LILIO, Zaccaria
Nacque a Vicenza verosimilmente nella prima metà del XV secolo (verso il 1498 era ormai anziano) e appartenne al casato dei Lilii, in seguito noti come Zilio o de' Zilii. Le scarse notizie sulla sua vita sono limitate agli anni della maturità e per di più il primo biografo, Celso Rosini, seguito poi da altri, lo ha confuso con Zaccaria Ferrieri (morto nel 1522), canonico e vescovo titolare di Sebastea in Armenia.
Nel luglio 1492 il L. si trovava a Roma, dove assistette ai funerali di papa Innocenzo VIII nella basilica Vaticana, e probabilmente alla fine dello stesso anno, o all'inizio del 1493, entrò nella Congregazione dei canonici lateranensi.
La scelta di prendere i voti in età avanzata fu dettata - secondo quanto scriveva lo stesso L. al confratello Giandonato da Vicenza, in una lettera edita in fondo al suo trattato De miseria hominis et contemptu mundi - dall'urgenza di salvare la propria anima per il timore della pena dell'inferno, oltre che dalla meditazione sulle miserie umane. Alla decisione contribuirono con ogni probabilità anche l'impressione suscitata dalla morte del papa e l'esempio del canonico regolare veronese Matteo Bosso, alla cui guida il L. si affidò al momento della consacrazione e che, in una lettera scrittagli da Bologna nell'aprile 1493 (Rosini), gli ricordava la dissipazione della vita precedente, esortandolo a rimanere saldo nei propositi.
Il L. aveva ampie cognizioni di cosmografia e proseguì gli studi negli anni successivi all'ingresso nella Congregazione, come ricorda lo stesso Bosso in una lettera a lui indirizzata probabilmente nel 1498 (quando il L. doveva trovarsi a Napoli), in cui ne lodava lo spirito sostenendo che, nonostante l'età avanzata, si elevava sopra gli astri, libero dai legami del corpo (Familiares, n. CCXIIII).
In questo stesso periodo il L. si dedicò intensamente alla produzione letteraria, per lo più legata alla scienza cosmografica. L'opera di maggior successo nel campo è l'Orbis breviarium, uno studio della Terra impostato sulla descrizione di singole città, menzionate in ordine alfabetico.
L'Orbis non si presenta come opera originale, ma come una raccolta sistematica di quanto già era stato studiato e scritto dagli antichi e dai cosmografi di professione (il L. vi compendiò infatti testi di Solino, Pomponio Mela, Tolomeo, Strabone, Erodoto, Plinio il Giovane) ed è inoltre scarsamente aggiornata, in quanto l'autore non accenna al progresso degli studi sulla Terra e neppure alle grandi scoperte geografiche del suo tempo. Il trattato, che vide la luce a Firenze nel 1493 (A. Miscomini; Indice generale degli incunaboli [=IGI], 5760), ottenne un notevole successo, attestato dal fatto che fu ripubblicato per altre tre volte nell'arco di pochi anni - a Napoli nel 1496 (Aiolfo da Cantono; IGI, 5761); a Venezia intorno al 1505 (Giovanni e Gregorio De Gregori; IGI, p. 233); ancora a Venezia intorno al 1540 (P. Facolo) - e venne seguito da una traduzione in volgare, redatta alla metà del XVI secolo da Francesco Baldelli, che aggiunse anche i toponimi moderni, assenti nella versione originaria: Breve descrittione del mondo di Zaccheria Lilio vicentino, tradotta per m. Francesco Baldelli (Venezia, G. Giolito e fratelli, 1551).
Nel 1496 - per i tipi di F. Bonaccorsi, "impensa vero et sumptibus" di P. Pacini (IGI, 5762) - fu stampato a Firenze un nuovo libro del L. contenente cinque brevi trattati.
Il primo di questi, Deorigine et laude scientiarum, dedicato al canonico regolare di S. Agostino Gabriele Vicentino, passa in rassegna diversi rami di scienze e arti, soffermandosi sugli autori che le avevano coltivate, più che sull'origine delle discipline. Nel secondo, Contraantipodes, dedicato a un altro canonico - Agostino da Pavia - l'autore confuta con decisione le teorie sull'esistenza degli antipodi e sulla sfericità della Terra, traendo prova delle sue asserzioni dall'assenza di riferimenti di tal genere nella Bibbia, negli scritti antichi, oltre che nella Commedia dantesca; la fiducia nell'autorità del passato lo porta inoltre a sminuire la rilevanza delle coeve esplorazioni geografiche, cui accenna nel testo. Nel successivo, De miseria hominis et contemptu mundi, le riflessioni del L. vengono confermate con esempi ricavati da episodi storici; il quarto, dal titolo De generibus ventorum, raccoglie e compendia opere di cosmografi che avevano già affrontato questo tema. Nel quinto e ultimo, la Vita Caroli Magni - dedicato nuovamente a Gabriele Vicentino - il L. riporta un elenco semplice e preciso delle imprese di Carlomagno e dei suoi paladini, al fine di giungere il più possibile al nucleo della realtà storica, eliminando le interpolazioni di favole ed episodi incredibili.
L'attività del L. proseguì quindi con la stampa a Venezia, nel 1501 (S. Bevilacqua), dell'opera dal titolo De gloria et gaudiis beatorum, verosimilmente l'ultima alla quale lavorò prima di morire.
Lo scritto, di natura teologica e cosmografica allo stesso tempo, singolare per l'imitazione del Paradiso di Dante Alighieri, fu suddiviso dall'autore in tre libri; di questi, i primi due, Deuno Deo colendo e De immortalitate anime, affrontano il tema dell'unicità di Dio e dell'immortalità dell'anima e si accostano, per gli argomenti trattati, al De veris et salutaribus animi gaudiis dialogus di Matteo Bosso, pubblicato a Bologna nel 1491. L'influenza di Dante, il cui nome però non viene mai menzionato nel testo, emerge nel terzo libro, la Descriptio orbium coelestium, incentrato sulla descrizione dei cieli - dai pianeti, sede dei beati e corrispondenti ai diversi gradi di gloria, fino alla sfera delle stelle fisse, nonché al primo mobile e al cielo empireo - secondo il modello della terza cantica della Commedia.
Non conosciamo la data di composizione della De fugacitate et miseria rerum humanarum declamatio del L., pubblicata nel 1564 ad Anversa (J. Bellere) di seguito alle Ioannis Fabri episcopi Viennensis de miseria vitae humanae deque mundi contemptu homiliae XXXIV del vescovo di Vienna Johannes Fabri.
Il L., da ritenere ancora in vita nel 1501, quando vide la luce il De gloria et gaudiis beatorum, morì verosimilmente poco più tardi. Non è possibile fissare la data ma, di certo, non visse oltre il 1506, anno della morte del Sabellico, cui Pietro Calcedonio - nella premessa all'edizione dell'Orbis breviarium curata a Venezia dai De Gregori - ricorda la scomparsa dell'autore che, a Vicenza, gli aveva affidato poco prima il compito di far pubblicare la sua opera.
Fonti e Bibl.: M. Bosso, Familiares et secundae epistolae, Mantuae 1498, epist.CCXIIII; Id., Epistolarum tertia pars, Venetiis 1502, epist. VI;C. Rosini, Lyceum Lateranense, II, Cesenae 1649, p. 389; P. Calvi, Biblioteca e storia de' scrittori vicentini, III, Vicenza 1775, p. L; B. Morsolin, Un cosmografo del Quattrocento imitatore di Dante, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, VIII (1896-97), 1, pp. 58-84; T. Pesenti, La cultura scientifica: medici, matematici, naturalisti, in Storia di Vicenza, III, 1, L'età della Repubblica veneta (1404-1797), a cura di F. Barbieri - P. Preto, Vicenza 1989, p. 261; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, III, nn. 5760-5762 p. 233.