ARNOLFINI, Zabetta (Elisabetta)
Nacque a Lucca da Girolamo e da Chiara Guinigi. Nel 1540 sposò il concittadino Niccolò Diodati, da cui ebbe due figli, Niccolò e Pompeo. Era il Diodati un ardente seguace delle dottrine riformate predicate a Lucca, fra gli altri, da Celio Secondo Curione e dal fiorentino Pietro Martire Vermigli. Al momento della fuga di quest'ultimo, l'A., fervente cattolica, dissuase il marito dal seguirlo. Ma, rimasta vedova nel 1544, l'A. si avvicinò alcuni anni dopo alla Riforma, spintavi, come pare, dalle parole di un predicatore agostiniano. Difficoltà materiali, quali ad esempio quella dell'espatrio dei beni, impedirono l'immediata attuazione d'un piano di fuga oltralpe che l'A. progettò insieme con la sorella Maddalena e con il marito di costei, Benedetto Calandrini, che, malgrado la sua nota simpatia per la Riforma, aveva ricoperto importanti cariche nel governo ed era stato più volte Anziano.
Scatenatasi, però, a Lucca con insolito furore la repressione nel 1559 e fuggito a Ginevra anche Giuliano Calandrini, al quale l'A. era unita da promessa matrimoniale ( il nome del Calandrini compare già nel 1560 nei registri civili ed ecclesiastici ginevrini), il passo decisivo per l'esilio fu dato da uno dei due figli dell'A., Pompeo, che durante un viaggio compiuto nel 1562 in Piemonte e a Lione si era convertito al calvinismo. Tornato in patria, egli si diede a preparare la fuga della famiglia. Inaspritisi i provvedimenti repressivi, riparò nel marzo del 1566 a Lione, dove sei mesi più tardi lo raggiunsero la moglie, Laura Calandrini, figlia di Giuliano, e Zabetta.
Dopo un breve soggiorno a Lione, si stabilirono a Parigi, dove Pompeo acquistò la tenuta di Luzarches, a sette miglia dalla città. Qui, nel marzo del 1567, l'A. poté riunirsi con Giuliano Calandrini. Nel luglio dello stesso anno il governo lucchese le confiscava i beni e le ingiungeva, sotto pena di morte, di comparire, insieme con Pompeo, dinanzi al Consiglio generale. La sconfitta subita dall'esercito ugonotto a Saint-Denis l'11 nov. 1567 costrinse l'A. e la famiglia a seguire l'esercito del Condé nella ritirata e a riparare a Montargis, presso Orléans, dove trovarono ospitalità nel castello di Renata di Francia, duchessa di Ferrara. La pace di Longjumeau, stipulata nel marzo del 1568, permise all'A. ed ai suoi di tornare a Luzarches; ma nell'agosto del 1569, addensatisi di nuovo i pericoli, l'A. si rifugiò a Sedan, con la famiglia, nella speranza che la guerra avrebbe risparmiato le province settentrionali. Stipulata nell'agosto del 1570 la pace di Saint-Germain, l'A., nell'ottobre, poté tornare a Luzarches, il cui castello era stato nel frattempo saccheggiato. La strage della notte di San Bartolomeo (24 ag. 1572) costrinse per la terza volta l'A. e i suoi alla fuga; ella riparò nuovamente a Sedan, dove nel dicembre del 1573 morì Giuliano. Il perdurare delle torbide condizioni della Francia indusse l'A. e il figlio Pompeo a rifugiarsi a Ginevra, dove giunsero, dopo un soggiorno a Spa e ad Aquisgrana, il 5 maggio 1575.
Fin dal suo arrivo l'A., già innanzi con gli anni, regolò con il figlio Pompeo il conto delle spese da costui sostenute per il suo mantenimento fin dalla partenza da Lucca: in tutto 8150 lire tornesi; il 13 giugno dello stesso anno dettò al notaio Jacques Cousin il suo testamento, col quale lasciava eredi i figli Niccolò e Pompeo.
Morì a Ginevra il 14 dic. 1582.
Bibl.: C. Eynard, Lucques et les Burlamacchi, Paris 1848, pp. 209 s., 213, 240-245; J- B.-G. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIme et XVIIme siècles, Genève 1881, p. 152; B. Fontana, Renata di Francia duchessa di Ferrara,III, Roma 1898, p. 117; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese, in Riv. stor. ital., XLIX (1932), pp. 462, 465; L (1933), pp. 231-241.