SERIMAN, Zaccaria
– Nacque a Venezia il 9 novembre 1709, primogenito di Diodato Sceriman, membro di una ricca e nobile famiglia di mercanti di origine armena trasferitasi dalla Persia nella città lagunare sul finire del XVII secolo per sfuggire alle persecuzioni contro i cattolici, e di Elisabetta Torninben.
A Venezia Seriman (come preferì firmarsi, italianizzando ulteriormente il cognome di famiglia) trascorse gran parte della sua vita, forse con la sola eccezione degli anni dal 1721 al 1725, passati a Bologna per concludervi gli studi giovanili presso il collegio gesuitico dei Nobili di S. Saverio. Un soggiorno che gli permise di accostarsi anche ad altri ambienti culturali felsinei, quali l’Università e l’Istituto di scienze e arti, dove s’era avviato il confronto tra le teorie cartesiane e la filosofia newtoniana.
Da queste frequentazioni derivarono i primi interessi filosofici di Seriman, rivolti sì agli autori antichi, ma sempre più orientati verso i moderni Leibniz, Locke e Spinoza, la cui conoscenza traspare dal suo primo scritto, l’Aristippo (Venezia 1744), un poema in endecasillabi nel quale affrontò il tema della felicità e della tranquillità dell’animo propendendo verso un moderato epicureismo.
In precedenza aveva preso il titolo di abate e si era legato ai protagonisti di quel rinnovamento culturale veneziano che nel Giornale de’ letterati d’Italia di Apostolo Zeno e nelle sue proposte di riforma del teatro melodrammatico aveva trovato i principali punti di riferimento. Proprio di un melodramma fu autore Seriman nel 1747: il Caio Marzio Coriolano, con il quale si fece interprete dei principi zeniani attingendo alla storia per la scelta tematica ed escludendo ogni trattazione amorosa. Un’ulteriore e ancor più evidente riprova di convinta adesione a queste stesse prospettive letterarie fu offerta poco dopo dai primi due tomi della sua opera maggiore, i Viaggi di Enrico Wanton alle terre incognite australi, ed al paese delle scimie, ne’ quali si spiegano il carattere li costumi le scienze, e la polizia di quegli straordinari abitanti... (I-II, Venezia 1749; poi Napoli 1750 e 1756, e successive ristampe), fittizio resoconto di un viaggio ambientato in un’immaginaria regione australe, i cui abitanti dalle sembianze scimmiesche si comportano però secondo gli usi e i costumi del nostro stesso mondo.
La materia avventurosa ed erotica tipica del romanzo sei-settecentesco, soprattutto di marca francese, viene qui sostituita da un contenuto satirico-filosofico di ben maggiore impegno e ambizione educativa, che si ricollega al Gulliver di Jonathan Swift e ancor più alle finalità pedagogiche e morali del suo apocrifo francese, Le nouveau Gulliver di Pierre-François Guyot Desfontaines (1731). Altrettanto evidente risulta poi la parentela con i ‘libri di lettere’ moralistici e satirici di Pietro Chiari, di Giuseppe Antonio Costantini e di Gasparo Gozzi che, sulla scia delle Lettres persanes di Charles-Louis de Secondat barone di La Brède e di Montesquieu (1721) e delle Lettres anglaises di Voltaire (1734), stavano riscuotendo in quegli stessi anni un notevole successo a Venezia. Nel «Paese delle scimmie», dove Enrico Wanton approda a seguito di un naufragio, è infatti facile riconoscere, capitolo dopo capitolo, descritti e censurati con modalità satiriche, tutti gli aspetti deteriori della vita e della società veneziana del tempo: dalle licenziosità del carnevale all’alterigia dei nobili, alla fatuità delle dame, alla ciarlataneria dei medici ignoranti, alla maldicenza delle chiacchiere nei caffè, alla vacuità del melodramma di matrice metastasiana e all’immoralità della commedia dell’arte, alla quale verrà poi contrapposta in positivo, nella seconda parte dei Viaggi, la commedia ‘riformata’ di Carlo Goldoni.
Sul finire del 1752 Seriman diede vita, sovvenzionandole e collaborandovi insieme a Girolamo Zanetti e a Gozzi, alle Memorie per servire all’istoria letteraria, un periodico che, ideato e diretto dal frate camaldolese Angelo Calogerà, a suo tempo tempestivo traduttore del Nouveau Gulliver (Venezia 1731), costituisce l’ultimo esempio di quel filone di giornalismo erudito derivato dal Giornale zeniano, dal quale si differenzia per una maggior libertà critica nei confronti dei libri recensiti e per lo spazio lasciato al dibattito che inevitabilmente ne derivava. Ben presto però Calogerà improntò il periodico a strumento di polemica antigesuita, entrando per questo in contrasto con Zanetti e poi con lo stesso Seriman, che nel 1758 ne sospese la stampa, a causa anche dei continui litigi con lo stampatore Pietro Valvasense, da lui finanziato e al quale aveva affidato la gestione di una sua libreria e della conseguente rete di scambi attivata con librai di tutta Italia.
Il successivo tentativo serimaniano di continuare le Memorie senza Calogerà, avviato nel 1759 con le Nuove memorie per servire all’istoria letteraria, non ebbe vita lunga, e si arenò definitivamente nel 1761, in coincidenza con l’affievolirsi di quella ventata di riformismo letterario di matrice enciclopedica manifestatasi a Venezia intorno alla metà del secolo e della quale Seriman s’era fatto interprete. I tratti di delusione a fronte di questo arretramento, e di scetticismo sulla perfettibilità morale dell’uomo, già presenti nei primi Viaggi, si manifestarono anche nei due nuovi tomi aggiunti nel 1764 alla riproposta dei primi, in quella che si configurò come l’edizione definitiva del romanzo, in quattro tomi pubblicati con il falso luogo di stampa di Berna (in realtà Bassano, presso gli stampatori Remondini): Viaggi di Enrico Wanton alle terre incognite australi ed ai regni delle scimie e de’ cinocefali... (rist. Napoli 1756-1775; Londra [ma Venezia] 1772; Berna s.d. [fine XVIII secolo] e traduzioni spagnole Alcalà-Madrid, 1769-1771; Madrid 1778, 1781 e 1800).
Composta negli anni immediatamente precedenti e ambientata in un altro immaginario regno australe, questa seconda parte delinea, attraverso i comportamenti delle sagge creature dalla testa canina incontrate da Enrico, l’immagine di una compagine sociale diametralmente opposta in ogni suo aspetto a quella della scimmie: basata su principi illuministici di ragionevolezza etica e civile e nella quale, superato il rinnovato travestimento satirico, si poteva agevolmente individuare la raffigurazione dell’Inghilterra contemporanea.
Sempre al 1764 risale il Foglio su cui qualcosa è stampata..., un opuscoletto apparso anonimo nel quale Seriman tracciava un vivace quadro delle vicende giornalistiche dei decenni precedenti, insistendo sulla novità rappresentata dai giornali in quanto strumento di diffusione e di svecchiamento culturale.
L’anno dopo fu la volta del Saggio sopra l’uomo (Londra [ma Venezia] 1765), traduzione dell’omonima opera di Alexander Pope che si segnala per essere la prima versione italiana in prosa, e la più aderente al testo originale rispetto ad altre comparse negli stessi anni; poi, tra il 1767 e il 1769, la traduzione dal francese di quella Storia della Repubblica di Venezia dalla sua fondazione fino al presente di Marc-Antoine Laugier che aveva suscitato al suo primo apparire, nel 1759, parecchie critiche, ora reiterate, per come vi erano imparzialmente ricostruiti diversi momenti della storia veneziana, in contrasto con la tradizione apologetica degli storiografi della Repubblica.
Da questa data in poi le poche lettere superstiti ci mostrano un Seriman alle prese con un grave dissesto economico, determinato dalle sue fallimentari iniziative editoriali, e sempre più defilato rispetto ai dibattiti culturali in corso. Da questa somma di delusioni e dalla speranza di ottenere qualche provento derivò forse il ritorno ai generi letterari che avevano contraddistinto i suoi esordi, a cominciare da La reggia di Calipso (Venezia 1769), una cantata a sette voci tratta da un tema del Telemaco di François de Salignac de la Mothe Fénelon, e proseguendo con Il matrimonio per astuzia (Venezia 1771), un libretto per opera buffa incentrato sui matrimoni per convenienza.
Si tratta di due operette che nulla aggiungono al profilo della sua produzione letteraria, conclusa con un anonimo Almanacco erudito per l’anno 1783... (Venezia 1783) nel quale, al pari di un precedente Almanacco per l’anno 1767 ad uso de’ Pedanti... (Venezia 1767), composto, come recita la chiusa del lungo titolo, a beneficio di ogni genere di persone per tutti i paesi del mondo, è possibile misurare, nel commento alle sentenze di Ovidio, Orazio, Marziale, Giovenale, Fedro proposte alla meditazione quotidiana del lettore, l’accentuarsi di un cupo pessimismo dell’autore nei confronti della propria epoca e dei suoi proclamati progressi.
Da lungo tempo ammalato e ridotto in miseria, morì a Venezia, in totale solitudine, il 22 ottobre 1784.
Fonti e Bibl.: Tracce dell’attività serimaniana si riscontrano in vari carteggi di letterati settecenteschi; in particolare in quelli di Angelo Calogerà (San Pietroburgo, Biblioteca Saltykov-Ščedrin, Mss., 915), Giuseppe Gennari (Padova, Biblioteca del Seminario, codd. 620 e 621) e Giovanni Lami (Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 3715).
B. Gamba, Galleria dei letterati ed artisti illustri delle province veneziane nel secolo decimottavo, II, Venezia 1824, p. 30; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant’anni, Venezia 1855, pp. 390-397; E. Bertana, Pro e contro i romanzi nel Settecento, in Giornale storico della letteratura italiana, XXXVII (1901), pp. 339-352; G.B. Marchesi, Romanzieri e romanzi italiani del Settecento, Bergamo 1903, pp. 11-46, 227-230; G. Ortolani, Voci e visioni del Settecento veneziano, Bologna 1926, pp. 97-133; M. Parenti, Un romanzo italiano del Settecento, saggio bibliografico su Z. S., Firenze 1948; D. Maxwell White, Z. S. and the «Viaggi di Enrico Wanton»: a contribution to the study of the Enlightement in Italy, Manchester 1961; P. Quaglia, Struttura unitaria e caratteri swiftiani nei “Viaggi di Enrico Wanton”, in Giornale storico della letteratura italiana, CLX (1983), pp. 481-505; S. Kiernan, The exotic and the normative in «Viaggi di Enrico Wanton alle Terre Australi incognite» by Z. S., in Eighteenth-Century Life, 2002, vol. 26, 3, pp. 58-77; F. Arato, Z. S., Aristippo e la prigione delle passioni, in Lo spazio tra prosa e lirica nella letteratura italiana. Studi in onore di Matilde Dillon Wanke, a cura di L. Bani - M. Sirtori, Bergamo 2015, pp. 15-26.