CALLIERGI (Callergi), Zaccaria
Nato nella città cretese di Retinino non più tardi del 1473, poteva vantare la discendenza dalla dinastia imperiale di Bisanzio, fatto questo che giustifica la presenza dell'aquila a due teste nel suo ex libris. Apparteneva alla famiglia di quel Giorgio Calliergis che un secolo prima era stato iscritto nel patriziato veneto e ammesso al Gran Consiglio della Serenissima, come premio per l'opera da lui prestata nella guerra di Chioggia contro Genova.
Niente è noto né dei suoi studi giovanili, né della sua prima formazione: appena ventenne giunse a Venezia, non ne conosciamo con precisione il motivo, ma probabilmente per approfondire gli studi, attratto dalle suggestioni del vivace ambiente culturale veneto e chiamato dagli amici cretesi, che numerosi avevano preso dimora nel territorio della Repubblica.
La prima notizia sicura sul C. è strettamente connessa alla stamperia di soli caratteri greci da lui fondata a Venezia, dalla quale l'8 luglio 1499 uscì il mirabile Etymologicum Magnum, il più completo lessico greco dell'età medioevale a noi pervenuto e l'esempio più significativo della cultura bizantina.
In questa editio princeps, con i fregi e le lettere iniziali stampate in rosso, la tipografia nascente cerca di offrire una riproduzione fedele dei lussuosi manoscritti greco-cretesi dell'età umanistica. Il titolo annuncia solennemente che il volume fu stampato a spese di Nicola Vlasto, per esortazione della principessa bizantina Anna Notaras e per abile lavoro del Calliergi. La prefazione fu redatta da Marco Musuro e indirizzata "ai professori di Padova". Non possiamo determinare quale sia stato il contributo scientifico dato all'opera da ciascuno di questi tre cretesi. Il Vlasto era un erudito commerciante cretese, copistá greco di opere rare, ma si può credere che egli non abbia potuto dare un valido aiuto filologico; il C. ne fu certamente il tipografo e il principale responsabile, ma per questa opera difficile si servì della collaborazione e dell'esperienza del suo concittadino Musuro, che aveva già cominciato a curare le prime edizioni di Aldo Manuzio e due anni prima aveva pubblicato il lessico greco-latino del dotto carmelitano Giovanni Crestoni.
Dalla prefazione dell'Etymologicum veniamo a conoscere che per stampare il libro s'impiegarono sei anni: da questa testimonianza si deduce che la fondazione della stamperia si deve porre verso il 1494, avvenuta con l'aiuto finanziario del Vlasto, il quale, nel 1498, ottenne dalla Repubblica veneta il privilegio decennale di stampare quel libro, secondo il modello "di bellettissime lettere greche, unide cum i suo' accenti, cossa che non fu mai facta né sì bona né cussì bella".
Tre mesi dopo la stampa del primo libro il C. pubblicò con i medesimi caratteri e con uguale eleganza il Commento di Simplicio alle Categorie di Aristotele.Così, dopo l'edizione degli Opera omnia di Aristotele e di Teofrasto portata a termine da Aldo Manuzio nel 1498, Si cominciarono ora a stampare gli antichi commentatori e le interpretazioni scolastiche dello Stagirita, destinate a portare un notevole influsso nella filosofia dell'ultimo Umanesimo e del Rinascimento. A questo proposito il C. doveva aver concepito un ardito disegno, se il suo finanziatore, il Vlasto, si faceva rilasciare dalla Serenissima un privilegio ventennale per l'edizione di tutti i commentatori di Aristotele.
Nell'anno seguente dalla stamperia del C. uscirono altre due opere: il Commento alle cinque voci di Porfirio di Ammonio Ermia e i Therapeutica di Galeno. Entrambi i volumi portano il nome del Vlasto e non hanno nell'exlibris l'aquila bicipite del C., ma non c'è dubbio che essi mostrano la medesima tecnica e i caratteri dell'Etymologicum e si può ritenere certo che non mancò la diretta collaborazione del valente tipografo.
Dopo la pubblicazione del Galeno la stamperia si ferma e sembra si sia interrotta la collaborazione tra il Vlasto e il C., il quale verso la fine del 1500 o nei primi mesi dell'anno successivo pose la sua dimora a Padova: da una sua lettera del 12 apr. 1501 sappiamo che mi quei giorni aveva trasferito a Padova la sua famiglia, in un'altra lettera dà all'amico Gregoropulo il nuovo indirizzo: Borgo Zocco davanti la fontana (oggi via Aristide Gabelli).
Si conclude così il primo periodo dell'attività editoriale del C. e per otto anni non abbiamo su di lui alcuna notizia precisa, ma possiamo pensare che egli in questo periodo sia vissuto copiando manoscritti greci. In Padova, come è esplicitamente affermato nelle sottoscrizioni, scrisse il Par. gr.2823 contenente due commedie di Aristofane e due tragedie di Euripide, il fiorentino Riccardiano 35 (le Argonautiche diApollonio Rodio), il bolognese Univ.2302 (opere naturali di Aristotele), i Riccardiani 15 e 41, in cui collaborò Costantino Mesobotes, un copista che nel 1508 scrisse a Padova il codice londinese Add. 9349.
In questa città il C. ebbe amici i dotti ellenisti che venivano a studiare e ad insegnare nell'università, dove nel 1503 anche Marco Musuro era stato nominato docente di greco. Una lettera di Erasmo da Rotterdam (Epist., n. 1347) ricorda una cena in casa Musuro, dove si scherzò sull'età dei commensali: erano presenti, oltre ad Erasmo e al padrone di casa, il padre del Musuro stesso ed "un giovane molto dotto, di nome Zaccaria". Il C. continuò a coltivare stretti rapporti anche con gli amici di Venezia: in una lettera all'amico cretese Giovanni Gregoropulo, dapprima capocorrettore nella stamperia del C. stesso e poi in quella di Aldo Manuzio, egli ringrazia e saluta l'umanista veneziano Pietro (Bembo), il dotto Battista (Egnazio), lo stampatore Gabriele (Braccio di Brisighella), Scipione Carteromaco "e tutti i membri della Neakademia ed in particolare modo il suo capo e guida".
Nel 1509 il C. ricomparve a Venezia per ridare vita alla sua stamperia. In quest'anno pubblica tre opere: l'Exapsalmata, una piccola raccolta di preghiere di 16fogli; il De officioregis di Agapito monaco, un opuscolo di 22 fogli; l'Horologion, uno stupendo volume di formato ridotto, in bella veste tipografica con i soliti caratteri rossi e neri, edito a spese di Giacomo de Penci (Pentius) da Lecco. Nella prefazione di quest'ultimo libro il C. annuncia di voler stampare opere greche di contenuto religioso, che cominciavano a diventare rare a causa del triste destino della Grecia. Egli dice, con chiara allusione al Manuzio, che ormai i poeti classici erano già stati pubblicati, non altrettanto si poteva dire per i libri usati dalla liturgia greca. In questa gara nell'arte della stampa il C. riservava quindi per sé il nuovo obiettivo, per il quale aveva ottenuto dalle autorità di Venezia la concessione di un privilegio che lo doveva garantire dalla concorrenza nel campo di lavoro da lui scelto.L'iniziativa non ebbe il successo desiderato e si concludeva rapidamente la seconda impresa editoriale del Calliergi. Le difficoltà economiche causate a Venezia dalla lega di Cambrai e il mecenatismo offerto alla cultura greca da Leone X, infine le sollecitazioni di Giacomo Mazzocchio, librario e tipografo della Sapienza, indussero il C. a cedere gran parte del suo materiale tipografico ai Giunti e a trasferirsi a Roma, dove non esisteva ancora una stamperia greca. L'aiuto del banchiere Agostino Chigi permise al C. di stabilire la sua nuova stamperia in una delle case che il suo protettore possedeva a Roma: e qui il 13 ag. 1515 pubblicò la famosa edizione di Pindaro, la prima che contenesse anche gli antichi scoli, munita di un privilegio quinquennale di Leone X: quest'opera costituisce il primo libro a caratteri greci stampato a Roma. L'editio princeps di Pindaro era già stata pubblicata a Venezia nel gennaio 1513 per i tipi di Aldo Manuzio; ma l'edizione romana riuscì sostanzialmente superiore e rimase per quasi tre secoli il testo più accreditato degli antichi scoli del grande lirico greco.
Il 15 genn. 1516 il C. pubblicò l'edizione di Teocrito, che comprendeva alcuni idilli fino allora inediti e gli scoli. Lo stesso editore nella prefazione scrive: "Trovai gli scoli sparsi in molti manoscritti e li raccolsi con molta fatica". Queste due edizioni romane furono stampate a spese di Cornelio Benigno di Viterbo, che aveva avuto il denaro in prestito dal Chigi, e portano entrambi due marchi di fabbrica: la solita aquila bicipite del C. e il caduceo, cioè la verga alata di Ermete, dio delle lettere, sormontata da una stella.
La stamperia greca del C. continuò a lavorare a pieno ritmo: il 12 marzo del 1516 uscì un piccolo libro dal titolo: Horae in laudem Beatissimae Virginis.Nell'anno seguente apparve la Sylloge dialecti Atticae di Tomaso Magistro, che poté essere pubblicata per il generoso aiuto di Michele Silvio, ambasciatore a Roma del re del Portogallo. Nello stesso anno, quasi continuazione dell'opuscolo precedente, uscì l'editio princeps della Sylloge Atticarum vocum diFrinico.
Dopo quasi tre anni di silenzio, nel 1520 il C. pubblica un'altra opera di liturgia greca, l'Octoechos, contenente gli inni in onore della Deipara secondo gli otto toni musicali: in questa fatica ebbe come collaboratore Giano Lascaris che corresse la pubblicazione servendosi di un codice appartenente alla biblioteca di Alberto Pio da Carpi. Nel 1522 la stamperia del C. presenta una nuova edizione degli Erotemata di Manuele Crisolora, insieme col trattato De formatione temporum di Demetrio Calcondila. L'anno seguente, il 27 maggio, appare l'ultima pubblicazione del C., il Magnum dictionarium graeco-latinum di Guarino Favorino (de Favera), un volume di 544 fogli di grande formato, dedicato al cardinale Giulio de' Medici e preceduto da tre epigrammi, il primo di Giano Lascaris, il secondo di Angelo Poliziano, il terzo di Scipione Carteromaco. Quest'opera, ristampata più volte, fu considerata dagli studiosi uno strumento prezioso per la comprensione dei classici greci, in quanto sostituiva il dizionario assai più modesto del Crastoni.
Dopo questa pubblicazione il C. abbandona la sua fatica di editore, ma continua l'attività che non aveva mai lasciato, quella di copista di codici greci. Non meno di trenta manoscritti sono opera della sua mano, e altri se ne vanno scoprendo, copiati con cura a lettere chiare e marcate, che in gran parte compariranno nei caratteri greci della stamperia. Il C. fu copista dotto e fedele di Erodoto, Aristofane, Sofocle, Euripide, Apollonio Rodio e Dionisio Periegeta, ma soprattutto trascrisse, forse come preparazione alle stampe che si era prefisso, Aristotele e i suoi commentatori (Simplicio, Alessandro d'Afrodisia, Giovanni Filopono): tutti questi manoscritti si trovano nelle collezioni di Parigi, del Vaticano, di Oxford, di Bologna, di Firenze, di Leida e dell'Escurial. Il codice più recente a noi pervenuto, copiato dalle sue mani, reca la data dell'ottobre 1524 (Vat. Ottob.49) ed è l'ultima testimonianza sicura sul C.: dopo questa data egli scompare e non si può fare che qualche congettura sulla sua fine. Si pensa che l'elezione di papa Adriano VI, che provocò una violenta mutazione dell'ambiente culturale di Roma, l'abbia indotto a interrompere le pubblicazioni e a cercare altrove protezione ed aiuto.
Fonti e Bibl.: A. Firmin-Didot, A. Manuce et l'Hellénisme à Venice, Paris 1875, pp. 544-578; E. Legrand, Bibliogr. hellénique des XVe et XVIe siècles, I, Paris 1885, pp. CXXV-CXXX, 55-62, 74-75, 94-96, 129-131, 134-136, 150-153, 172-178 (per le edizioni); III, ibid. 1903, pp. 210-211 (sempre per le edizioni); T. De Marinis, in Enc. Ital., VIII, Milano-Roma 1934, p. 423, s.v.; I. Irigoin, Histoire du texte de Pindare, Paris 1952, pp. 408-420; D. Geanakoplos, Bisanzio e il Rinascimento, Roma 1967, pp. 239-265. Per le edizioni, oltre al Legrand citato, si veda anche R. Proctor, The Printing of Greek in the Fifteenth Century, London 1900, pp. 117-122; H. F. Brown, The Venetian Printing Press, London 1891, pp. 43-44; E. Pastorello, Bibliografia storico-analitica dell'arte della stampa in Venezia, 1933, ad Indicem.Sui privilegi di stampa: R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana, in Archivio veneto, XXIII(1882), pp. 84-212 (soprattutto nn. 86 e 88, pp. 136-137). La lettera di Erasmo in OpusEpistolarum D. Erasmi Roterdami, a cura di P. S. Allen, V, Oxford 1924, n. 1347, p. 245. Le lettere inviate dal C. al Gregoropulo sono stampate in Legrand, Bibliographie hellènique…, II, Paris 1885, pp. 297-298; le stesse lettere e una lettera di Marco Musuro al C. in Firmin-Didot, Alde Manuce, pp.516-517, 525-528. Su C. copista: M. Vogel-V. Gardthausen, Die griechischen Schreiber des Mittelalters und der Renaissance, Leipzig 1909, pp. 125-126; E. Lobel, The Greek Manuscripts of Aristotle's Poetics, Oxford 1933, pp. 50-51; C. Patrinelis, Copisti greci…, in Epetiris tu Meseoniku Archiu, VIII-IX(1958-59), pp. 89-90; P. Canart, Scribes grecs de la Renaissance, in Scriptorium, XVII(1963), p. 63.