolicismo - avvenuta nel 1810 - fu per lui la liberazione. Come tanti altri aspetti del romanticismo, anche la tendenza cattolica prese in lui corpo di realtà. Tuttavia la vena poetica s'inaridì. La palinodia Die Weihe der Unkraft (1814), le tragedie Kunigunde die Heilige (1814) e Die Mutter der Makkabäer (1820) non riescono più a dare alla sua poesia un nuovo volto. Trasferitosi nel 1813 da Roma a Vienna, l'attività naturale del convertito fu quella dell'apologeta: ricevuti gli ordini religiosi, divenne a Vienna - fra tutti i predicatori - quello che con più colorita potenza descriveva e deprecava il peccato.
Bibl.: J. E. Hitzig, Lebensabriss Z. W.s, Berlino 1823 (importante come fonte diretta per la biografia); H. Schütz, Z. W., Biographie und Charakteristik, Grimma 1841; J. Minor, Die Schicksalstragödie, Francoforte sul M. 1883; F. Poppenberg, Z. W., Mystik und Romantik in den "Söhnen des Thals", Berlino 1893; E. Vierling, Z. W., la conversion d'un romantique, Parigi 1908; G. Gabetti, Il dramma di Z. W., Torino 1916; P. Hankamer, Z. W. Beitrag zum Studium der Persönlichkeit in der Romantik, Bonn 1920; F. Stuckert, Das Drama Z. W.s, Francoforte sul M. 1926; G. Carow, Z. W. und das Drama seiner Zeit, Lipsia 1933; H. Breyer, Das Prinzip von Form und Sinn im Drama Z. Werners, Breslavia, 1933.