Vedi Yemen dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Lo Yemen costituisce un’entità statuale unitaria dal 1990, anno della riunificazione della Repubblica Araba dello Yemen (nota anche come Yemen del Nord) con la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, di stampo socialista e corrispondente all’attuale area centro-meridionale del paese. A 16 anni dalla riunificazione e dopo la guerra civile del 1994, la vertenza nord-sud rimane ancora aperta e rappresenta uno dei piani paralleli di instabilità interna. A rendere intricato l’attuale panorama politico yemenita hanno influito una serie storiche criticità (clientelarismo, disgregazione dell’entità statuale, tribalismo, condizioni socio-economiche precarie, corruzione e malaffare, indipendentismo/secessionismo della regione di Aden e dell’Hadramawt) che hanno trovato nuovo vigore all’indomani del diffondersi del fervore rivoluzionario delle Primavere arabe del 2011. Ad alimentare la crisi politica-statuale interna hanno contribuito inoltre alcuni fenomeni legati alla violenza e alla sicurezza riconducibili talora alla penetrazione di al-Qaida nella penisola arabica (Aqap) e della Provincia di Sana’a, talvolta al settarismo dilagante che vede contrapposti gli sciiti-zayditi houthi ai gruppi salafiti alleati delle tribù locali, appoggiati dal partito islamista al-Islah – un gruppo politico afferente alla galassia della Fratellanza musulmana – e finanziati dai sauditi. Questi livelli di instabilità politica hanno favorito una costante escalation di violenze tramutatesi repentinamente in un conflitto civile appoggiato indirettamente da potenze straniere.
L’Arabia Saudita, paese confinante, rappresenta, in questa prospettiva, il maggiore alleato di Sana’a. La monarchia saudita è il principale garante della sicurezza yemenita, non soltanto per la prossimità territoriale, ma anche per limitare la minaccia di un accerchiamento sciita – e nella fattispecie iraniana – che avrebbe luogo in caso di un accresciuto leverage politico e militare degli houthi. A favorire l’avanzata dei ribelli verso il sud del paese ha giocato un ruolo non di poco conto l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alleato del gruppo insorgente e autentico kingmaker della scena politica yemenita per oltre un trentennio.
Per le medesime ragioni saudite, anche l’Oman cerca di sostenere la stabilità del paese confinante e mantiene controlli serrati alle frontiere. Anche gli Stati Uniti costituiscono un importante partner per Sana’a, alla quale riservano annualmente aiuti economici e militari, destinati in parte alla lotta al terrorismo. Lo Yemen è l’unico paese della Penisola Arabica a non far parte del Consiglio per la cooperazione del Golfo (Gcc), ma intrattiene buone relazioni con tutti i paesi arabi dell’area. Tese sono invece le relazioni con l’Iran, accusato di sostenere la guerriglia sciita anti-governativa e di sfruttare i dissidi interni in chiave anti-saudita.
Data la posizione geografica, che ha scatenato le mire di molti paesi in quanto importante crocevia per le rotte commerciali tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo, lo Yemen prende parte alle dinamiche di un’altra area difficile, il Corno d’Africa, sull’altra sponda del Golfo di Aden. In virtù di ciò, Sana’a ha stretto importanti relazioni politiche e diplomatiche con la Somalia, di cui accoglie migliaia di profughi.
Le relazioni internazionali e la politica estera yemenite sono condizionate da questa doppia fragilità, che impone al governo di Sana’a di cercare – sia nella regione sia in contesti più ampi – interlocutori in grado di rafforzare la solidità del regime.
Dall’unificazione, la struttura statale yemenita è organizzata secondo il modello di una repubblica presidenziale, unica eccezione al sistema di monarchie, sultanati o emirati prevalente nella Penisola Arabica. Accanto alla figura del presidente, eletto direttamente dal popolo per sette anni e, di fatto, vero capo dell’esecutivo, ha rilevanza quella del primo ministro, che viene nominato dallo stesso capo dello stato. Il potere legislativo è formalmente affidato a un parlamento bicamerale.
Lo Yemen, con i suoi 24,4 milioni di abitanti, rappresenta il paese più popoloso dell’intera Penisola Arabica, secondo soltanto all’Arabia Saudita. La popolazione yemenita risulta omogenea dal punto di vista etnico ed è composta per la quasi totalità da arabi, affiancati da alcune esigue minoranze di origine africana, soprattutto eritree e somale. Di contro, il paese è parzialmente spaccato in due dal punto di vista religioso, tra gli appartenenti all’islam sunnita e gli sciiti di fede zaidita, una corrente minoritaria dello sciismo presente quasi esclusivamente in Yemen, in particolare nelle regioni settentrionali. Negli ultimi anni il paese è stato testimone di una notevole crescita demografica, generata tanto dall’afflusso di profughi dal Corno d’Africa, in particolar modo dalla Somalia, quanto da un elevato tasso di fecondità. La popolazione, inoltre, è la più giovane di tutto il mondo arabo: un dato che dovrebbe confermare il trend di crescita. Di fronte a tale prospettiva, il governo non ha adottato misure adeguate e oggi lo Yemen vive una profonda crisi umanitaria. Una situazione resa ancora più impellente dall’aggravarsi del conflitto civile. Secondo le Nazioni Unite, circa un terzo della popolazione soffre la fame e tale cifra è probabilmente destinata ad aumentare, poiché l’Arabia Saudita ha deciso di espellere diverse centinaia di migliaia di lavoratori yemeniti. Il basso livello di sviluppo umano e la scarsa urbanizzazione (solo il 33,5% della popolazione totale vive in città), costituiscono, infine, altri indicatori delle rilevanti difficoltà sociali.
All’arretratezza della società e del sistema educativo si aggiunge una gestione autoritaria del potere, resa ancora meno accettabile dalla diffusa corruzione. La libertà di espressione è limitata, e non sono rari sia gli arresti di oppositori al regime sia le chiusure di organi di stampa e informazione critici verso gli apparati governativi e il presidente. Come retaggio di una cultura tradizionalista, in cui la legge islamica è un pilastro del diritto, domina una spiccata discriminazione ai danni delle donne, in tutti gli ambiti sociali, economici e politici.
Oltre a essere un paese poco sviluppato dal punto di vista sociale e con un sistema politico rigidamente chiuso, lo Yemen ha anche il pil pro capite più basso di tutta l’area mediorientale.
Il sistema economico è composto da un settore industriale poco sviluppato e da un settore agricolo che continua ad essere una delle principali fonti di occupazione per una parte di popolazione. Le produzioni di caffè, cotone e kat coprono una quota rilevante del totale.
Uno dei punti deboli della struttura economica è costituito dalla forte dipendenza dalla produzione ed esportazione di petrolio che, fra l’altro, è in via di esaurimento. Se attualmente il petrolio costituisce ancora il 90% circa delle esportazioni dello Yemen e più del 70% degli introiti governativi, la produzione appare in netto declino. Il suo esaurimento, nel giro di pochi anni, provocherebbe un deficit molto grave.
Lo Yemen registra anche un tasso di disoccupazione molto elevato, intorno al 17%, e un’inflazione strutturale decisamente alta. Il turismo potrebbe rappresentare un importante strumento per combattere la crisi economica, poiché il paese è ricco di bellezze architettoniche e archeologiche e custodisce quattro siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La scarsa sicurezza, i rapimenti a danno dei turisti, la guerra civile e i frequenti attentati hanno impedito tuttavia lo sviluppo del settore e riducono la possibilità di attrarre investimenti.
Grazie alla produzione petrolifera, lo Yemen è ancora un paese indipendente dal punto di vista energetico. L’autonomia si limita, però, quasi esclusivamente al petrolio, che conta per l’88% del mix energetico. Nel 2009 è stato inaugurato il primo impianto di liquefazione del gas naturale nell’ambito degli obiettivi di diversificazione economica ed energetica, ma la produzione è ancora bassa. Le esportazioni di idrocarburi sono dirette quasi esclusivamente in Asia, soprattutto verso i mercati della Cina, Thailandia, India e Corea del Sud. Altrettanto grave è il problema costituito dalla scarsità di risorse idriche. L’accesso all’acqua potabile è limitato e la quota pro capite è insufficiente: questo rende il paese a rischio anche sotto il profilo ambientale. Lo Yemen è anche tra gli ultimi al mondo per estensione delle aree protette, che costituiscono solo lo 0,7% del territorio.
In seguito al precipitare della crisi interna e all’intervento esterno a guida saudita, oggi lo Yemen appare come uno dei paesi più instabili di tutto il mondo. All’indomani della ripresa della guerra civile tra le forze governative e le milizie separatiste meridionali, le tensioni tra nord e sud nel 2008 hanno nuovamente assunto i toni di uno scontro armato, alimentato dalle condizioni arretrate dello Yemen meridionale e dalle frequenti manifestazioni anti-regime.
L’infiltrazione di gruppi legati alla nebulosa galassia di al-Qaida ha alimentato lo scontro tra centro e periferia. Il terrorismo internazionale di matrice islamica ha saputo sfruttare le carenze nel controllo territoriale da parte del governo di Sana’a per stabilire le proprie basi logistiche nel sud e nell’est del paese. Il fenomeno è diventato così marcato che, nel 2009, è stata ufficialmente riconosciuta la nascita di una nuova cellula dell’organizzazione con base in Yemen, denominata al-Qaida nella Penisola Arabica (Aqap). La presenza di al-Qaida risale, in realtà, a prima dell’11 settembre 2001, come testimonia uno dei più gravi attacchi terroristici ai danni degli statunitensi: quello contro il cacciatorpediniere Uss Cole, avvenuto nel porto di Aden il 12 ottobre 2000 e costato la vita a 17 marines. Aqap continua a colpire obiettivi strategici energetici e di sicurezza in tutto il paese, pur non direttamente legati agli Stati Uniti. L’organizzazione è talmente radicata e presente nel territorio da controllare la gran parte degli avamposti strategici dell’Hadramawt, compresa la città portuale di Mukalla che si affaccia sul Mar arabico.
Altrettanto pericolosa si è dimostrata la filiale yemenita dello Stato islamico (Is), la Provincia di Sana’a, sorta nella seconda metà del 2014 e affiliatasi ufficialmente a Is nel novembre dello stesso anno. Durante la primavera-estate del 2015, il gruppo ha compiuto alcuni importanti e letali attentati contro alcune moschee sciite a Sana’a, provocando diverse centinaia di morti ed entrando direttamente in aperta competizione con Aqap. Sebbene sia ancora lontano dalle medesime capacità operative dell’antagonista qaidista, la crescita militare del gruppo potrebbe porre nel medio periodo un’ulteriore fattore di instabilità nel già intricato e vulnerabile quadro di sicurezza yemenita.
Oltre alle minacce derivanti dal terrorismo, dal secessionismo e dalle violenze clanico-tribali, lo Yemen deve affrontare il sempre pesante fenomeno della pirateria. Nonostante gli attacchi siano diminuiti nel corso degli ultimi anni, le coste yemenite e del Corno d’Africa sono storicamente le principali roccaforti del fenomeno. Nel tentativo di contenere tale minaccia ha riscosso un parziale successo la missione navale congiunta di counter-piracy intrapresa dall’Eu con Russia, Iran e monarchie del Golfo, tutti potenzialmente minacciati nei loro interessi commerciali dal fenomeno piratesco. Accanto ad accordi di cooperazione militare con questi paesi, Sana’a ha mantenuto stretti legami nell’ambito della sicurezza soprattutto con l’Arabia Saudita, con cui condivide sia le preoccupazioni per la guerriglia sciita sia quelle per il terrorismo islamista. Di particolare rilevanza è infine la partnership militare con gli Stati Uniti: nel quadro della lotta al terrorismo internazionale, il governo di Sana’a si è schierato con Washington, che a sua volta ha appoggiato il regime del presidente legittimo Hadi contro tutte le forze locali e transregionali suscettibili di destabilizzare il paese.
Approfondimento
Per lo Yemen, il 2015 ha segnato il ritorno a una durissima guerra civile le cui conseguenze avranno gravi ripercussioni sulla ricostruzione della società yemenita nei prossimi anni. Il conflitto è iniziato ufficialmente il 19 marzo 2015 rendendo più chiara la portata di uno scontro che è prima di tutto locale e civile, e poi regionale e sovranazionale, e che vede opporsi, da una parte le forze del Movimento separatista del sud (al-Hirak) affiancate alle truppe nazionali fedeli al presidente in carica Abd Rabbu Mansur Hadi con sede ad Aden, dall’altra le milizie della famiglia al-Houthi (partito Ansarullah), proveniente dal nord del paese (Saada), e supportate dall’ex presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh, già destituito con la rivoluzione del 2011. Gli altri due attori locali principali e riconosciuti di questo conflitto sono Aqap (Al-Qaida nella penisola arabica) e l’Is (Wilaya Sana’a – Provincia di Sana’a), che controllano porzioni di territorio (Aqap controlla nuovamente Abyan e la regione di al-Mukalla, nonché parti della costa a sud-est) mentre l’Is si è addossato la responsabilità di attentati con kamikaze e autobombe in tutto il paese, dal Marib ad Aden e, in particolare, nella capitale Sana’a.
Sullo sfondo, per un quadro geopolitico completo, non va trascurata l’azione di influenza dei principali attori regionali: l’Arabia Saudita da una parte, sempre più legata allo Yemen dalla rivoluzione del 2011 e a cui il governo yemenita è debitore di un cospicuo debito economico, e l’Iran a cui, senza esserci stata mai conferma di finanziamenti da parte di Teheran, la famiglia al-Houthi si richiama, sia rispetto al modello teocratico che desidererebbe attuare, sia rispetto all’esplicita derivazione delle sue milizie da Hezbollah e dai proclami loro leader Sayyid Hassan Nasrallah.
La causa primaria scatenante il conflitto è stata l’azione delle milizie Houthi che, dopo la dichiarazione del Comitato rivoluzionario supremo (già dichiarato illegittimo dal presidente in carica) che incitava da Sana’a al mancato rispetto dell’autorità del presidente Hadi e all’avanzamento delle truppe ribelli verso sud, hanno ingaggiato una durissima battaglia per il controllo del governatorato di Taiz. Il 25 marzo 2015 anche la città di Lahji cade nelle mani degli Houthi che si diressero verso Aden, sede del presidente, e ingaggiarono un conflitto durissimo per il controllo dell’aeroporto internazionale. Hadi è fuggito da Aden e, lo stesso giorno, il Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) a guida saudita ha lanciato la campagna Decisive Storm, bombardando il paese, per consentire la restaurazione del governo legittimo. Gli Stati Uniti hanno fornito intelligence e supporto logistico per la campagna. L’azione militare degli Houthi si concentra sugli accessi al mare e sull’avanzata verso sud: il 23 marzo sono avanzati nello Stretto di Bab-el-Mandab fino a raggiungere e occupare il porto di Mocha, aprendo azioni di fuoco anche verso barche cariche di profughi e dirette verso Gibuti, il paese del Corno d’Africa prospiciente alla costa yemenita.
Il conflitto ha poi presentato una fase più lunga, da marzo ad agosto, in cui gli Houthi hanno allargato la loro presenza sul terreno da nord-ovest (Saada) a sud-ovest (alle porte di Aden) subendo però perdite progressivamente sempre più gravi in uomini, mezzi, armamenti e infrastrutture di collegamento e approvvigionamento a causa dei durissimi bombardamenti del Gcc su tutta la lunga linea del fronte. Il conflitto ha avuto una svolta decisiva nell’agosto 2015 quando le truppe fedeli al governo Hadi con una partecipazione decisiva del Movimento separatista del sud e contractors stranieri assoldati dal Gcc hanno ripreso Aden, risalendo a poco a poco verso nord, aiutate dai bombardamenti della coalizione. Il conflitto presenta però un ulteriore fronte nella provincia dell’Hadramauth, tradizionalmente la roccaforte di Aqap insieme all’area est del governatorato di Abyan, al governatorato di Shawba (dove si trova l’area petrolifera di Usaylan), e al Marib dove le tribù sunnite tengono saldo il controllo del territorio da qualsiasi altro opponente, governo compreso. In Hadramauth gli Houthi hanno ingaggiato, senza prevalere, pesanti scontri con i qaidisti che hanno acquisito il controllo di al-Mukalla. Nell’analisi del conflitto non va dimenticata l’azione di contrasto ad Aqap compresa nel programma americano contro il terrorismo internazionale: nel maggio e giugno 2015 un paio di attacchi con droni hanno colpito Maamoun Hatem e Abu Hajar al Hadrami, due tra i più seguiti leader di Aqap e potenzialmente favorevoli a traghettare la sigla qaidista della penisola arabica verso la fedeltà al sedicente Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi.
In questo quadro complesso e balcanizzato del conflitto, un primo tentativo di distensione tra i principali attori in lotta è stato accennato nel giugno 2015 dopo la tregua di maggio, ma è fallito. La prolungata esposizione dei civili del paese ai bombardamenti del Gcc, l’intensificarsi di azioni settarie, rapimenti e violenze nelle aree di controllo degli Houthi e l’ampliamento e rafforzamento dello Stato islamico sul territorio, con nuovi e numerosi attacchi bomba nelle moschee e a personalità governative, in particolar modo ad Aden, hanno convinto gli attori sul terreno ad impegnarsi per una soluzione più efficace. I colloqui di Ginevra del dicembre 2015, ai quali non erano presenti però i leader dei ribelli Houthi (Abdulmalik al-Houthi e Ali al-Shami) hanno portato, per la fine del 2015, a una promessa di cessate il fuoco prolungata (ma diversi episodi di scontri a fuoco la indicano come già disattesa), a uno scambio di prigionieri tra ribelli e governativi e all’invio di un convoglio delle Nazioni Unite per aiuti umanitari verso le province di Taiz, Hajja e Saada.
La crisi, qualunque sia la sua risoluzione, lascia al paese un’eredità di deficit impressionanti. Alcuni numeri: 15 milioni e 200.000 persone senza accesso alla sanità; 500.000 bambini che soffrono di malnutrizione e disturbi psicologici; 1su 4 infrastrutture del paese distrutte e da ricostruire. 6.000 sono i civili yemeniti morti (dati dei primi di dicembre 2015) tra cui 600 bambini.
di Laura Silvia Battaglia