Chahine, Youssef (forma francesizzata di Šähīn, Yūsuf)
Regista cinematografico egiziano, nato ad Alessandria (Egitto) il 25 gennaio 1926. Riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti registi arabi, C. è stato il principale fautore del rinnovamento del cinema egiziano, da lui perseguito con fermezza pur restando all'interno dei sistemi produttivi tradizionali. Dall'inizio degli anni Cinquanta a oggi la sua opera ha assunto proporzioni rilevantissime, non soltanto dal punto di vista quantitativo (33 lungometraggi e 6 cortometraggi), ma soprattutto per la coerenza e il rigore dimostrati in tutti i suoi film. La modernità del suo sguardo ha proceduto di pari passo rispetto alla militanza appassionata e alla libertà di opere che hanno coniugato un'attenta rielaborazione dei generi con la complessità figurativa della messa in scena. Articolata e densa di stratificazioni la composizione dell'inquadratura, all'interno della quale C. ha saputo accumulare significati e percorsi narrativi, riflessioni sulla società e sull'uomo. È stato, tra l'altro, il primo regista arabo premiato con il Tanit d'or alle Journées cinématographiques de Carthage per il film Ih̠tiyār (1970, La scelta). Nel 1997 gli è stata attribuita la Palma d'oro alla carriera al Festival di Cannes.Figlio di un avvocato con scarsi mezzi economici, C. ricevette un'educazione cattolica, frequentando, grazie ad alcune borse di studio, istituti religiosi e il prestigioso Victoria College di Alessandria. Tra il 1946 e il 1948 si trasferì negli Stati Uniti per studiare regia e recitazione al Pasadena Play House di Los Angeles. Tornato in Egitto, lavorò con l'operatore italiano Alvise Orfanelli, considerato il pioniere del cinema egiziano, e con il documentarista Gianni Vernuccio. Nel 1965 lasciò il suo Paese per il Libano a causa dei contrasti con la politica cinematografica attuata dallo Stato, e restò lontano dall'Egitto per un anno e mezzo. Nella sua carriera, che era iniziata nel 1950 con la commedia familiare Bāba Amīn (Papà Amin), C. ha avuto modo di attraversare più di mezzo secolo di storia egiziana raccontando le trasformazioni della società e della vita politica con realismo ma, al tempo stesso, lasciando affiorare un evidente omaggio ai generi più classici del cinema. In particolare il 1958 fu un anno importante per C. che realizzò due film esemplari: Bāb al-ḥadīd (Stazione centrale), interamente ambientato nella stazione ferroviaria del Cairo, e Ǧamīla al-Ǧazā᾽iriyya (Jamila l'algerina), sulla resistenza del popolo durante la guerra d'Algeria. Fu quest'ultimo, che racconta le vicende di una donna, capo della rivolta popolare, a segnare l'inizio della lunga collaborazione di C. con lo scrittore N. Maḥfūz. Bāb al-ḥadīd, invece, è un doloroso melodramma corale in cui vengono messi in luce personaggi solitamente lasciati ai margini della società. Lo zoppo Kināwī (interpretato dallo stesso C. che comparirà come attore anche in Faǧr yawm ǧadīd, 1964, L'alba di un nuovo giorno, e Iskandariyya, kaman wa kaman, 1990, Alessandria ancora e sempre), la giovane venditrice di limonate Hanīma, il facchino Abū Serīb si trovano a vivere un'esistenza clandestina in uno spazio ristretto, dove le tensioni e il disagio si accentuano fino a sfociare nel dramma. Il realismo dell'assunto si accompagna a una messinscena che rivisita le tonalità calde del melodramma e le rarefatte atmosfere del noir.Negli anni Sessanta C. continuò il suo viaggio poetico e politico con un cinema dal respiro sempre più ampio che spazia negli argomenti e nell'elaborazione del discorso, da al-Nāṣir Ṣalāḥ al-Dīn (1963, Saladino), in cui si rievoca la vita del sultano d'Egitto e Siria nel periodo delle crociate, alla descrizione del lavoro per la costruzione della diga di Assuàn in al-Nās wa al-Nīl (1968, La gente e il Nilo), prima coproduzione che unì Egitto e Unione Sovietica. al-Usfūr (1973, Il passero) è invece una profonda riflessione sulla guerra dei Sei giorni del 1967 in cui lo sguardo del regista si sofferma soprattutto sulle responsabilità e sugli errori del governo di Nasser, al punto che il film ebbe non pochi problemi di censura e fu fatto uscire soltanto nel periodo religioso del Ramadan, quando è consentita un'unica proiezione al giorno. Elementi dichiaratamente autobiografici sono rintracciabili nella trilogia composta da Iskandariyya lēh? (1978, Alessandria, perché?), al-Ḏākira (1982, La memoria) e Iskandariyya, kaman wa kaman, mentre la sperimentazione del linguaggio scorre di pari passo con una certa classicità di sguardo nelle sue opere più recenti: al-Maṣīr (1997; Il destino), primo titolo di C. uscito in Italia che ripercorre con accenti da musical la vita del filosofo Averroè nell'Islam del 12º secolo, e al-Āh̠ir (1999, L'altro), moderna storia d'amore, di corruzione e di spionaggio (non senza sofisticati sistemi telematici). Ancora al musical, infine, è ispirato il successivo Sukūt… ḥanṣawwar (2001; Silence… on tourne), melodramma di passioni e gelosie raccontato con sguardo leggero e gioioso e con stile effervescente.
"CinémAction", 1985, nr. monografico dedicato a Youssef Chahine, a cura di C. Bosséno.
"Cahiers du cinéma", 1996, nr. monografico dedicato a Youssef Chahine.
Y. Thoraval, Regards sur le cinéma égyptien, Paris 1996, pp. 71-78.
G. Gariazzo, Poetiche del cinema africano, Torino 1998, pp. 122-25 e 196-97.
G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 68-69.