Written on the Wind
(USA 1956, Come le foglie al vento, colore, 99m); regia: Douglas Sirk; produzione: Albert Zugsmith per Universal; soggetto: dall'omonimo romanzo di Robert Wilder; sceneggiatura: George Zuckerman; fotografia: Russell Metty; montaggio: Russell F. Schoengarth; scenografia: Alexander Golitzen, Robert Clatworthy; costumi: Bill Thomas, Jay Morley Jr.; musica: Frank Skinner, Victor Young.
Jasper Hadley è il re d'una dinastia petrolifera texana. I figli gli danno molti pensieri: Kyle è debole, facile preda dell'alcol e della depressione, Marylee è spregiudicata e tendenzialmente ninfomane. Maggior fiducia il vecchio ripone in Mitch, amico d'infanzia di Kyle che ha chiamato a lavorare con sé come ingegnere. È Mitch, di umili origini, a presentare a Kyle la disegnatrice Lucy, donna di squisita bellezza ed eleganza. Lui se ne innamora all'istante, la porta sul proprio aereo privato fino a Miami, si dichiara, la conquista, la sposa. Un anno dopo, molti degli incubi di Kyle (le crisi etiliche, l'insicurezza) sembrano scomparsi, ma uno nuovo è in agguato. Il medico di famiglia gli diagnostica una probabile sterilità, e i vecchi demoni ritornano. Intanto Marylee, frustrata nel suo amore non corrisposto per Mitch, si abbandona a incontri casuali, e insinua nel fratello sospetti sull'onestà di Lucy e dell'amico. Il vecchio Hadley, sopraffatto dalla deriva dei figli, muore d'un attacco cardiaco. In realtà Mitch ama davvero Lucy dal loro primo incontro e ne è ora riamato, ma i rapporti tra i due sono sempre stati casti. Nondimeno, quando lei annuncia un'inattesa gravidanza, il dramma esplode: Kyle minaccia Mitch con la pistola, Marylee tenta di fermarlo e lui si ferisce a morte. Mitch va sotto processo, e Marylee sembra decisa a testimoniare il falso pur di vendicarsi. Comincia a mentire, ma finisce col dire la verità. Mitch e Lucy se ne vanno insieme, Marylee resta sola coi suoi pozzi di petrolio.
Si è spesso rammentato il melodramma, a proposito dei film di Douglas Sirk, ma le tracce a cui ci si riferisce per giustificare questo collegamento sono sempre apparse deboli e incerte. Manca del tutto, per esempio, in Written on the Wind, quella dimensione come di cartapesta, di eccesso coloristico, di eccesso nei contrasti fra i toni, senza la quale non si può parlare, assolutamente, di messa in scena operistica. C'è molta pittura, per contro, in questo film. A partire dalla mirabile sequenza iniziale, con l'automobile e le foglie, la pittoricità di Sirk sembra avere abbandonato le prospettive e le atmosfere di Edward Hopper ‒ fondamentali per tanti registi americani ‒ e avere anticipato certi scorci di David Hockney. Gli oggetti sussurrano, in questo film, si collocano di lato, di sbieco, di profilo come se dovessero prendere parte attivamente all'evolvere della trama, e non c'è casualità perché il controllo di Russell Metty nel dirigere la fotografia è davvero capace di precorrere Hockney nel dar voce narrativa a cose, prospettive, atmosfere. Visto in questi nostri giorni, il film possiede una sconcertante attualità a cui non si poteva certo fare riferimento quando apparve, nel 1956. Oggi si parla molto di antiamericanismo, di lontananza dagli Stati Uniti, soli e concentrati sul proprio destino. Sirk sembra anticipare proprio le ragioni che possono porsi alla base di questo freddo distacco.
Written on the Wind è la storia della decadenza di una famiglia, ma non richiama Thomas Mann che usò questa accezione. Mentre l'Edipo di Marylee non trova spazio nella vana ricerca di uomini che rinnovino le asciutte eleganze del padre, suo fratello Kyle affonda nella tragedia proprio perché è terrorizzato dal sospetto di non poter essere padre a sua volta. È un grande tema antropologico culturale, lontanissimo dalle scenografie canore del vero melodramma, perché potrebbe invece collegarsi a certa tradizione del romanzo francese, come ai libri di Paul Bourget, non a caso molto cari proprio all'americano Henry James.
Sottratti nel 1776 al potere di un padre-re che dominava umbratile e lontano, oltre l'oceano, remoti titolari di una discendenza da altri padri, quelli pellegrini, lontani anche loro, ma nel tempo, non nello spazio, questi americani del 1956 sono ricchi, potenti e pieni di paure. Non potranno mai essere degni del loro padre e addirittura, forse, non saranno carnalmente mai padri. Se Kyle muore, e la sorella Marylee resta sola nel gelo-Hockney delle sue ricchezze petrolifere, Lucy e Mitch se ne vanno: dalla decadenza di una famiglia si transita forse verso la caduta della casa degli Usher. Si ritrova infatti anche Edgar Allan Poe, in questo racconto del rimorso, a dirci di come, nella ricchezza immensa, e nel potere che ne deriva, ci siano i germi di una sommessa ma invincibile paura.
Occorre storicamente cercarle, certo nell'inconscio collettivo, in un rimosso immenso, le ragioni di questa decadenza. A undici anni dalla fine di una guerra tanto nobilmente vinta, proprio nell'anno, il 1956, in cui Francia e Inghilterra furono ammonite e fermate a Suez, alla vigilia della seconda rielezione del buon generale che liberò l'Europa, Ike, il babbo di tutti, Sirk sceglie di raccontarci un Edipo che si intreccia con una impotenza temutissima e sottaciuta. Però, quando si è molto in alto, molto dominatori, molto sicuri di sé all'apparenza, sono proprio i vecchi fantasmi a riaffiorare. Faulkner alludeva ai negri e agli indiani come ai predatori notturni del sogno americano, come ai fantasmi sempre disponibili a rammentare, biecamente, che i liberatori dell'Europa sono stati negrieri e avevano perpetrato un genocidio.
Parlano tutti gli oggetti, in questo film: le automobili sono riprese così da costituire momenti essenziali nella storia del design, i fiori dialogano squisitamente con le tappezzerie, la natura è disegnata dal progetto di un dandy, ma Kyle tiene una pistola sotto il guanciale e Mitch, l'eterno amico di infanzia, medita di andare in Iran. Il bere di Kyle, che aveva smesso di bere, è collegato con il timore incontrollabile di essere impotente, e Marylee balla mentre il padre muore. Di questo film di Sirk occorre rammentare che è stato realizzato in uno degli anni simbolo della Guerra Fredda, e ripensare come a Omaha Beach il soldato Ryan aveva trovato tremendi ma visibili guerrieri, mentre ora si combatte una guerra di spie, si contrastano le ombre.
Forse si dovrebbe anche dire che il genio di Douglas Sirk consiste nel raccontare quella che venne anche definita 'l'età del sospetto'. E allora i perfetti dosaggi tonali di un dandy arredatore perdono proprio la loro esteriorità, tutto è mirabilmente elegante, tutti gli accordi sono modulati con esatta misura, gli arredi si rendono personaggi. Ma si è impotenti lo stesso, e alla fine non si salva nessuno.
Interpreti e personaggi: Rock Hudson (Mitch Wayne), Lauren Bacall (Lucy Hadley), Robert Stack (Kyle Hadley), Dorothy Malone (Marylee Hadley), Robert Keith (Jasper Hadley), Grant Williams (Biff Miley), Harry Shannon (Hoak Wayne), Robert J. Wilke (Dan Willis), Edward C. Platt (Dr. Cochrane), John Larch (Roy Carter), Joseph Cranby (R.J. Courtney), Roy Glenn (Sam), Maidie Norman (Bertha), William Shallert (Mitch Williams), Dorothy Porter (segretaria).
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