FRESCHI (David), Zaccaria de'
Secondogenito dei figli maschi di Giovanni David di Tommaso e di Elisabetta Pencini di Domenico, nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Martino di Castello, il 14 ott. 1456.
La carriera del F. - che apparteneva a famiglia "cittadina", donde tradizionalmente uscivano i quadri della burocrazia - seguì quella del fratello maggiore Tommaso, ancorché destinata a maggiori successi: divenne "ballottino" nel 1470 con un salario annuo di 12 ducati; quindi (21 nov. 1471) fu inserito nel ruolo degli ordinari e tre anni più tardi (3 giugno 1474) ebbe un primo ritocco degli emolumenti, trovandosi in Levante con i sindaci e provveditori Alvise Lando e Antonio Vitturi.
Non aveva che diciassette anni, e per l'occasione fu ammesso nel novero dei notai ducali. Nel settembre '77 troviamo il F. espletare il servizio di segretario alle dipendenze di Lorenzo Loredan, provveditore nel Bresciano, quindi (1478) recarsi al seguito di Girolamo Contarini, ambasciatore presso l'arciduca d'Austria-Tirolo Sigismondo. Nel corso del medesimo anno si recò a Udine con i provveditori Alvise Lando e Marco Pesaro, ai quali era stato demandato il compito di organizzare la difesa contro le incursioni turche.
Un codice di Memorie familiari, verosimilmente attendibile, afferma che il F. si recò a Firenze, nel '79, onde integrare l'operato dell'ambasciatore Bernardo Bembo, che non riscuoteva il consenso della Signoria nel difficile compito di salvare l'alleanza tra le due città; senonché non v'è traccia di questo incarico nei documenti ufficiali, mentre è certo che il fratello maggiore del F., Tommaso, era proprio a Firenze come segretario del Bembo nel '78, come già lo era stato nel '75.
Nei primi giorni d'aprile del 1480 fu nominato segretario del neoeletto ambasciatore a Costantinopoli, Nicolò Cocco, ufficialmente inviato presso Maometto II per dirimere talune controversie insorte tra i rispettivi sudditi, in realtà col compito di garantire la neutralità veneziana in occasione dell'ormai imminente sbarco turco a Otranto. La missione durò poco più di un anno, dal momento che il Cocco rientrò a Venezia il 5 luglio 1481; l'impresa di Puglia era fallita, Maometto II era morto e sul trono sedeva ora suo figlio Bayazid, cui il Senato deliberò di inviare un nuovo ambasciatore straordinario, per congratularsi. La scelta cadde su Antonio Vitturi, che giunse sul Bosforo il 1° ottobre dello stesso anno, in compagnia del segretario Alvise Manenti.
È possibile che in un primo tempo sia stato designato il F. nell'incarico, ma che poi gli sia subentrato il Manenti; l'errore del Cicogna (ripreso dal pur accurato studio della Neff) che scambia il F. col Manenti può essere dovuto a una diversa missione espletata dal F. al servizio di Antonio Vitturi, mandato nell'autunno 1482 provveditore nel Bresciano.
In precedenza, il 9 giugno 1482 il F. aveva ricevuto dal Collegio l'ordine di recarsi a Chioggia per collaborare col podestà Pietro Contarini, incaricato di organizzare il trasferimento della cavalleria veneta dal Padovano al Ravennate; e sempre in Romagna, a Rimini, egli fu mandato per non meglio precisate ragioni.
Dopo di che, per qualche anno tacciono le notizie sul F.; di certo nell'84 la Cancelleria gli raddoppiò lo stipendio, portandolo da 50 a 100 ducati annui, e subito dopo (3 novembre) a 115; questo probabilmente consentì al F. di pensare al matrimonio (5 aprile 1486) con Dorotea Zaccaria di Antonio, che gli diede almeno nove figli, prima di morire alla soglia dei trent'anni, il 30 luglio del 1500.
Il F. poteva ormai dirsi pienamente inserito tra le alte sfere della burocrazia e della stessa società veneziana; ricevette così un altro aumento degli emolumenti, che il 3 nov. 1488 furono portati a 130 ducati annui, per giungere a 135 nel '90: e che fosse ricco lo provano i diversi acquisti di proprietà fondiarie e immobiliari da lui effettuati nel Trevigiano, presso Oderzo, a partire dall'agosto 1494.
Dopo la guerra del Polesine, per circa un quindicennio, il F. si trattenne nella sua città: il 19 ag. 1488 figura, in qualità di segretario, fra i testimoni della condotta di Giovanni Della Rovere, assoldato dalla Repubblica; la cerimonia si ripeté il 12 marzo 1489, questa volta per Francesco Gonzaga. L'11 marzo 1495 appare malato, sicché la corrispondenza cifrata viene affidata pro tempore ad altra persona, ma venti giorni dopo eccolo nuovamente fra i testimoni a palazzo ducale, in occasione dell'alleanza antifrancese stipulata fra Venezia, il papa, l'imperatore, la Spagna e Milano; era stato materialmente il F. a predisporre la bozza del trattato; non stupisce quindi l'assiduità della sua presenza nelle diverse cerimonie che ne suggellarono l'applicazione, e neppure la sua promozione a segretario del Collegio.
In tale veste nel novembre 1498 egli fu l'interlocutore di Giovanni Alberto della Pigna, inviato a Venezia dal duca di Ferrara, Ercole d'Este, il quale si proponeva come mediatore tra la Repubblica marciana e quella fiorentina, onde por termine al conflitto pisano.
Per tale ragione (soprattutto, però, in seguito agli insuccessi riportati dalle truppe venete nel Casentino), il 4 genn. 1499 il F. venne mandato ambasciatore a Ferrara e il 7 fu ricevuto segretamente dal duca, assieme al della Pigna: a complicare le trattative stava l'irrisolta questione del rimpatrio dei Medici, che l'inviato toscano, Antonio Strozzi, escludeva categoricamente.
Di fronte all'irrigidimento di quest'ultimo, il 24 gennaio il F. riferiva che il duca Ercole "chiamoe l'orator fiorentino e li dipinse l'inferno", ma ogni pressione riuscì vana, sicché a fine mese i capi del Consiglio dei dieci richiamavano il F. in patria, dove giungeva il 1° febbr. 1499.
Il lodo risolutore fu pronunciato dal duca il 6 apr. 1499, ma intanto, nel corso di questi mesi, il F. continuò a mediare tra l'Estense e gli inviati fiorentini, Giovanni Battista Ridolfi e Paolo Antonio Soderini, senza che il suo prestigio traesse discapito dal cattivo esito di tanto adoperarsi; va detto però che qualche ulteriore elemento per spiegare la fortuna del F. può essere suggerito dal fatto che il doge, l'autoritario Agostino Barbarigo, lo proteggeva.
Probabilmente era una fiducia largamente condivisa a Venezia, come prova il fatto che in questo torno di tempo il F. si trovasse al centro di molta parte della corrispondenza estera. Egli infatti era tra i segretari che avevano accesso alla cifra, ossia erano abilitati non solo a leggere i dispacci, ma a corrispondere - ovviamente sotto debito controllo - con gli ambasciatori o gli inviati veneziani all'estero.
Uno di questi fili faceva capo ad Andrea Gritti, futuro doge e allora ricco e influente mercante a Costantinopoli. Per anni il Gritti, nel corso della guerra turco-veneta del 1499-1503, inviò in patria notizie riservate, e tutta questa corrispondenza venne filtrata dal F., che intanto, a partire dal 7 nov. 1499, era divenuto segretario del Consiglio dei dieci.
Sicché non stupisce che il 20 sett. 1502 - allorché si decise di inviare a Costantinopoli persona competente e fidata, per verificare la fondatezza di talune aperture - la scelta cadesse sul F., il quale lasciò Venezia una settimana più tardi.
La trattativa si rivelò subito difficile: la guerra non era andata bene per i Veneziani; per di più, la tardiva conquista di Santa Maura, avvenuta proprio mentre il F. era in viaggio alla volta di Costantinopoli, finì per irrigidire Bayazid, che si vedeva umiliato nel momento in cui mostrava di inclinare alla pace.
Il F., giunto alla corte del sultano il 7 dic. 1502, ricevette ben presto la visita del dragomanno turco Ali bey, e fu poi ricevuto dal visir che pretendeva la restituzione di Santa Maura come condizione sine qua non.
Questa condizione fu confermata al F. direttamente dal sultano, che lo ricevette il 21 dicembre, ossia in tempi insolitamente rapidi se rapportati al metro del cerimoniale levantino: e chiedeva una pronta risposta, voleva entro marzo l'assenso ducale. Tre mesi per andare e tornare da Venezia con la cattiva stagione costituiva di per sé impresa non da poco; inoltre a queste difficoltà oggettive s'aggiungeva un presumibilmente laborioso dibattito nel Senato.
Costantinopoli aveva dunque alzato il prezzo della pace avanzando richieste che il F. non poteva negoziare; invano egli cercò di trattare separatamente con i ministri, nel tentativo di far breccia: il gran visir Ahmed Hersekoglu si fece negare; Davud si chiuse nel lutto, quanto a Mustafà agà, non andò oltre generiche assicurazioni di fiducia. Il fatto è che gli Ottomani sapevano come a Venezia importasse soprattutto di ottenere la conferma delle capitolazioni commerciali del 1481.
La Signoria, infatti, voleva la cessazione delle ostilità, che venne conclusa rapidamente: il 27 apr. 1503 giungeva a Venezia, con preavviso davvero esiguo, il F., accompagnato dal dragomanno Ali bey bin Abdullah. Il F. aveva sottoscritto i capitoli della pace, solennemente promessa da Bayazid il 20 marzo, ma chiedeva la ratifica ducale, temendo di aver oltrepassato le commissioni ricevute. Probabilmente proprio il F. e Ali bey furono i primi a essere sorpresi dalla festosa accoglienza che Venezia riservò loro, dopo di che il 20 maggio il doge Leonardo Loredan giurava a sua volta sul Vangelo una pace che lasciava alla Repubblica Nauplia, Malvasia, Cefalonia e Zante, ma la obbligava alla cessione di Modone, Corone e Santa Maura, oltre al pagamento di un umiliante tributo.
Il F. ottenne così dal Consiglio dei dieci, quale ricompensa dei servigi prestati, un ufficio alla dogana dei panni a Mestre (26 luglio), con cui un anno dopo egli avrebbe potuto costituire la dote per la figlia Samaritana. Intanto però, qualche settimana più tardi, doveva lasciare nuovamente Venezia per recarsi in Dalmazia a fissare i nuovi confini coi Turchi. Era il completamento naturale della precedente missione; il 26 settembre si trovava a Zara, donde si recò a Cattaro e poi a Dulcigno, accompagnato dal sangiacco di Bosnia, Feriz bey.
Il 10 genn. 1504 il F. riferiva in Collegio sul suo operato, quindi, nei mesi che seguirono, fu incaricato di tenere i rapporti con gli ambasciatori turchi a Venezia, Mustafa bey e Yakub bey, a conferma di una non comune padronanza della mentalità e della politica ottomane.
Era però ormai un uomo finito, nonostante avesse appena cinquant'anni: nel 1506 riuscì ad accasare un'altra figlia, Giustina, con una dote di oltre 1.000 ducati, poi la podagra non lo lasciò più libero di muoversi: riferisce nei suoi Diarii il Sanuto, in data 17 febbraio 1507, che il Consiglio dei dieci provvide alla nomina di un altro segretario al posto del F., "el qual Zacaria per la impotentia sua non si pol exercitar".
Morì a Venezia il 31 ott. 1510 e fu sepolto nella tomba di famiglia, presso l'altar maggiore della chiesa di S. Zaccaria.
Fonti e Bibl.: La principale e più completa fonte in Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 165 (= 8867): Memorie dell'illustre famiglia de' Freschi cittadini originari veneti, cc. 7r, 30v, 31v, 32v-45v, 108v-109r, 110rv, 112rv, 114r-115r, 116r-117r, 118r-120v, 128r-134r, 136v-137r. Cfr. inoltre: ibid., 1667 (= 8459): Tabelle nominative e cronologiche dei segretari della Cancelleria ducale, cc. 2v, 24v; M. Sanuto, I diarii, II-VI, Venezia 1879-81, ad Indices; I Libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1901-1903, V, p. 315; VI, pp. 6, 10, 16, 26, 30, 32, 57, 65, 67, 71, 74 s., 77; I "Documenti turchi" dell'Archivio di Stato di Venezia, a cura di M.P. Pedani Fabris, Roma 1994, pp. 19 ss., 23, 25-29, 31, 34, 39, 42; E.A. Cicogna, Delle inscriz. veneziane, Venezia 1827-53, II, pp. 164-167; VI, p. 33; G. Scaramella, Il lodo del duca di Ferrara tra Firenze e Venezia, in Nuovo Archivio veneto, n.s., V (1903), 1, p. 18; M. Neff, A citizen in the service of the patrician State: the career of Z. de' F., in Studi veneziani, n.s., V (1981), pp. 33-61.