Il presidente cinese Xi Jinping è impegnato in una campagna di transizione politica ed economica che sarà cruciale per il futuro della Prc. Dopo trent’anni di crescita a doppia cifra, il modello di sviluppo cinese ha cominciato a mostrare segni di rallentamento. Le autorità di Pechino hanno definito questa nuova fase con tassi di crescita del pil inferiori al passato la ‘nuova normalità’ (New normal) dell’economia cinese. La gestione e l’adattamento a tale modello di sviluppo è al centro delle riforme economiche proposte soprattutto in occasione del Terzo Plenum del Comitato Centrale del Cpc che si è tenuto nell’ottobre 2013. La trasformazione dell’economia cinese prevede la transizione da un’economia basata su investimenti ed esportazioni ad una più orientata ai consumi. Tuttavia, come dimostrato dalle fluttuazioni dei listini di Shanghai e Shenzhen nell’estate 2015, tale transizione è un processo lungo che dovrà inevitabilmente passare per numerosi passi falsi.
Oltre alla promozione di una produzione industriale di beni a maggior valore aggiunto e meno legate a settori ad alta intensità di lavoro a basso costo, la riforma avviata da Xi Jinping deve necessariamente confrontarsi con il rapporto fra Stato e mercato. Le politiche di Deng Xiaoping avviate a partire dalla fine degli anni Settanta hanno gradualmente introdotto il libero mercato nell’economia cinese, ma a tutt’oggi le imprese di Stato (State Owned Enterprises, Soe) continuano ad avere un ruolo determinante, soprattutto nelle aree e nei settori legati all’industria pesante. La riforma delle Soe è stata più volte annunciata, senza però portare ancora degli effetti significativi. In ballo ci sono rendite politiche ed economiche in capo alla dirigenza del Cpc e all’interno dell’amministrazione che frenano le prospettive di cambiamento.
È in un tale contesto che si inserisce la leadership di Xi Jinping. Il segretario del Cpc, in carica dal 2012, è salito al potere come uomo del compromesso in un ticket duale con Li Keqiang - il premier cinese – che però è stato rapidamente oscurato dall’attivismo di Xi. L’azione del segretario è stata quella di accentrare su di sé il potere decisionale grazie alla creazione di una ‘super-commissione’ dedicata alle riforme, ponendo così fine a quel sistema di condivisione del potere con gli altri membri del Comitato permanente del Politiburo sperimentato da Hu Jintao che aveva portato a una riduzione dell’influenza del potere centrale e alla creazione di ‘feudi personali’. Il caso più eclatante è quello dello ‘zar della sicurezza’ Zhou Yongkang - primo ex-membro del Politburo ad essere condannato dai tempi della Banda dei Quattro - che aveva creato una struttura personale con ramificazioni nella sicurezza e nel settore petrolifero. Zhou è considerato la preda maggiore (‘tigre’) della campagna anti-corruzione che ha contraddistinto l’esperienza di governo di Xi e che è destinata a continuare di pari passo con l’implementazione delle riforme economiche. Secondo alcuni analisti la campagna può essere letta in chiave di lotta interna fra fazioni del partito, tant’è vero che coloro che hanno legami col Presidente ne sono risultati immuni. In realtà, la lotta alla corruzione è più probabilmente associata ad un contrasto fra potere centrale e periferico, proprio nell’ottica di implementare le riforme economiche che si sono rese necessarie con il New Normal. Anche le riforme dello stato di diritto presentate in occasione del Quarto Plenum nell’ottobre 2014 possono essere inserite nel tentativo di ridurre la discrezionalità del potere locale sia nei confronti dei cittadini, sia nell’ostacolare le decisioni del centro.
Dunque, gli elementi principali dell’esperienza politica di Xi Jinping come leader della Prc sono individuabili nella volontà di accentrare il potere e di avviare una trasformazione economica di portata storica resasi necessaria dalle circostanze in cui si inserisce il New Normal. Inoltre, Xi Jinping ha dato un ‘volto’ alla sua iniziativa politica coltivando il concetto di ‘Sogno Cinese’, un’idea che combina il nazionalismo dei richiami alla grandezza cinese precedente le guerre dell’oppio e la successiva condizione semi-coloniale della Cina con la prospettiva di una prosperità futura per l’intera nazione. Il Sogno Cinese, infatti, si pone obiettivi di medio e lungo periodo – i cosiddetti ‘2 cento’ – entro i quali acquisire in più fasi una condizione di media e piena potenza. Il riferimento è al centenario della nascita del Cpc che cadrà nel 2021 e a quello della fondazione della Prc nel 2049. Per la fine del decennio l’obiettivo è di diventare una società ‘moderatamente prosperosa’ grazie a risultati attesi quali il raddoppio del pil pro capite del 2010 che si attestava su valori prossimi ai 10.000 dollari. Il proposito per la metà del secolo è invece la piena modernizzazione, diventando così un una nazione completamente sviluppata.
Xi Jinping sta perseguendo tali obiettivi con il sostegno di una politica estera più assertiva, di cui l’iniziativa della Nuova Via della Seta è la manifestazione più evidente. La Cina, infatti, ha bisogno di rafforzare i rapporti con l’estero per garantirsi soprattutto materie prime e risorse energetiche, ma anche per assicurare sbocchi produttivi e commerciali alle proprie imprese che faticano a trovare nell’auspicato, ma ancora insufficiente, aumento dei consumi interni un’alternativa all’avvento del New Normal.